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Posts Tagged ‘autocritica’

Cessi by Pega

Prendi tutte le foto che hai scattato negli ultimi due anni, mettiti comodo e passale in rassegna, riguardandole con calma. Quante ti soddisfano e quante ritieni invece deludenti? Qual è la percentuale di immagini che scarti, che ritieni insoddisfacenti o per qualche motivo sbagliate?

Ragioniamoci un attimo: che cosa c'è che non va nelle foto che ci deludono?

Ti invito a fare un esperimento, un lavoro di analisi, un esercizio per razionalizzare ciò che non ti convince nelle tue immagini.

Identificare e catalogare questi errori potrebbe essere un punto di partenza per migliorarsi come fotografi, magari anche scoprire cose interessanti.

Osserva attentamente le tue foto, una ad una. Cosa noti? Ne trovi una certa percentuale esposte male? Sfuocate o mosse? Hanno il bilanciamento del bianco sballato? Troppo rumore? Aberrazioni cromatiche? Distorsioni?

Hai forse usato un'ottica sbagliata per lo scatto? Sono storte?

Oppure è qualcos'altro? Qualcosa che non c'entra niente con l'attrezzatura. Potrebbe essere la composizione o il messaggio. Potrebbe essere che la foto non trasmette niente, è banale, non ci sono emozioni o storia.

Qual'è il difetto più ricorrente nelle tue foto?

E poi: qual è il secondo difetto più ricorrente? Ed il terzo?
Può essere difficile e faticoso abituarsi ad andare regolarmente a rivedere le nostre foto meno riuscite, ma è un atto che modifica costruttivamente il nostro modo di praticare e vivere la fotografia.

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Hot Dog - By Pega

Hot Dog – © Copyright 2011 Pega


Se è vero che in genere nessuno dovrebbe essere giudice di se stesso, è anche vero che in tema di creatività e produzione artistica, questo non sempre vale.
In fotografia, come in altre forme espressive, l’autocritica è importante, è la necessaria capacità di saper dare un valore al proprio lavoro.
Che si tratti di decidere se cancellare uno scatto o proporlo per un premio, il filtro preliminare che rappresentiamo per le nostre opere è un fattore chiave. Se ci autogiudichiamo con eccessiva severità, tarpiamo le ali al nostro messaggio e al materiale che ad altri potrebbe interessare, se invece siamo troppo generosi finiamo con l’inondare il mondo di roba insignificante. Come fare per tarare questo nostro giudizio?
Il coinvolgimento emotivo che ci lega ai nostri scatti è forse il problema più insidioso. La foto fatta in un momento particolare, associata a certe sensazioni o emozioni, ci appare con dei valori che non sempre sono percepibili dagli altri.
Si può provare a lavorare per arricchire l’immagine con ciò che ci aiuta a trasmettere queste emozioni, come titolo e testo, ma bisogna comunque riuscire a fare un passo indietro e valutarla per quel che è.
Guardare la foto con distacco “come se fosse stata fatta da qualcun’altro” è un inizio. Loderesti l’autore di quello scatto? O lo criticheresti? Cos’è che funziona o non funziona? Che sensazioni e messaggi trasmette? E’ tecnicamente ben fatta? Sono domande che possiamo farci svestendoci dei panni di autore ed indossando quelli di osservatore delle nostre stesse fotografie.

Una delle strade che ho scoperto più efficaci nell’aiutarmi in questo processo di distacco, è seguire il lavoro di un numero maggiore possibile di altri fotografi, osservando regolarmente le loro foto online, ma anche visitando mostre ed esposizioni. Studiare con attenzione le immagini di altri, cercandone pregi e difetti, è un buon metodo per affinare l’autocritica verso il proprio lavoro.
Quando questo volume di immagini osservate diviene un’abitudine costante, allora diventa più naturale vedere le nostre come “solo alcune tra le tante” e quindi è un po’ più facile autovalutarle con obiettività.

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The witness

The Witness – © Copyright 2009 Pega


Continuo sul terreno dell’autocritica e degli strumenti che possiamo usare per autovalutare le nostre fotografie, riproponendoti la questione del secondo punto di interesse.
Viene chiamato in questo modo un soggetto secondario, più o meno defilato, che il fotografo decide di inserire nell’inquadratura.
Il secondo punto di interesse può essere posto ovunque, tipicamente su una delle linee della regola dei terzi, a fuoco o sfuocato, dipende tutto dalle scelte dell’autore, che stabilisce come farlo dialogare o addirittura competere con il soggetto principale.
Piazzare un secondo punto di interesse è una scelta compositiva del tutto artistica: un’aggiunta che, se da un lato arricchisce e può contribuire a completare l’immagine, dall’altro la complica, rischiando di mettere a repentaglio la concentrazione dell’osservatore sul soggetto principale.
Il nostro occhio è naturalmente portato a muoversi nelle immagini ed il passaggio tra primo e secondo punto di interesse è qualcosa che può dare molto ad una fotografia, rafforzando il tema o la prospettiva e facilitando l’osservatore a proiettarci una storia.
La prossima volta che scatti pensa ad un secondo punto di interesse, e perché no, magari ad un terzo? Del resto, visti i post precedenti, è sempre tre il numero perfetto!
🙂

