
Ansel Adams
Si dice che le frasi dei personaggi illustri siano una delle fonti più importanti di ispirazione ed insegnamento.
La fotografia non è esente da questa regola e c’è una frase di Ansel Adams che credo sia una delle più significative mai dette.
“You don’t take a photograph, you make it”.
La traduzione in italiano non è efficacissima, ma in sostanza Adams voleva esprimere l’importanza di un atteggiamento attivo che il fotografo deve assumere quando realizza i suoi scatti.
“Cosa includere e cosa escludere”,”qual’è il soggetto”,”a chi è destinata”,”che emozioni deve suscitare”, “a chi potrà davvero interessare”. Sono solo alcune delle domande che potrebbero aiutarci a “creare” (to make) la foto, ed assumere quindi proprio il comportamento a cui Adams faceva riferimento.
E’ un approccio alla fotografia pragmatico e rigoroso, a cui si sono rifatte intere generazioni di artisti, tra cui moltissimi grandi nomi.
Ma non è l’unica possibilità. Esistono anche altre strade, tra cui quella di una fotografia più istintiva, più casuale ed opportunista, forse caotica, fatta di scatti meno meditati in cui magari riconoscere solo a posteriori il valore comunicativo, rendendosi conto che a volte può essere comunque molto elevato.
Sono punti di vista che, secondo me, non devono obbligare a scegliere da che parte stare perché, una volta razionalizzati, si può anche decidere di prendere qualcosa dall’uno e dall’altro, coltivando con consapevolezza una propria e personalissima “via fotografica”.
l’approccio fotografico: è un punto che m’ha fatto riflettere parecchio negli ultimi tempi. Perché, devo dirlo, il mio approccio attuale è proprio quello che hai descritto in fondo al post: m’aggiro attorno armato di camera, e quando colgo qualcosa che esteticamente m’attrae, scatto. Son quattr’anni che scatto, e nel tempo il gusto s’è affinato, ho imparato a vedere, a cogliere e un po’ d’esperienza me la son fatta. Scatto eppoi al momento della selezione, scartando e scartando, tengo solo ciò a cui riesco a dare un significato.
Beh, mi sono accorto che questo approccio non mi basta più, perché non riesce a coprire tutto ciò che mi piacerebbe saper comunicare attraverso la fotografia. S’è creata una dicotomia tra la ripresa e la fruizione della fotografia, la prima basata su aspetti estetici (luce, composizione, pulizia, precisione), la seconda animata dalla necessità di comunicare stati d’animo che di estetico han ben poco. Così ora sto cercando di invertire il processo: partendo dal “significato”, da ciò che m’interessa comunicare, elaborare un’immagine prima pensata e cercata, cercando il più elevato standard estetico possibile. Ci impiegherò altri quattr’anni per arrivare ai primi risultati, e poi da lì per sempre alla ricerca “dell’immagine perduta”.
Chissà…
Eh, proprio così… Panz… alla fine per ciascuno di noi la fotografia è anche un percorso, una ricerca.
Che chi parte da un lato per arrivare all’altro e viceversa, c’è poi anche chi ripercorre la strada, magari più volte.
Alla fine si potrebbe scoprire anche che il bello sta proprio nel “viaggio”.
🙂