Qual’è la tua etica fotografica? Si, l’atteggiamento con cui decidi o meno di fotografare qualcosa o qualcuno la cui condizione non è invidiabile. Non parlo di fotografare con un’ottica fotogiornalistica per farne un lavoro che possa in qualche modo denunciare ed aiutare. Sebbene anche questo sia un terreno molto difficile e discusso, non è quello di cui sto parlando.
Io qui mi riferisco ai parametri ed i limiti che ognuno di noi usa per procedere o meno a scattare una foto artistica, quindi diciamo “fine a se stessa”, o comunque realizzata per esprimere la propria personale vena creativa e le proprie emozioni.
Lo so, lo so, è una questione complicata, ed infatti personalmente mi trovo in difficoltà nel muovermi su quello stretto confine quadrilaterale dove convergono arte, cinismo, denuncia e cattivo gusto.
Vengo al dunque. Secondo te è giusto fotografare, ad esempio quando si viaggia, le persone che vivono in condizioni di indigenza, o anche un più nostrano senza tetto? O un’anziana mendicante? E’ forse cinico dare dei soldi per chiedergli di posare? O è ancor più cinico fotografare da lontano con un bello zoom o semplicemente voltarsi dall’altra parte?
Mettiamoci per un attimo nei panni di chi viene fotografato. Cosa penseremmo noi nella sua condizione?
E lo stesso ragionamento vale per i luoghi. Penso alle schiere di fotografi, professionisti e non, che si sono precipitati in zone colpite da eventi terribili (dall’uragano Katrina al terremoto dell’Aquila), fotografando quelle che fino a pochi giorni prima erano le dimore di persone ora sprofondate nella tragedia. Quale sarebbero le tue sensazioni se sapessi che qualcuno è entrato in quella che era la tua casa, fotografando le tue cose ed i tristi resti, per farne un suo personale lavoro artistico?
Io non so, non ho una posizione decisa, ma trovo che sia un importante terreno di riflessione.
Probabilmente ognuno trova la sua risposta in quell’istante in cui porta la macchina fotografica all’occhio e decide o meno di scattare.
Uuuuh, argomento particolarmente sentito nel quale mi son ritrovata a dibattere più volte…
Penso che sia doveroso principalmente rispettare la dignità delle persone ritratte, proprio come ci preoccupiamo dell’opportunità o meno di rendere pubblica l’immagine di un qualsiasi soggetto immortalato in uno “scatto rubato” e di dovergliene chiedere l’autorizzazione, così dovremmo preoccuparci anche se il soggetto in questione è un indigente che non scoprirà mai la propria immagine pubblicata in rete.
Ricordo in particolare la prima volta in cui mi ritrovai a discutere sul tema: un’amica dedita soprattutto alle macro di fiorellini un bel giorno uscì dal suo campo e postò nel sito fotografico che frequentavamo un bel barbone addormentato a terra! M’incazzai di brutto. Non tanto con lei, alla quale comunque consigliavo di tornare alle proprie abitudini, ma con tutti coloro che, commentando lo scatto, si perdevano a dibattere sulla presenza più o meno consona della base di un lampione che, a loro dire, nuoceva all’immagine… Come se la dignità calpestata dell’uomo non avesse alcuna importanza.
Avrei voluto ora mostrarvi le immagini di un fotografo che ammiro molto in un set che ritraeva un uomo che viveva solo col suo cane e che lui andava spesso a trovare nel suo casolare donandogli viveri e scatti della sua vita. Non era uno scambio, era un dono anche quello. Giuseppe, che ora non c’è più, si mostrava nelle foto in tutta la sua dignità, orgoglioso di essere fotografato. Peccato che, ho appena notato, Sandro il fotografo ha eliminato dal set tutte le foto lasciandone solo due, erano splendide:
http://www.flickr.com/photos/22889088@N00/sets/72157600089849666/comments/
Per quanto mi riguarda i ritratti più intensi che avrei potuto cogliere durante i miei viaggi non li ho mai scattati e li conservo gelosamente nella mia memoria, fiera di non aver calpestato la dignità di alcuno o, a seconda dei costumi, di non aver loro rubato l’anima.