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Stampa e Regime

Stampa e Regime – © Copyright 2013, Pega

Dopo averti tediato con “i tre punti di vista” del precedente post, eccomi con un’altra personale riflessione, che di nuovo coinvolge il magico numero tre ed ancora riguarda i vari modi con cui possiamo cercare di valutare una nostra fotografia. Se vuoi è anche un esperimento che ti invito a fare, con una tua foto, dopo aver provato a seguirmi in questa sconclusionato tentativo di spiegazione.
Il ragionamento parte dal notare che in molte foto interessanti (definizione del tutto soggettiva), si possono rilevare tre elementi chiave. Sono tre elementi estetici dell’immagine che contribuiscono in modo rilevante alla sua capacità di colpire l’attenzione dell’osservatore. Togliendone uno, la foto risulterebbe degradata e molto meno interessante, se non addirittura banale.

Uso come esempio di questa farneticazione la mia foto sopra. E’ un caso molto semplice dove l’uomo col giornale è il primo elemento, la finestra con le sbarre incrociate è il secondo, mentre la lunga ombra che si proietta sul terreno è il terzo. Tutto il resto non contribuisce granché ed è senza dubbio questa la terna chiave chiave della foto. Se eliminassimo uno dei tre elementi, la foto perderebbe gran parte del suo senso.

I tre elementi possono essere qualunque componente dell’immagine, soggetti principali o secondari, dettagli compositivi o aspetti cromatici, come ad esempio un colore, una luce particolare che investe una parete, un riflesso o una forma indistinta visibile attraverso una finestra. Deve essere l’effetto della loro ipotetica eliminazione a farne capire l’importanza.
Nel caso della mia foto, tra i tre elementi chiave è possibile leggere anche una relazione logica, oltre che estetica. E’ un passo ulteriore, non necessario per quello che volevo proporti oggi.

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Dissenso generazionale - Copyright 2009 Pega
Dissenso generazionale – Copyright 2009 Pega

Art ain’t easy… but autocritic is way harder…
Come riuscire ad essere un po’ più autocritici?
Ogni tanto torno su questo argomento ed oggi voglio riproporlo, dato che lo trovo sempre valido, specie quando sì tratta di valutare il proprio lavoro fotografico.
È un ragionamento sul valore comunicativo ed emotivo che può avere una fotografia, un processo per dare un giudizio il più possibile “meditato” ed obiettivo sui nostri scatti.
Il fine di questa sorta di “autovalutazione” è quello di cercare di sviluppare un maggiore senso critico per scegliere a quali foto dedicare maggiore attenzione, ed è così che ho provato a raffinare un semplice criterio che si basa sul seguente fondamento: la foto deve essere interessante e “funzionare”, dai tre punti di vista.

Tre pilastri che “sostegono” la foto.

Il primo è il punto di vista del fotografo stesso. Se io non sono soddisfatto della foto è inutile andare avanti. Devo sentire che in qualche modo l’immagine ha per me un significato, mi trasmette qualcosa, insomma “funziona”. Il punto di vista del fotografo, come osservatore del soggetto ripreso, deve essere soddisfatto in termini estetici, tecnici ed emotivi.

Il secondo punto di vista è quello del soggetto ritratto. A qualcuno potrà sembrare un’assurdità, specie nel caso dei soggetti inanimati, ma la mia idea è quella di personificare comunque il soggetto ed immaginarne il suo punto di vista come elemento fotografato. Si dice che in fotografia il fotografo guarda il soggetto attraverso l’obiettivo ma, in realtà, anche il soggetto guarda il fotografo attraverso la stessa lente, ed è tutto qui il secondo pilastro: in qualche modo ci deve essere una reciprocità, una storia sostenibile e percepibile, che renda il punto di vista del soggetto interessante e caratterizzante questo aspetto della foto.

Terzo ed ultimo punto è quello dell’osservatore, del fruitore della foto… del pubblico (anche solo potenziale) insomma.
Dal suo punto di vista l’osservatore finale cosa troverà nella foto? Se la foto ha un senso solo per i primi due elementi di questa analisi ma non per il terzo, la foto non funziona comunque. E’ il caso di scatti che hanno un grande significato emotivo per chi li ha scattati ma nessun messaggio per un estraneo che vede quella foto.

—-

Esistono sicuramente molti altri modi di approcciare la questione e non nascondo che mi piacerebbe molto conoscere quali processi (coscienti) usano i grandi fotografi o gli editor che selezionano le opere per pubblicazioni o mostre. Quindi, rifacendomi ad un vecchio post, non escluderei che la mia domanda ad un fotografo che stimo, nell’ipotesi provocatoria di poterne fare una soltanto, potrebbe essere proprio: “come valuti il valore artistico e comunicativo di una tua foto”?

