Nel mondo del cinema ci sono molti film dove la fotografia riveste un ruolo importante e così quando mi capita di scoprire o riscoprire una pellicola che manifesta questa caratteristica, non resisto a farci un post, proprio come già in passato ho fatto con Smoke o Blow-up.
Memento è un thriller del 2000 dove il protagonista Leonard Shelby (Guy Pearce) ha perso la memoria a breve termine: ricorda tutto quello che è accaduto prima dell’aggressione in cui è stata uccisa sua moglie, ma dimentica tutto quello che succede nel presente.
Vuole rintracciare ed uccidere l’assassino, ma con questo handicap la missione è al limite dell’impossibile.
Ma Leonard ha un metodo: annota tutto, sulla carta come sul suo stesso corpo, tatuandosi addosso le informazioni da trattenere, come nomi, indirizzi e fatti. Inoltre fotografa tutto con una polaroid che porta sempre con sè per fissare ciò che solo con l’immagine si può descrivere.
Ogni volta che perde la memoria riparte come da capo, ed è costretto a fidarsi delle sua “tracce”.
È una splendida metafora dell’importanza che la parola scritta e le immagini hanno per l’uomo, la cultura e la memoria storica, ma come fotografo devo sottolineare un altro messaggio significativo.
Leonard è costretto continuamente a scrivere note e commenti sulle polaroid. Le immagini da sole non bastano, non hanno sufficiente significato. L’immagine è incompleta senza la parola. L’insegna di un locale o il viso di una persona non sono utili senza informazioni scritte.
È qualcosa che mi ha fatto ripensare a qualche vecchio post in cui sostenevo l’importanza del titolo e delle parole che accompagnano la fotografia.
Non è una regola fissa ma Memento ci ricorda che senza una opportuna comunicazione che permette all’osservatore di contestualizzare ed interpretare, la fotografia può rischiare di perdere parte del suo significato.
Cinema e fotografia: Memento
18/02/2013 di Pega
Splendido film!
Gran film e ti do ragione anche sul fatto della comunicazione, che è fondamentale. Basta una parola sbagliata e il significato cambia. E’ impressionante come un titolo valga così tanto e sia in grado di modificare l’impressione che si ha di una fotografia o un quadro.
Ora che mi ci fai pensare, il film è interessante perché ci si perde molto (con la testa) nella narrazione ma le parole e li immagini ci permettono di capire l’ordine delle cose.
E pensare che siamo nell’era della comunicazione per icone…
Icone sì, ma con nota 🙂
Eppure a me piace pensare che una fotografia sia capace di vivere della sua specificità, e poi, vuoi mettere la possibilità e anche la soddisfazione della libera interpretazione?
Naturalmente, poi, ogni considerazione è subordinata all’uso che di quella foto se ne deve fare!
p.s.
seguo il tuo blog e sto imparando tante cose interessanti. Grazie.
Ritengo anch’io importante il titolo, indipendentemente dalla libertà di interpretazione che un osservatore può sempre e comunque fare, perché fornisce la chiave di lettura che l’autore vuol dare all’immagine. E’ il codice che ci permette di decifrare la cripticità dell’immagine. E’ il ponte che collega autore e fruitore