si, stai proponendo una bella riflessione.. qui nel blog non ho la possibilità di affrontare l’argomento a fondo, quindi il mio è solo un altro stimolo alla riflessione. Non mi capito spesso di fare questo tipo di scatti e quando mi capita chiedo sempre prima di farlo, se mi dicono di no lo rispetto. Se mi metto dalla parte del fotografato (ma è quello che farei io) non mi importerebbe molto, non mi sentirei un monumento, ma solo una piccola testimonianza umana. Vista dal punto di vista del fotografo, la vedo sempre allo stesso modo: la necessità di raccontare. Questo fa il fotografo secondo me, artista o giornalista che sia, racconta e raccontare non fa male a nessuno, raccontare è da sempre un modo per conoscere e far conoscere…
Ciao PP
gran post, questo, gran spunto di riflessione.
probabilmente le domande che ci si pone in quei casi sono molte , e molte non hanno risposte, oppure risposte diverse ogni diversa persona .
Personalmente quando mi trovo di fronte situazioni “drammatiche” o persone in difficoltà che mi colpiscono, rimango sempre con il dubbio se scattare o meno, e la maggioranza delle volte non scatto , anche se mi rimane il dubbio che forse raccontare ad altri quel momento o quella persona potrebbe far “aumentare” la sensibilità di altre persone.
Anche ammesso di non calpestare la dignità di quelle persone, è pure vero che fotografandole e basta non è che venga dato un aiuto diciamo “materiale” a quelle persone.
Davvero un argomento difficile…
non so se può essere utile alla discussione, ma ho postato questa foto (scattata durante il photwalk 2010), dove ho cercato di mettere a confronto due persone, separate da un solo angolo di un palazzo, ma con vite personai estremamente diverse.
Quando l’ho scattata non ho pensato di “offendere” nessuno e ci ho pensato molto prima di postarla, anche prima di questo Post di pega.
Io ho fatto questa foto da lontano, ma ci sono state persone che si sono avvicinate, uno addirittura è andato proprio accanto a fotografare, credo offrendo qualche soldo alla mendicante.
ciao a tutti
ho dimenticato il link alla foto

Intanto grazie dei vostri contributi.
Francesca, avevo visto in passato le foto di Giuseppe. Peccato che non ci siano più tutte. Sicuramente la sensibilità personale dell’autore lo ha guidato nella rispettabilissima scelta di toglierle.
L’argomento che ho chiamato etica fotografica è sicuramente spinoso.
Alla fine credo che una delle cose più importanti sia nell’averne coscienza tenendo a mente il problema nel momento in cui si fotografa. Saranno le condizioni specifiche del momento che ci faranno decidere se scattare o no, se poi pubblicare o meno. E forse sarà importante anche avere un po’ di tempo per pensarci.
Cari tutti, vi segnalo il link ad un iniziativa che ha a che fare con il tema dibattuto.
http://www.shoot4change.net/?p=2075
Approfitto per segnalarvi cosi’ anche Shoot 4 Change, magari non lo conoscete.
http://www.shoot4change.net/
ciao Giovanni
A me è sembrato incredibile, eppure un paio di volte mi è successo che dei mendicanti, vedendomi con la macchina fotografica a tracolla mi abbiano chiesto di fotografarli e dopo che l’ho fatto, senza chiedermi nulla in cambio, mi abbiano ringraziato. Forse perchè era la prima volta che qualcuno li prendeva in considerazione.
Caspita!
“Non fotografare gli straccioni, i senza lavoro, gli affamati.
Non fotografare le prostitute, i mendicanti sui gradini delle chiese,
i pensionati sulle panchine solitarie che aspettano la morte come un
treno nella notte.
Non fotografare i neri umiliati, i giovani vittime delle droga,
gli alcolizzati che dormono i loro orribili sogni. La società gli ha già
preso tutto, non prendergli anche la fotografia.
