
Il miliziano colpito a morte – 1936 – Robert Capa
C’è una frase di Robert Capa che ogni fotografo dovrebbe sempre tenere a mente: “Se le tue foto non sono abbastanza buone è perché non sei abbastanza vicino“.
La distanza dal soggetto è un fattore chiave in fotografia. Pensa alla differenza che c’è nel riempire un fotogramma con il viso di una persona rimanendo lontani con un teleobiettivo, rispetto all’avvicinarsi a pochi centimetri. Il risultato è assolutamente diverso. Non è solo una questione tecnica di schiacciamento dei piani o di sfuocato dello sfondo. Avvicinarsi al soggetto vuol dire entrarci in relazione, stabilire un contatto, penetrare nella sua sfera di attenzione. E nello scatto questo si riflette, la foto viene diversa.
E’ forse proprio anche questo che voleva dire Capa. L’esortazione ad andare più vicino non si riferisce solo al significato fisico, ma anche al creare un rapporto con la persona fotografata, cercando di conoscerla meglio.
Il bello è che questo concetto di vicinanza si può anche estendere alle cose inanimate ed applicare a qualunque soggetto fotografico. Avvicinarsi significa appassionarsi, approfondire ed imparare qualcosa su ciò che vogliamo fotografare. Che sia un paesaggio o un animale, andarci vicino vuol dire creare un legame con esso, conoscerlo e cercare di capirlo.
tranne che per i ritratti studiati, o al limite scatti come questo sopra (anche se col ca°°o io starei lì nel mezzo d’una sparatoria!), non sono granchè d’accordo.
la lontananza dal soggetto (inconsapevole) facilita anzi la spontaneità dei suoi gesti, che vengono quindi osservati in maniera “esterna”, ma paradossalmente in modo più intimo, sia dal fotografo che decide il mmomento, che l’altro nei suoi movimenti, di cui deve render conto solo a sè stesso. anche la fusione con l’ambiente è diversa, e il personaggio più “isolato”, nella distanza.
ovviamente, come dicevo all’inizio, in caso di ritratti studiati il rapporto col fotografo diviene essenziale. ma per il resto se ne può discutere…
Senza dubbio al buon Capa il coraggio non mancava….. ma l’incoscienza gli fu fatale…
http://allegriadinubifragi.wordpress.com/
Si è vero. Sicuramente Capa, come anche altri fotoreporter di guerra che hanno seguito la sua strada, pagò pesantemente il suo impegno saltando su quel campo minato e forse proprio la sua fine lascia poca importanza a tutte le polemiche che negli anni settanta ruotarono intorno all’autenticità dello scatto del miliziano.
Quel che contava per Capa era davvero la “vicinanza”, quel concetto di intimità col soggetto che non poteva tradursi nel far foto da lontano, magari nascosto ed al sicuro, ma realizzarsi solo vivendo direttamente l’azione nel bel mezzo del pericolo stesso.
E’ sicuramente un approccio diverso da quello dell’osservatore che freddamente carpisce un’espressione da lontano, che non partecipa a cosa accade nella foto se non in modo totalmente passivo.
E’ in questo senso Fulvio che, sebbene io rispetti il tuo punto di vista e lo capisca, trovi sempre molto più interessanti gli scatti dove il fotografo è parte integrante dello scatto, protagonista a suo modo, in maggiore o minor quantità, nel bene o nel male, ma è comunque protagonista.
E’ un concetto personale che espressi un po’ di tempo fa in un post che parlava dei “tre punti di vista” ( http://wp.me/pCYfM-7C )
🙂
troppo vicino ciòPpaura
@g_u sei il solito cacasotto 😀
Sottoscrivo in pieno, parola per parola.