E’ un tipo di fotografia particolare quella di Gregory Crewdson, in genere “o la odi o la ami”. I suoi scatti, noti per la costruzione estremamente meticolosa della scena ed il posizionamento di luci e personaggi, sono degli “still life” complessi e totalmente pianificati, dove niente è lasciato al caso. E’ un approccio che ha un forte legame con l’arte cinematografica, tanto che molte delle fotografie di Crewdson sembrano una sorta di fermo immagine di altissima qualità tratto da un film.
Questo artista americano ha una componente creativa che tende a sollevarlo dalla macchina fotografica e da molti degli aspetti tecnici, portandolo a concentrasi sul risultato finale ed assumere un ruolo sovrapponibile a quello di un regista, tutto ciò a tal punto che Crewdson è un fotografo che per realizzare le sue opere si avvale di un direttore della fotografia.
Potrebbe sembrare un paradosso ma non lo è. Gregory progetta le sue immagini con in mente un risultato ben preciso: far lavorare le fantasia dell’osservatore, stimolare le sue capacità di proiezione ed interpretazione di ciò che è una sorta di cattura dell'”istante perfetto”.
Le atmosfere che si trovano nei suoi scatti sono oniriche, rarefatte ma allo stesso tempo pesanti, in genere ambientate nella provincia statunitense, immagini che sembrano far parte di una concatenazione di eventi inquietanti.
Raccolte in progetti di respiro decennale come “Beneath the roses“, che è stato esposto in molte importanti gallerie del mondo, sono opere che danno l’impressione di voler rivelare una sorta di lato oscuro del “sogno americano”.
In Crewdson si sentono nette influenze pittoriche e letterarie, in particolare Edward Hopper e Raymond Carver, quello che ne risulta è un’estetica dal forte impatto, che finisce per dividere il pubblico.
Ammiro molto Crewdson, mi affascina la sua capacità creativa, la sua determinazione maniacale nel lavorare per raggiungere esattamente ciò che ha previsualizzato nella sua testa. Non importa quali mezzi tecnici siano necessari per raggiungere il risultato, quale obiettivo o macchina fotografica sia impiegata. Non importa se servono imponenti attrezzature, attori da dirigere, truccatori, comparse o interi teatri di posa in cui costruire complesse scenografie.
C’è una gran bella distanza, un abisso incolmabile tra un progetto di Crewdson ed uno scatto colto al volo, magari stupendo, ma fatto per caso.
Può non piacere a tutti ma questo per me è un bell’esempio di arte fotografica.
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Per chi volesse approfondire segnalo il film “L’istante perfetto“, realizzato dal regista Ben Shapiro che per dieci anni ha seguito Crewdson registrando le fasi creative e tecniche che danno vita alle sue immagini. E’ un documento che offre l’opportunità di conoscere la visione ed il modo di lavorare di questo fotografo ed è attualmente in programmazione su Sky Arte.
Non sapevo del documentario realizzato su Crewdson. La staged photography è una mia passione. Ho la fortuna di possedere il bel volume di Beneath The Roses, comprato a NY, che contiene questa serie “cinematografica” e che consiglio vivamente per la qualità della stampa. Segnalo anche il lavoro in bianco e nero su Cinecittà e sulle lucciole, stili molto diversi ma ugualmente interessanti, forse meno “staged” ma più “photography”.
Tu pensa che io mi sono perso una sua mostra alla Strozzina qualche tempo fa…
Vidi una sua mostra a Roma qualche anno fa e ne rimasi affascinato.
Non sapevo del documentario e noto, con rammarico – cercando su interet – che la sua visione è limitata alla pay tv (il dvd non è ancora in circolazione).
Vedrai che prima o poi esce anche in DVD oppure anche in pay-per-view. Credo che troverai il modo di vederlo insomma, ne vale la pena.
Ciao!
Aggiornamento: vedo dal sito http://www.gregorycrewdsonmovie.com/ che il film dovrebbe essere disponibile in varie modalità.
Grazie, il video è solo in inglese, con sottotitoli per non-udenti (che potrebbe pure starci…un conto è ascoltare, un altro è leggere….). Il problema, mi sembra di capire, riguarda il fatto che il DVD sia adatto per il solo mercato americano e canadese (trovo, infatti, nelle note quanto di seguito: *Region: Region 1 (U.S. and Canada only. Read more about DVD formats.)* Andando a controllare nei dettagli mi sembra di capire che il formato del video potrebbe NON essere riproducibile sugli apparecchi venduti in altri stati…Tra le altre cose il mio lettore ha già 5/6 anni…).