Non fotografare chi ha le manette ai polsi, quelli messi con le spalle
al muro, quelli con le braccia alzate, perchè non possono respingerti.
Non fotografare la suicida, l’omicida e la sua vittima.
Non fotografare l’imputato dietro le sbarre, chi entra o esce di
prigione, il condannato che va verso il patibolo.
Non fotografare il carceriere, il giudice e nessuno che indossi una toga o una divisa. Hanno già soppportato la violenza non aggiungere
la tua. Loro debbono usare violenza, tu puoi farne a meno.
Non fotografare il malato di mente, il paralitico, i gobbi e gli storpi.
Lascia in pace chi arranca con le stampelle e chi si ostina a salutare militarmente con l’eroico moncherino.
Non ritrarre un uomo solo perchè la sua testa è troppo grossa, o
troppo piccola, o in qualche modo deforme. Non perseguitare con i
flash la ragazza sfigurata dall’incidente, la vecchia mascherata dalle rughe, l’attrice imbruttita dal tempo. Per loro gli specchi sono un
incubo, non aggiungere le tue fotografie. Non fotografare la madre dell’assassino e nemmeno quella della vittima. Non fotografare i figli
di chi ha ucciso l’amante, e nemmeno gli orfani dell’amante. Non fotografare chi subì ingiuria: la ragazza violentata, il bambino
percosso. Le peggiori infamie fotografiche si commettono in nome
del diritto all’informazione. Se è davvero l’umana solidarietà quella
che ti conduce a visitare l’ospizio dei vecchi, il manicomio, il carcere, provalo lasciando a casa la macchina fotografica. Non fotografare chi fotografa; può darsi che soddisfi solo un bisogno naturale.
Come giudicheremmo un pittore in costume bohémien seduto con pennelli, tavolozza e cavalletto a fare un bel quadro davanti alla
gabbia del condannato all’ergastolo, all’impiccato che dondola, alla puttana che trema di freddo, ad un corpo lacerato che affiora dalle rovine?? Perchè presumi che il costume da free-lance, una borsa di accessori, tre macchine appesa al collo e un flash sparato possano giustificarti?”
Detto da uno che ha curato ed allestito una raccolta di scatti spontanei sull’olocausto.
Ando Gilardi. Riverisco.
Il componimento di Gilardi è senz’altro significativo.
Secondo me peró rappresenta un punto di vista estremo. Ad esempio, non vedo possibile assimilare il fotografo al pittore, sono due cose completamente diverse. È il tempo la chiave, l’istante, che rende le due forme espressive così diverse e la fotografia la forma di comunicazione che ha così fortemente (e lo sta ancora facendo) cambiato il mondo.
Sicuramente comunque il Maestro Ando ci ha porto un notevole spunto di riflessione.
il componimento di gilardi mi sa di poesiola da maestrino, che vive più che altro di vita propria, tanto per esaltare il protagonismo di chi l’ha scritta. l’etica fotografica è una cosa molto complessa, non la si può liquidare con tanta faciloneria…ed anche la società umana è complessa ed ambigua; l’esigenza di fermare un’immagine che possa avere un valore emotivo per chi la vede non è detto che sia sempre una cosa cinica derivata da manie di protagonismo del fotografo… che poi tutti quelli che vogliono esprimere qualcosa hanno in teoria una mania di protagonismo: eliminiamo l’arte, quindi.
personalmente non mi ha mai interessato fotografare il mendicante (che in centro a firenze spesso danno da pensare: ho visto tre o quattro zingare con la foto dello stesso marito morto)… ma se una scena ha un qualche valore umano da trasmettere mi piace “rubarla”.
e poi lo scatto è istintivo, spontaneo…che cavolo c’entra con la pittura?
il cinismo vero entra in ballo quando il fotografo cerca maniacalmente il degrado umano pensando sorridendo ai soldi che ci farà.
ma fotografare, ad esempio, il cinismo stesso con un occhio critico è salutare.
La differenza fra il pittore e il fotografo è fondamentalmente che il fotografo ha assoluto bisogno del modello reale da replicare mentre il pittore no.
