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Archive for the ‘Books’ Category

eBook digital photographySe sei ancora tra i pochi a non averne approfittato, ti segnalo un’opportunita degna di attenzione: la possibilità di scaricare gratuitamente un famoso libro sulla fotografia digitale “How to Create Stunning Digital Photography”.
Gli autori Tony e Chelsea Northrup, hanno deciso di attivare temporaneamente questo “giveaway” per festeggiare il milione di followers del loro popolare programma YouTube regalando a chiunque il download della versione eBook del loro libro.

Su Amazon “How to Create Stunning Digital Photography” è un bestseller che vanta cinque stelle ed oltre duemila recensioni, viene normalmente venduto a 20$ in versione cartacea ed a 10$ come eBook.
Io l’ho già scaricato, lasciando comunque un piccolo obolo dato che la proposta, a dire il vero, è “pay what you can”.
🙂

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Susan Sontag

Susan Sontag – © Copyright 1975, Peter Hujar

Mi sono riletto uno dei suoi più famosi scritti e così ripubblico qualche considerazione su Susan Sontag, una delle figure più interessanti che il mondo della fotografia abbia mai conosciuto. Non era una fotografa ma un’intellettuale, una scrittrice dal profondo spirito critico ed analitico, capace di una visione innovativa e molto indipendente.
Nei suoi saggi la Sontag propose un approccio all’arte che risultava antiaccademico, spesso in conflitto con il classico stile intellettuale che contraddistingueva (e contraddistingue tuttora) molta critica. Tra le sue idee c’era la necessità di riscoprire un rapporto diretto con l’arte, meno mediato, la ricerca di una componente fisica e sensuale, un discorso che la Sontag portò avanti fin dagli anni sessanta, facendone un obiettivo contestuale al movimento di liberazione ed emancipazione sviluppatosi in quel periodo.
Negli anni ottanta sviluppò una importante relazione con la fotografa Annie Leibovitz. Fu un rapporto affettivo ma anche una sorta di simbiosi culturale che portò le due donne a scambiare esperienze e visioni inserendole nel vivace contesto artistico di quegli anni.

Sulla Fotografia_sontagSe ne hai voglia ti consiglio vivamente il breve ma sostanzioso saggio che la Sontag scrisse nel 1973 intitolato “Sulla Fotografia“. E’ un libretto che rimane attualissimo e che, a mio parere, non dovrebbe proprio mancare sul comodino (non la libreria) di ogni fotografo.
Eccotene un passaggio:

“L’umanità si attarda nella grotta di Platone, continuando a dilettarsi, per abitudine secolare, di semplici immagini della verità. Ma esser stati educati dalle fotografie non è come esser stati educati da immagini più antiche e più artigianali: oggi sono molto più numerose le immagini che richiedono la nostra attenzione; l’inventario è cominciato nel 1839 e da allora è stato fotografato quasi tutto, o almeno così pare; questa insaziabilità dell’occhio fotografico modifica le condizioni di prigionia in quella grotta che è il nostro mondo; insegnandoci un nuovo codice visivo, le fotografie alterano e ampliano le nostre nozioni di ciò che val la pena guardare e di ciò che abbiamo il diritto di osservare; la conseguenza più grandiosa della fotografia è che ci dà la sensazione di poter avere in testa il mondo intero, come antologia di immagini; nelle fotografie l’immagine è anche un oggetto, leggero, poco costoso, facile da portarsi appresso, da accumulare, da conservare
Le fotografie sono forse i più misteriosi tra gli oggetti che formano, dandogli spessore, quell’ambiente che noi definiamo moderno. Esse sono in realtà esperienza catturata, e la macchina fotografica è l’arma ideale di una consapevolezza di tipo acquisitivo.
Fotografare significa infatti appropriarsi della cosa che si fotografa. Significa stabile con il mondo una relaziona particolare che dà una sensazione di conoscenza, e quindi di potere.”

