Ha ancora senso il concetto fotografico dell'”attimo fuggente”? Quel modo di scattare focalizzato sulla capacità di “cogliere il momento”, che tanto influenzò una fetta di fotografi del novecento e di cui fu maestro Henri Cartier-Bresson?
Oggi che chiunque può produrre paurose raffiche di immagini e selezionare il “momento decisivo” a posteriori, ha ancora un valore questo approccio?
Bresson è passato alla storia per le splendide foto che realizzava con una piccola Leica 35mm che gli consentiva di essere “nel posto giusto al momento giusto”, a cogliere il “momento decisivo”.
Questa definizione lo ha consacrato tra i mostri sacri della fotografia del novecento ma è molto riduttiva e fa pensare a Bresson come ad un campione di prontezza di riflessi, come se tutto il suo lavoro fosse focalizzato sul premere il pulsante dell’otturatore con gran tempismo…
Approfondendo la sua vita attraverso i suoi scritti e quelli di chi l’ha conosciuto si scopre facilmente che non è assolutamente così, Bresson è forse stato vittima delle sue stesse definizioni.
La cattura del “momento decisivo” era sempre frutto di grande studio, valutazione e ricerca, una ricerca continua. Quando parlava con una persona Bresson sembrava irrequieto, pareva voler continuamente provare un’angolazione diversa per fare una foto, era come se cercasse sempre di mettere l’interlocutore su uno sfondo adeguato. La sua passione artistica era tale che l’attenzione era costantemente rivolta verso la scoperta di nuove inquadrature e scatti.
La foto Hyères è un esempio di questa straordinaria tensione creativa, uno scatto famoso che non è frutto di un colpo di fortuna o di una gran prontezza di riflessi, come potrebbe sembrare.
Bresson effettuò decine di esposizioni dall’alto di quella scalinata. Aveva trovato una composizione che lo affascinava, un insieme perfetto, o quasi… mancava solo un dettaglio di dinamismo, qualcosa che doveva passare e che andava fermato in quel punto…
Passarono, e furono fotografate varie persone, in varie condizioni e punti. Ma fu l’uomo in bicicletta che rese lo scatto perfetto.
Forse oggi, con il digitale, è tecnicamente più facile fare uno scatto di questo tipo, ma rimane intatta la grande capacità necessaria per pensarlo e farne un’opera d’arte.
È fuor di dubbio che le tecohanno agevolato le ricerche e la possibilità di ottenere uno scatto “decisivo”, ma è pur vero che tutta la tecnologia di questo mondo non potrà mai sostituire quella capacità e quella sensibilitá che fanno del “semplice” fotografo un artista perché come disse lo stesso HCB “le foto sono fatte con gli occhi e col cuore”.
Come sempre è un piacere leggere questo blog; confesso che non lo faccio costantemente, ma ogni volta che ritorno qui provo lo stesso interesse e lo stesso godimento.
In merito all’argomento che proponi attraverso la bella Hyères, non posso che concordare con te e col commento precedente. Possiamo scattare a raffica e ottenere una buona foto per caso, molto aiutati dalle macchine. Ma poi la foto che davvero dirà qualcosa a noi stessi e a chi la guarderà, è quella in cui abbiamo creduto, quella di cui ci siamo innamorati prima di vederla “sviluppata”.
E’ sempre un piacere ricevere le tue visite!
Ciao Carla!
mi consola molto leggere questo resoconto, mi fa illudere che ancora l’occhio artistico conti qualcosa 🙂