Vantaggio che il fotografo rispetto al pittore è che il fotografo può giocare in diversi modi con la percezione del reale, mostrando una visione che con il reale fotografato potrebbe non avere nulla a che spartire… e, visto il tuo portfolio su flickr, credo che questa dissertazione non ti dica nulla di nuovo, no?
Allora, se vuoi esprimere miseria, dolore e cinismo puoi farlo, esattamente come fa il pittore, senza il modello che hai di fronte. Come le facce, i palloncini e gli omini di sabbia che crei dal nulla, puoi trovare anche il povero e la disperazione, chessò, in una banca. Lo fai con le forme, si può fare anche con i concetti e con le emozioni. E, si, è dannatamente difficile.
Se per cercare la miseria ti metti a fotografare i miseri, per il cinismo gli ignorati e per il dolore i sofferenti, non fai fotografia ma didascalia. Allora io, personalmente, se devo fare cattiva fotografia (e ne faccio, eh), preferisco farla senza disturbare il dolore delgi altri.
Poi, ovvio, non è un divieto: il Gilardi ha anche allestito, se non sbaglio, una serie di scatti sull’olocausto. Serve solo a far bollire un po’ il sangue e a sbollire lo scatto facile, una maniera di ricordare che a certe cose bisogna avvicinarsi con rispetto perchè tu puoi pensare quello che vuoi e avere la tua estetica, ma questo non cambia l’umanità e la condizione che vai ritraendo.
oh banano, guarda che io la penso esattamente come te…
😀
come infatti dici tu, anche io preferisco mediare, simbolizzare, ecc…e mi piace proprio perchè è difficile, talvolta…
e ritengo di avere un forte senso etico, basta vedere il mio stream.
fatto sta che il papiro del tipo non m’è piaciuto lo stesso, è troppo facilone e somigliante a una parabola della bibbia…mi pare esagerato, ecco. a seguirlo alla lettera sparirebbero il 90 per cento delle street di flickr, e forse anche io in due o tre foto dovrei tremare di vergogna…
gli anziani sulle panchine, o chi ha una divisa…sono ovunque; e soprattutto non penso che si possa generalizzare così sul perchè una cosa è stata fotografata. dipende caso per caso, secondo me.
PS anche il pittore può giocare con la percezione, no? come e più del fotografo, forse…
Si, ma il pittore barerebbe… che senso avrebbe “l’omino felice delle sabbie mobili” dipinto? :p
Quanto al papiro, non è una norma… secondo me la crudità della esposizione serve a sensibilizzare verso il dolore e la miseria, non a “coercizzare”. Che poi alla fine l’importante è che se ne discuta, ma ponendo ai due estremi le ragioni della libertà assoluta e della restrizione.
Quanto a flickr, e’ difficile trovare qualcosa sul tema che davvero vada oltre l’immagine (che poi dovrebbe essere il senso della street fatta bene). Forse non il 90%, ma il 70% della street su flickr non mi pare street (perchè, sempre imho, non basta una foto fatta per strada e metterci una tag per avere street).
Per me persone indigenti non si fotografano a meno che non si e’ reporter nel qual caso la foto serve a trasmettere un messaggio quale la fame nel mondo ecc. Ecc.
Ehi Bananocrate che ci fai qui?? Entrambi di Salerno …..
Bellissimo post Pega!
si può scherzare sulle situazioni e persone che si fotografano, ma mai senza il rispetto dovuto all’uomo (e alla donna, ma lì il discorso è diverso…).
fatto salvo questo, nel caso estremo di persone a disagio più o meno grave l’atteggiamento giusto, per me, è quello di considerare il grado di morbosità della scena o di quello che se ne percepisce: finché ne resta anche un solo grammo allora debbono tenersi le foto per sé.
se per remotissima ipotesi riuscissi a sublimare il dolore e l’emarginazione allora sì, potrei pubblicarle: ma non mi succederà… anche e soprattutto perché mi manca la totale, sincera e assolvente eNpatia con il dolore che hanno o i sofferenti ed emarginati o i santi