Quanta ricerca ed attenzione per riuscire a riportare la realtà tridimensionale nelle due dimensioni delle nostre fotografie… E’ quasi una costante di fondo.
Ma cosa succede quando il soggetto è bidimensionale?
Ecco che può accedere qualcosa di curioso. La fotografia può aggiungere profondità ad un soggetto che non ne ha.

Polar Bear 1976 - Copyright Hiroshi Sugimoto.
Nel 1974, agli inizi della sua carriera, il fotografo giapponese Hiroshi Sugimoto scattò delle foto ai diorami del museo di storia naturale di New York.
Chi ha avuto occasione di vederli dal vivo può testimoniare che si tratta di realizzazioni piuttosto artificiose: animali imbalsamati con sfondi piatti quasi improbabili… ma ecco che fotografandoli succede qualcosa; assumono un realismo che dal vivo non hanno.
Ne scaturisce un concetto che è quasi un cardine di tutta la comunicazione visiva moderna e che Sugimoto ha sintetizzato nella frase : “However fake the subject, once photographed, it’s as good as real”.
Assolutamente vero.
🙂
Sì sì, grazie per la spiegazione su Sugimoto. Mi sono documentata altrove. Ora capisco alla perfezione lo scatto che hai pubblicato!!
Grazie anche per gli altri articoli pubblicati nel tuo blog. Aggiunto nei preferiti e consultato regolarmente.
Grazie Pega! : ))
Ciao Pega,
innanzitutto colgo l’occasione per farti i miei complimenti per il blog, ke trovo davvero interessanto, ben fatto e pieno di validi ed interessanti spunti, non solo prettamente fotografici ma anke di news e cultura.
Mi fa piacere di essermi iscritta e leggo con interesse le tue nuove page e mi diverto a curiosare nelle varie categorie!
Buona giornata e buona luce,
Alessia
Grazie a te Oriana.
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Ciao!
Grazie a te Alessia per i complimenti. Ogni tanto fa davvero piecere riceverli.
Sei la benvenuta e ogni tuo commento o contributo sarà graditissimo.
Ciao !
in effetti è un punto focale importantissimo: rendere più realistica possibile una forma d’arte (con la tecnica) significa ridurre l’arte in essa presente.
ho sempre pensato che una forza della fotografia più creativa fosse proprio la bidimensionalità….
A me affascina che ciò che non si vede appaia, grazie a qualche illusione ottica (o meglio per la correzione che il nostro cervello opera automaticamente) e viceversa. Un po’ come il famoso inchiostro simpatico di cui si favoleggiava a scuola. Mi affascina anche che costantemente e per tutta la vita noi proiettiamo il nostro doppio bidimensionale che rimane tale, indipendemente dagli spessori e dalle rotondità che riusciamo a dare al nostro corpo.
Che bidimensione e tridimensione si scambino i piani continuamente nella nostra esperienza è fonte di meraviglia. Il precinema basava i suoi giochi anche su questi effetti, mescolandoli all’illusione del movimento. Insomma è il mondo illusorio che quando è riprodotto ci fa scattare la meraviglia. O il raccapriccio. Che poi è sempre una forma di meraviglia.