Incredibile!! Tutto questo lavoro per costruire una ‘semplice’ immagine… E non stiamo parlando della pubblicità di un’automobile! Insomma, dietro c’è anche uno sforzo economico non indifferente: come finanzia i suoi progetti, Crewdson?
Comunque sono sempre più affascinato dal mondo della fotografia: un arte molto più ricca di modi espressivi di quanto potessi immaginare. Che tipo di macchine fotografiche si usano per la “staged photography”? (grazie a Sandro per la definizione)
Crewdson usa delle machine fotografiche analogiche di grande formato. Strumenti dalle notevoli capacità in termini di fedeltà e risoluzione, molto adatti a raccogliere dettagli minuziosi in scene che a volte sono davvero molto vaste. Guardando il documentario si vede che spesso i tempi di posa sono lunghi, nell’ordine del secondo o più ed agli attori viene chiesto di stare immobili nella posa (ed espressione) indicata.
Il budget c’è, e non è irrilevante. La domanda su come Crewdson si finanzia è interessante ma credo possa associarsi a quello che avviene con tanti altri fotografi o artisti. Una delle vie più classiche è il “reinvestire” ciò che si è ottenuto con ui successi precedenti, ma nel caso di Crewdson non escluderei la figura del “produttore”… vista la vicinanza con il cinema 🙂
Sono molto combattuta su questo tipo di arte.
Il lavoro dell’artista è senza dubbio molto bello: mostra spaccati di vita e dettagli che sicuramente non noteremo (causa luci e altro) in una foto di strada, rubata o fatta al volo.
Il risultato del regista fotografico – lo chiamerei così personalmente – è merito anche di tutte le persone che hanno lavorato a realizzare ogni singolo progetto (fotografia).
Lui crea e/o ricrea momenti passati raccogliendo, per le sue scenografie, suppellettili dell’epoca da riproporre che comprendono anche trucco, vestiti, attori, luci e tanto altro.
Per me il tipo di arte che realizza è più vicina alla finzione e quindi al cinema ovvero alla ricostruzione di tipo documentaristico o fantastico di spaccati di vita, di sogni, visioni personali e interpretazioni.
La direzione fotografica di un film nasce proprio come ricostruzione reale (simulata) dei fatti realmente accaduti.
Certo la sua opera è una nuova apertura all’utilizzo del mezzo fotografico ma quello che io reputo LO SCATTO è la realizzazione temporale di un momento irripetibile ed in questo suo comporre, studiando le sue foto si potrebbe – non senza fatica – riprodurre nuovamente ciò che l’artista ha prodotto – e questo toglie l’essere unico e irripetibile il suo scatto.
Inoltre nel vedere una sua mostra – non sono così sicura che apprezzerei il suo lavoro – sicuramente mi sentirei in un acquario dove il pesce sono io …insomma una sorta di acquario al contrario dove tutto è costruito in ragione del risultato che si vuole raggiungere.
La perplessità mia è anche quella di sapere dell’artificiosità del tutto e quindi non provare emozioni…se non sapientemente scaturite da ricostruzioni sceniche ..appunto come in un film.
Forse sono un po’ antiquata e romantica ma la fotografia per me è l’attimo in cui si scatta e che non torna, è la sensazione del momento unico e irripetibile per la bellezza e la combinazione di occhio, mente, cuore, luce, ombra e tanto altro.
Dal pc da cui scrivo riesco male ad immaginare l’emozione o la sensazione data dalle opere benché possa apprezzare lo spirito dell’artista – collego sempre la fotografia ad eventi, emozioni sensazioni ecc… che se pur in alcuni casi possono essere “studiati” posti – in questo caso – così all’estrema forma di pianificazione un po’ mi tolgono il gusto o forse per dirlo meglio la “magia” dello scatto vero senza (mega)forzature esterne.
Grazie per gli stimoli e le informazioni che dai con il tuo blog, oltre alla possibilità al libero pensiero,
Grande PegaPPP!
Ciao Monica. Innanzitutto ti ringrazio per questo tuo contributo. Sì, trovo azzeccata la perplessità circa la perdita dell’istante bressoniano nella staged photography di Crewdson.
Forse alla fine quello che risulta é che si tratta di filoni artistici completamente distinti ed il bello è che nessuno può impedirci di esplorarli tutti, anche contemporaneamente 🙂
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