Nella storia dell’arte orientale c’è una figura affascinante, che trovo connessa con il processo creativo che a volte si percorre con la fotografia. E’ il pittore e calligrafo Cinese Wang Mo.
Si narra che Wang Mo creasse le sue splendide opere raffiguranti paesaggi e scene naturali procedendo in due fasi. Nella prima si ubriacava, beveva fino ad arrivare a muoversi con difficoltà, poi intingeva nell’inchiostro i suoi lunghi capelli e con questi iniziava ad imbrattare la tela. Continuava per pochi minuti alla fine dei quali crollava addormentato.
Il mattino seguente, sobrio, esaminava i pastrocchi generati la notte ed iniziava ad apporre pennellate, fino a trasformare quello che era un grezzo scarabocchio in un’opera d’arte.
Il parallelo che vedo con la fotografia è che sovente iniziamo a fotografare e la passione ci porta a fare tanti scatti, specie in digitale, liberi da quelli che un tempo erano vincoli e preoccupazioni di costi di pellicole e sviluppo. A volte la grande quantità di immagini che produciamo ha il sapore di una piccola frenesia, di una sorta di ubriacatura. Una volta a casa, davanti al monitor, c’è il secondo momento, quello della sobrietà. Si esamina il lavoro con calma e magari si “scopre” il particolare in uno scatto, ci si lavora e si fa qualcosa che ne trasforma qualcuna in un qualcosa che davvero ci piace e ci soddisfa.
E’ un processo creativo in due fasi: la prima sul campo quasi a raccogliere materiale grezzo, la seconda davanti ad un computer, a svolgere una sorta di processo di sintesi.
Si tratta di un approccio molto diverso da quello a cui si era portati con la fotografia analogica, dove gran parte della fase creativa era al momento dello scatto, cosa che costringeva ad una disciplinata previsualizzazione.
Non so dire se è meglio o è peggio ed in ogni caso non è sempre così. Probabilmente per qualcuno non lo è mai.
Quel che certo è che con il digitale a volte c’è davvero la sensazione di generare foto che nascono un po’ inconsapevoli, in due fasi, insomma un po’ alla Wang Mo.
🙂
Non so dire se il digitale ha impigrito o meno il fotografo (e i presunti tali), ma sicuramente gli ha dato una grande mano, favorendo un’ingordigia di scatti da cui poi dopo scegliere. Forse l’analogica consentiva di mettere più in luce la creatività spontanea dell’artista, facendo una selezione naturale tra i fotografi veri e tutti gli altri che oggi tra photoshop e affini possono diventarlo!
Lo faceva anche un mio amico. Si strafaceva di Halcion e poi inondava la tela di colori. Solo che non era Wang Mo e non lo sarà mai.
Posso farti una domanda OT: perchè in un blog di fotografia hai conservato la foto della testata di WordPress?
Lidia, certo che puoi fare una domanda OT. La risposta è che questo non è un blog di fotografia e questa è “solo una scusa”.
A parte gli scherzi, prima o poi cambierò la testata, del resto lo dico da ormai più di tre anni 🙂
Ciao.
ma come non è un blog di fotografia? Aspetta, qui mi perdo un po’. E’ un blog di critica fotografica, ok, anche il mio è un blog di critica sul giardino, però la testatina l’ho cambiata!
No dai stavo scherzando, mi riferivo al sottotitolo “la fotografia è una scusa”.
Ok, mi hai convinto dai, la testata la cambierò 🙂
ottimo, allora aspettiamo con curiosità di vedere con cosa la sostutuirai!
Per quel che mi riguarda confermo che il processo creativo segue l’itinerario descritto: tanti scatti tra cui poi selezionare, però permettetemi di dire che se tra gli scatti “a grado zero” non c’è materiale buono, non c’è photoshop che tenga, lo scatto scarso rimane tale. Non mi sento un gran fotografo, sono un modesto appasionato, ma sento d’aver acquistato proprio con la pratica e l’esercizio quel minimo di decenza che mi permette di sopravvivere. sono quindi grato al digitale d’avermi permesso questo livello.
Ricordo però che da squattrinato ventenne (roba del secolo scorso e più…) dopo aver parcamente scattato quel poco che mi permettevano le scarse finanze, s’inseguiva il mito dei grandi fotografi che scaricavano rullini su rullini in ogni occasione. Cioè il mito dello scatto libero esisteva già allora, solo che se lo potevano permettere solo i ricchi “fotografi professionisti”. Miti e leggende.
Senza dubbio quello che tu chiami “scatto libero” è uno dei più importanti doni che ci ha portato il digitale.
Gnente (aPparte me) è inconsapevole, nemmeno le associaZzioni di idee
mi è rimasto nella penna “casuali”: volevo dire le casuali associazioni di idee