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fotolibro

E tu, stampi le tue foto? Per quanto mi riguarda sento che dopo l’avvento del digitale, nonostante le enormi possibilità date dalla condivisione online, troppi scatti rimangono comunque inespressi e restano nell’hard disk come embrioni in un limbo.
Le foto digitali hanno un problema che spesso accomuna molti fotografi: rischiano di non uscire mai all’aperto, di non trasformarsi in qualcosa di tangibile e fruibile per tutti e tendono ad accumularsi senza essere viste da nessun’altro oltre al fotografo stesso.
Ed invece è bello stampare le foto, dà soddisfazione, permette anche agli altri di vederle e toccarle. E così ho pensato di fare dei fotolibri, una soluzione che poi aiuta ad evitare che queste stampe si accatastino senza senso a loro volta.
In rete si trovano molti siti per caricare e comporre online i propri album, come ad esempio Vistaprint.it che permette poi di ottenere delle ottime stampe, anche di libri in formato panoramico.
E tu hai mai provato a fare un fotolibro? Com’è andata?

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Lo Zen e il tiro con l'arco

Lo Zen e il tiro con l’arco

C’è un piccolo libro che più o meno tutti abbiamo letto.
E’ “Lo Zen e il tiro con l’arco” il racconto scritto da Eugen Herrigel, un professore di filosofia tedesco, che scelse di imparare in modo classico questa antica arte Giapponese, affidandosi ad un “Sensei” : un maestro Zen appunto.
Herrigel ne ricavò un’importante esperienza di vita, qualcosa che lo cambiò dall’interno e nel libro questa intensità c’è tutta.
Lo Zen e il tiro con l’arco è una lettura sovente suggerita da qualcuno che ne è rimasto affascinato o che comunque lo ritiene un piccolo gioiello da condividere.

Tempo fa, ritrovandolo su uno scaffale della mia libreria, decisi di rileggerlo (e lo si fa in un’oretta dato che sono circa novanta pagine) provando a fare quello che con lo Zen si può praticamente sempre: modificare totalmente l’oggetto dell’arte di cui si parla in origine, mantenendo però intatta la filosofia… lasciando quindi inalterato l’approccio.

E così rilessi il libro sostituendo la parola “arco” con “macchina fotografica” e “bersaglio” con “soggetto”. Lo “scoccare della freccia” diviene il “far scattare l’otturatore” ed il “volo” di questa si trasforma nel concetto di “‘esposizione”.

Ne viene fuori qualcosa di davvero interessante.
Da provare.

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Upcyling è il termine che definisce il processo con cui si convertono materiali di scarto o comunque non più utili, in nuovi oggetti o prodotti ancora fruibili.
book pinholeE’ il concetto alla base dell’idea di business di un certo Erin Paysse che sul suo sito vende macchine fotografiche pinhole ricavate da vecchi libri.

Sono pezzi unici, ovviamente fatti a mano ed innegabilmente dotati di un certo fascino. Si tratta di macchinette funzionanti con un otturatore magnetico e pensate per essere usate con normali rotolini 35mm.

Chiaramente è un approccio in decisa controtendenza rispetto a quello che è l’attuale sviluppo del mainstream fotografico ipertecnologico, fatto di megapixel che ormai si contano a decine, sistemi antivibrazione e autofocus intelligentissimi.
book pinholeIn questo caso siamo piuttosto nella nicchia delle toy camera, quel filone che sta sempre più acquisendo un’identità che affasciona proprio per la filosofia che sta alla base dell’adozione di macchine analogiche imperfette per definizione.

Le fotocamere di Payesse sono talmente semplici da non avere nemmeno l’ottica, sono pinhole appunto, e sfruttano il principio basico della camera obscura : l’effetto di proiezione dell’immagine che si ottiene attraverso un foro. 
book pinholeOgni macchina è accompaganata da un suo specifico set di istruzioni su come caricarla, quanti giri far fare alle manopole per essere sicuri di posizionare correttamemte la pellicola, come scattare e riavvolgere per poter poi procedere allo sviluppo del rullino.

Il prezzo ? Decisamente in linea con il “mercato”…
Le fotocamere upcycling di Payesse non sono per niente economiche e per poterne acquistare una sono necessari circa 160€. Più o meno il costo di una compattina digitale.
Non male eh ?!?

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GriffithsSfogliando l’allegato che questo mese accompagna la rivista National Geographic, non ho potuto fare a meno di pensare che stavo facendo qualcosa che mi dava sensazioni molto simili a quelle che spesso mi capita di provare curiosando nell’album di qualche talentuoso utente su Flickr.

