Torno spesso a rivedermi le foto di Richard Avedon, uno dei principali protagonisti della fotografia americana del secondo novecento.
Per me la sua grande caratteristica è la sorta di sintesi che seppe trovare tra fotografia artistica classica, pop art, mondo dello spettacolo e della moda.
Con una carriera che iniziò come fotografo per carte di identità e di relitti di navi mercantili, Avedon passò negli anni ’40 al mondo della moda portando in Harper’s Bazaar, la rivista per cui lavorava, la novità di porre le modelle in contesti urbani non convenzionali.
Da quel momento la sua carriera decollò. Lavorò per Vogue, Life e molti prestigiosi marchi della moda e con il passare del tempo emerse la sua grande passione per il ritratto. Una tipologia di ritratto introspettivo che scava nella personalità del soggetto e lo pone in atteggiamenti o contesti che consentono un contatto emotivo lontano dai clichè tradizionali.
Attraverso intere decadi che vanno dagli anni ’60 all’alba del nuovo millennio, per molti personaggi famosi e star, quello di Avedon divenne uno studio fotografico da cui era necessario passare, a patto di essere disposti ad esporre se stessi in modo diretto.
Trovo particolare in Richard Avedon la capacità di separare bene la sua attività di fotografo commerciale su commissione per il settore della moda e dello spettacolo, dal suo personale impegno e ricerca sul ritratto introspettivo unito al reportage di denuncia. Un esempio di questa passione è l’importante progetto che svolse in Vietnam a documentare gli orrori della guerra con crude foto di corpi mutilati e straziati dal napalm.
Uno stile, quello di Avedon che, anche nei lavori più chiaramente commerciali, come ad esempio gli scatti per i grandi nomi della moda, fa percepire una personalità ed una originalità che solo pochi grandi hanno saputo esprimere.
E’ significativa una sua frase che sottolinea l’irrefrenabile passione per la fotografia che lo accompagnò fino all’ultimo: “If a day goes by without my doing something related to photography, it’s as though I’ve neglected something essential to my existence“
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