Oggi ti ripropongo un vecchio post.
Lo scrissi subito dopo aver trovato questa immagine: uno splendido esempio di come si lavorava prima dell’avvento del digitale ed un interessante documento per chi spesso discute sul tema della postproduzione delle fotografie.
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Quante appassionate discussioni sull’opportunità o meno di intervenire sulle immagini digitali. Da una parte i puristi del “non si tocca nulla”, dall’altra gli smanettoni.
E’ curioso, ma secondo me, la diatriba non ha molto senso.
La postroduzione è sempre esistita e la questione eventualmente non sta negli aspetti tecnologici ma nella “misura”, nella capacità di trovare il giusto limite oltre il quale non andare.
A parte il fatto che anche in molte altre forme d’arte si può parlare tranquillamente di postproduzione, e senza problemi di tabù (pensiamo alla musica, al cinema ma anche alla stessa pittura), comunque la fotografia ha avuto fino dai suoi albori il processo dell’immagine tra le sue caratteristiche peculiari.
Non è forse postproduzione lo sviluppo del negativo?
E che dire della stampa? Della scelta della carta e del trattamento? Mai sentito parlare di “sviluppo selettivo”?
Quante variabili poteva controllare il fotografo in camera oscura e poi in fase di stampa? Molte, davvero molte.
Ansel Adams ci scrisse un intero libro “The Print”.
L’immagine sopra è un documento interessante.
Si tratta dello schizzo di istruzioni di esposizione con cui Richard Avedon istruiva il suo “stampatore”.
In inglese suona curioso e stranamente tecnologico: ”Avedon’s instructions to his printer”.
[Image from : http://claytoncubitt.tumblr.com/%5D
Molto interessante.
Puoi immaginare quanto mi sta a cuore questo argomento, anch’io a breve voglio pubblicare un lungo articolo su questo argomento, addirittura mi piacerebbe creare un evento pubblico su questo argomento chiamando bravi fotografi sia di un versante che dell’altro…
a presto
Pino
L’argomento e’ motivo di discussione in tutti i circoli fotografici, un dato e’ certo: la post produzione esisteva anche nella foto analogica, aveva un altro nome : sviluppo e stampa, contrariamente ad oggi non era alla portata di tutti e il cancella e rifai non era percorribile. L’immagine postata, a parer mio, rivela quanto il grande fotografo conoscesse il risultato desiderato, oggi sono pochi coloro che si apprestano alla pp sapendo quale risultato vogliono raggiungere, ma tutti si cimentano nella insana speranza di rendere bella una brutta foto. Scattiamo belle immagini e renderle migliori sarà un esercizio più che condivisibile!
Ecco Gianfranco, a mio parere hai colto il punto più importante della faccenda: la chiarezza del risultato desiderato. La visione dell’immagine finale nella mente del fotografo invece che una vaga serie di tentativi “nella speranza” di tirar fuori qualcosa di buono.
In questo c’è in gioco forse il concetto stesso di arte.
Quella chiarezza del risultato che anche in minima parte mi piacerebbe avere in modo costante e non solo sporadicamente, ma questa è un’altra storia e io non sono e sarò mai un artista.
L’ha ribloggato su che fotografia.