Siamo assuefatti al “quick cut”, quella precisa scelta di regia e montaggio che nel mondo del video opta per continui cambi di inquadratura, scene brevissime, dinamiche e veloci, quasi dei flash che si susseguono.
E’ una tendenza che nel corso degli anni si è sviluppata sempre di più. Nata nei videoclip si è trasmessa al mondo degli spot pubblicitari, per approdare ormai in qualsiasi produzione visiva: dalla fiction ai telegiornali, al cinema.
Ormai ci siamo abituati, siamo stati pian piano “addestrati” a sfruttare quella capacità del nostro cervello di saper “cogliere al volo” la sintesi, di “surfare” tra le informazioni audiovisive, in un flusso sempre più veloce e denso, spesso ricchissimo di suggestioni pubblicitarie.
Personalmente ho sviluppato però nel tempo, una forma di rigetto nei confronti di questo stile. Una sorta di intolleranza.
Odio il quick cut perché ha iniziato a farmi parzialmente perdere la capacità di fermarmi a guardare, godere di una scena, studiarne le caratteristiche con calma. E questo è tanto più grave se questa superficialità la andiamo ad usare con le fotografie.
Le foto vanno gustate. Già in precedenti post accennavo al piacere di studiare a fondo le immagini, di “ascoltarle” a lungo quasi come si fa con un pezzo musicale o anche come si assapora con calma un calice di buon vino.
Il quick cut è invece un atteggiamento, un’impostazione, un modo diverso di guardare, che tende ad allontanarci da tutto questo.
Ed è un gran peccato.
Odio il quick cut (reloaded)
29/11/2013 di Pega
Concordo in pieno con te!!!
Ciao, Patrizia
Concordo
Tempo fa guardavo alla tv delle vecchie puntate del commissario Maigret (un cult della mia infanzia) e, con mio sommo disappunto, non riuscivo a restare sveglio: primi piani infiniti, insistenza sui dettagli, lentezza esasperata nel dipanarsi della vicenda, dialoghi surreali o inesistenti, insomma assolutamente soporifero. Oggi invece i film o gli sceneggiati viaggiano a velocità tripla, continui capovolgimenti di scena, stacchi imperiosi dal primo piano alla scena in campo aperto e ritorno. Insomma la tecnica video si è evoluta(?) in modo autonomo e spaventosamente veloce. E’ giusto? è bello?
Credo che non sia coretto porre la questione in questi termini, è semplicemente un’altra cosa, credo che la capacità di analisi resti immutata anche di fronte alla velocità, il video, la fotografia, sono solo mezzi attraverso i qual la nostra capacità di introspezione si esercita; se non riusciamo a farlo la “colpa” è nostra, quasi mai del mezzo.
Poi ovviamente tutti noi abbiamo e nostre preferenze, io dal canto mio non mi sognerò più i rispolverare i miti della mia infanzia, molto meglio tenersi i ricordo.
Tra l’altro, come scrive Proust, non si ha nostalgia delle cose, bensì del tempo in cui quelle cose sono avvenute. Come è vero!!.
Certo, Proust a aveva tutte le sue ragioni 🙂
Il fatto è che comunque esiste un limite, fisico, oltre il quale non siamo fisiologicamente in grado di apprezzare un’immagine o una sequenza di suoni o almeno non lo possiamo essere per tutta la loro “interezza”. In sostanza percepiamo qualcosa di più sintetico. È un po’ questo ciò a cui mi riferisco. Non dico che sia sbagliato e semplicemente parlo del mio gusto quando dico che odio il quick-cut.
In ogni caso resta un fenomeno che si esprime solo per alcuni media che hanno la possibilità di “contrarsi”. Il cinema può velocizzarsi, e lo ha fatto, molto, ma perchè aveva i margini per farlo.
ehm… deduco che allora non apprezzerai molto queste: http://t.co/dfsSLBq4Sv 😉 (nel loro piccolo, le trovo idee davvero geniali. per il resto, sottoscrivo pienaente il tuo punto di vista!)
Hahaha. Mammamia! Altro che quick-cut, questa è roba da attacco epilettico!
🙂
Comunque non credere che mi disgustino del tutto, sono a modo loro una forma espressiva, che tra l’altro avevo in qualche modo citato in un recente post ( https://pegaphoto.com/2013/10/28/la-potenza-della-simmetria/ )
Grazie del contributo!
il quick cut ha un suo perché. è l’abuso (come al solito) che lo rende intollerabile. l’abuso di qualunque tecnica svilisce il contenuto che si vuol rappresentare in qualunque forma di comunicazione, anche artistica.
L’abuso è, effettivamente, quasi sempre nocivo.
Scatta scatta scatta, posta su fb, twitta, e via discorrendo… apparentemente siamo in grado di masticare molte più informazioni di un tempo, ed in parte questo è vero, ma si è persa la capacità di assaporarle e digerirle – una frenetica bulimia che non ci consente più di ascoltare ed osservare, ma solo sentire e vedere (e spesso nemmeno quello). Non dico che il nuovo non sia buono, ma non perdiamo ciò che di buono c’è nel vecchio.
Uff, nemmeno io sopporto questa frenesia delle immagini che vuole trasformare tutto in un videoclip. Magra consolazione: adesso, grazie a te, posso darle finalmente un nome 😀
Le cose che più mi fanno irritare sono la simulata instabilità della macchina da presa e le zoomate fintamente imprecise che caratterizzano le fiction italiane su polizia e carabinieri (solo per citare un esempio)… Capisco che si voglia dare ‘realismo’ alla scena, ma far finta che sia tutto girato in presa diretta come fosse un servizio del TG delle 20.00 lo trovo francamente ridicolo.
Tra l’altro, mi chiedo come la vivono i cameraman: anni di esperienza e perfezionamento nell’uso della macchina da presa… e poi li costringono a incespicare come dei dilettanti. Certo, ci vorrà professionalità anche in questo, ma secondo me l’effetto finale penalizza tutto il resto.
E’ vero, hai aggiunto un’altro tassello a questa storia: l’instabilità dell’inquadratura.
In effetti si tratta, anche in questo caso. di una scelta stilistica ben precisa e concordo con te sull’effetto dilettantesco che introduce. E’ una “tecnica” arrivata da alcune fiction USA dove è stata applicata in modo massiccio.
La aggiungo anch’io tra le cose che non mi piacciono. 🙂