Annie Griffiths è una fotografa famosa, i suoi lavori compaiono sul National Geographic da decenni, descrivendo persone e luoghi con uno stile diretto ed una gran capacità di integrarsi e “mescolarsi”, anche emotivamente, con i suoi soggetti .

E’ una professionista di gran talento, ma quello che secondo me la rende davvero particolare è l’apparente semplicità dei suoi scatti.
Molte delle sue immagini ti fanno pensare qualcosa del tipo “una foto così, forse sarei in grado di farla anch’io” e credo che sia proprio questo il fascino di molti lavori di Annie ed anche il motivo che mi ha fatto associare l’esperienza dello sfogliare il suo fascicolo al visitare un album fotografico online.

Immagini tutte da gustare, anzi da fotodegustare. 🙂

Per vedere alcuni di questi scatti puoi cliccare qui per accedere direttamente alla pagina dedicata sul sito della rivista.

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Dennis Hopper

© Dennis Hopper - Autoritratto

Sen’è andato ormai da qualche tempo, ma ogni volta che mi capita di rivederne le gesta non posso che ricordarlo con una particolare forma di affetto: è l’attore e regista americano Dennis Hopper.
In molti lo associano a mitici film come “Gioventù bruciata” con James Dean o “Easy rider” che interpretò e diresse. E’ stato un personaggio un po’ fuori dalle righe nella Hollywood dello scorso secolo ed è forse per questo che a me è sempre piaciuto.
Lo ricordo però anche per un’altra sua passione, che forse non tutti sanno, la fotografia.
Fu lo stesso James Dean a regalargli una macchina fotografica, quasi anticipando quel fantastico ruolo di fotografo un po’ folle che poi avrebbe avuto in Apocalypse Now. Da quel momento lo scattare foto nelle tante situazioni che gli capitavano accompagnò sempre Hopper, rivelandone un talento visuale tutt’altro che ordinario.

Paul Newman

Paul Newman -© Copyright Dennis Hopper

Non molto tempo fa mi ero imbatutto in una pubblicazione edita da Taschen (ma dal prezzo inarrivabile) dal titolo: “Dennis Hopper: Photographs 1961-1967” e fogliandola ne ero rimasto proprio ammirato.
Ho ritrovato sul web molti di quegli splendidi scatti in bianco e nero. E’ molto facile vederli come risultato di una ricerca con “Dennis Hopper photographer”. Sono foto ricche di fascino, ma lo stesso tempo grezze: ritratti intensi e particolari, come quello di Paul Newman qui accanto ed anche scene dai set hollywoodiani o dalle sale di registrazione, oltre a qualche autoritratto.
Con lo sbocciare della pop-art Hopper esplorò anche la pittura e la poesia, rivelando un discreto talento anche in questi campi e dimostrando quindi una grande ecletticità riconosciuta anche recentemente quando, negli scorsi mesi, era stato selezionato tra gli artisti partecipanti alla mostra inaugurale del MOCA (Museum of Contemporary Art) di Los Angeles.

Ciao Dennis.
Have an easy ride.

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GilardiC’è un breve libretto sulla fotografia su cui voglio provare a scrivere qualche impressione. Si tratta di “Meglio ladro che fotografo” di Ando Gilardi, recentemente scomparso, figura sicuramente nota a chi si interessa di fotografia.
L’ho trovato una lettura nel complesso interessante e consigliabile ma devo anche dire che non è un’opera che entra tra le mie favorite.
E’ il tentativo di analisi sull’arte della fotografia dal punto di vista dell’autore e si sviluppa come un dialogo, riprendendo uno strumento letterario ben collaudato a cui Gilardi si richiama qualche volta anche nel testo stesso, citando appunto Galileo.
In questo dialogo, che in alcune fasi potrebbe essere meglio descritto come un’intervista, vengono affrontati molti temi, tutti visti sotto la luce particolare di una visione molto personale e spesso anche originale dell’autore.
Da cenni sulla storia recente della fotografia e all’importanza dell’avvento del digitale, alle esperienze di vita vissuta come fotografo professionista, il libro si sposta su molti argomenti, toccandoli spesso con uno stile ed un’ottica particolare ed un linguaggio piuttosto diretto.
Leggendo ho avuto però, più di una volta, l’impressione che si stesse saltando di palo in frasca, senza sviscerare bene alcuni passaggi che lo avrebbero meritato e lasciando quindi al lettore la sensazione di una eccessiva mancanza di pragmatismo, qualche volta anche condita di una certa autoglorificazione non sempre ben celata dietro ad un tono ironico.
E’ comunque molto bella a mio parere la parte finale, dove vengono mostrati e brevemente raccontati alcuni scatti realizzati dall’autore in Italia nel periodo del dopoguerra. Alcuni davvero degli di nota.