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Teaching each other

Teaching each other – Copyright 2008 Pega

Ancora qualche riflessione sull’autocritica, di cui parlavo in un precedente post.
Fare un passo indietro e provare a guardare con distacco le proprie foto può essere una buona strategia per riuscire ad essere maggiormente obiettivi nel giudicarle. Un fattore importante in questo senso è il tempo. Imparare ad attendere un po’, aspettare qualche ora, o meglio qualche giorno, prima di decidere se la nostra foto è degna di nota o da cestinare. Riguardandola a mente fresca, magari dopo un bel sonno, può risultare diverso rispetto ai primi momenti a caldo dopo lo scatto.
E poi il fattore forse più importante: ogni foto porta con se un messaggio o una storia, è così quasi sempre. Può essere anche semplice, addirittura banale, ma se un’immagine è troppo debole su questo fronte allora anche la migliore tecnica può rivelarsi inutile.
Le emozioni contano. Chiediamoci di cosa parla la nostra foto, che cosa racconta e trasmette.
Chiediamocelo, dando a noi stessi il tempo per meditare e ad essa il tempo di mostrarcelo. Il giudizio arriverà più sereno e probabilmente anche più onesto.

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Beware - By Pega

Beware – © Copyright 2010 Pega

Se è vero che in genere nessuno dovrebbe essere giudice di se stesso, è anche vero che in tema di creatività e produzione artistica questo non sempre vale.
In fotografia, come in altre forme espressive, è importante l’autocritica, intesa come la capacità di saper valutare da soli il proprio lavoro.
Che si tratti di decidere se cancellare uno scatto o invece proporlo per un premio, il filtro preliminare che rappresentiamo per le nostre stesse opere è un fattore chiave. Se ci autogiudichiamo con eccessiva severità rischiamo di tarpare le ali al nostro messaggio e a cose che agli altri potrebbero interessare, se invece siamo troppo generosi possiamo finire con l’inondare il mondo di roba insignificante.
E dunque come fare per tarare questo nostro giudizio?

Il coinvolgimento emotivo che ci lega ai nostri scatti è forse il problema più insidioso. La foto fatta in un momento particolare, associata a certe sensazioni o emozioni, ci appare con dei valori che non sempre sono percepibili dagli altri.
Certo, si può provare a lavorare per cercare di arricchire l’immagine con ciò che ci aiuta a trasmettere queste emozioni, come titolo e testo, ma bisogna comunque riuscire a fare un passo indietro e valutarla per quel che è.
Provare a guardare la foto con distacco “come se fosse stata fatta da qualcun’altro” è un inizio. Loderesti quel fotografo? O lo criticheresti? Cos’è che funziona o non funziona? Che sensazioni e messaggi trasmette? E’ tecnicamente ben fatta? Sono domande che possiamo farci svestendoci dei panni di autore ed indossando quelli di osservatore delle nostre stesse fotografie.

Una delle strade che ho scoperto più efficaci nell’aiutare questo processo di distacco è di abituarsi a seguire il lavoro di un numero maggiore possibile di altri fotografi, osservando regolarmente le loro foto pubblicate su Flickr o su altri social media ma anche visitando mostre ed esposizioni. Studiare immagini di altri con attenzione, cercandone pregi e difetti per poi magari anche condividerle a nostra volta è un gran bel metodo per affinare l’autocritica verso il proprio lavoro.
Quando questo volume di immagini osservate esiste ed è costante, diviene più naturale vedere le nostre come “solo alcune tra le tante” e quindi un po’ più facile autovalutarle con obiettività.

Che ne pensi? Credo che nei prossimi post proverò ad approfondire questo argomento.

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20:30

20:30 (Winter Holter) - © 2011 Pega

Con l’avvento del digitale ci siamo più o meno tutti abituati a scattare un sacco di foto. Ma veramente un sacco.

Non c’è più quella limitazione che dava il rullino, quella sensazione che ad ogni esposizione corrisponda un costo, com’era ai tempi della pellicola, del suo conseguente sviluppo e frequente stampa.

Ora si scatta a raffica, senza preoccupazioni, consapevoli che l’immagine, se non riuscita, sarà comunque sempre scartabile a posteriori.

È una gran libertà, un valore che rende la fotografia ancor più fantastica e divertente, permettendoci di esprimere la nostra creatività sperimentando senza troppi limiti.

C’è però un aspetto che non mi piace. È quell’accumularsi di foto, a volte così simili tra loro, quell’accatastarsi di migliaia di files nei nostri hard disk.

Sono dati che nella maggior parte dei casi non riusciamo più a cancellare, anche se spesso ragionandoci bene, sarebbe proprio il caso.

C’è una massima famosa che dice “una delle cose più importanti in fotografia è l’imparare a scegliere cosa tenere e cosa buttare“.

Beh, credo che la capacità di cancellare le proprie foto sia un qualcosa che dobbiamo imparare a fare meglio, specie ora nell’era del digitale.

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