Insomma, un libro che non metto nella mia personale “hall of fame” ma che credo di poter consigliare comunque, specie perchè nel panorama letterario italiano che copre la fotografia non è proprio facile trovare testi con una così spiccata indipendenza di vedute ed un linguaggio così diretto.

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Lumet - Making moviesE’ un po’ di tempo che non parlo di libri.
Oggi te ne voglio consigliare uno che potrebbe affascinarti come ha affascinato me. Si tratta di “Making Movies” di Sidney Lumet.

L’autore è un regista che non dovrebbe aver bisogno di presentazioni.
Sono firmati da lui capolavori come “La parola ai giurati” (1957), “La collina del disonore” (1965), “Serpico” (1973), “Assassinio sull’Orient Express” (1974), “Quinto potere” (1975) e molti altri.

E’ un libro molto particolare: un regista che spiega come funziona la sua professione. In sostanza “come si realizza un film”.

Leggendolo emergono immediati tutti i rapporti che il cinema ha con la fotografia e come un regista divenga il realizzatore di un’opera di arte visiva molto complessa che tipicamente non risulta indifferente a chi è appassionato di immagini.

Nel cinema si fondono molteplici aspetti tecnici ed artistici ed è il regista il direttore di una specie di orchestra dove alla fine ogni minimo dettaglio può fare una grande differenza sul risultato finale.

Dalla scelta della luce e il posizionamento della macchina di ripresa alla selezione delle focali, il movimento e poi il taglio e montaggio… è avvincente leggere di quanta importanza viene data a certi aspetti e quanto tutto questo venga indirizzato ad una comunicazione che spesso rimane non percepita dallo spettatore ma che però contribuisce molto a rendere un film qualcosa di così suggestivo.

Molto belle sono anche le parti dedicate al rapporto con gli attori ed a tutta la fase di postproduzione, argomenti che in precedenza non ero mai riuscito a trovare descritti in modo così diretto ed approfondito.

Una splendida lettura che davvero consiglio ad ogni appassionato di fotografia, che porta a cambiare il modo di vedere il cinema, trasformandoci in osservatori molto più acuti e consapevoli di cosa c’è dietro ad un’opera cinematografica.
Un piccolo bagaglio di conoscenze e sensazioni che, ho scoperto, può tornare utile quando ci si ritrova con in mano la nostra piccola macchina fotografica.

Concludo con una nota che per qualcuno può essere dolente: il libro non è disponibile in Italiano ma in compenso è scritto in un Inglese scorrevole e facilmente leggibile anche da chi non è proprio fluent.. E ne vale la pena.

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The Americans by Robert FrankE’ una pietra miliare della fotografia del novecento, è “The Americans” di Robert Frank, il libro frutto di un viaggio di quasi due anni che il fotografo svizzero fece verso la metà degli anni cinquanta grazie ad una sovvenzione della fondazione Guggenheim, andando a ritrarre con la sua 35mm quella che era l’America del boom economico, con tutto quello che ciò voleva dire.
Ne venne fuori uno splendido lavoro che l’introduzione scritta da Jack Kerouac aiutò a raggiungere un meritato successo editoriale.
E’ un libro che non può mancare in casa di chi è appassionato di fotografia e ti consiglio proprio di farci un pensierino.
Le immagini sono davvero molto belle, composte in una sequenza assolutamente magistrale ed accompagnate da didascalie che arricchiscono ancor di più l’insieme di sensazioni che questo grande reportage regala.
Frank per questo progetto, usò qualcosa come 670 rullini di pellicola 35mm per un totale di oltre 20.000 fotografie.
Con questa mole di materiale avviò poi un enorme lavoro di selezione e filtraggio che lo portò a stampare circa un migliaio di provini e da questi il set finale che risulta nel libro di circa 80 foto.

Non male come sintesi eh…

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