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Tina Modotti 1921
Ed eccola anche Tina Modotti, in questa serie che voglio battezzare “cortocircuito”, che ormai è al quarto capitolo.
Dopo Eugene Atget, Berenice Abbott ed Edward Weston ecco anche lei.
Era il 1921 e questo ritratto le fu scattato proprio da Weston, per il quale lavorò prima come modella, divenendone poi assistente, amante e compagna negli anni che vissero insieme in Messico, dove Tina vide germogliare il suo talento fotografico.
Credo che posterò altri di questi ritratti “cortocircuitanti”, via via che ne avrò occasione. Mi piacciono proprio.

🙂

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Era il 2 Febbraio del 1947.
Una curiosa scatoletta magica veniva presentata al congresso della Optical Society of America, si trattava della prima macchina fotografica istantanea: la Polaroid Land camera.
Nata dal genio di Hedwin Herbert Land, fisico ed inventore specializzato in filtri ottici (a lui dobbiamo i filtri polarizzatori), la Polaroid nacque quasi per gioco dato che fu inizialmente ideata per soddisfare un capriccio della piccola Jennifer, figlioletta di Hedwin, che si lamentava di non poter subito vedere le fotografie scattate.
L’azienda di Land, Polaroid Corporation, esisteva già dal 1937 con all’attivo numerosi prodotti interessanti: dai mirini militari agli occhiali da sole, ma la fotocamera istantanea divenne subito il prodotto di punta.
Nel primo giorno di lancio sul mercato furono venduti quasi tutti gli esemplari (la mitica Model 95) sebbene il prezzo non fosse dei più abbordabili: 89 dollari del 1948.
Sessantacinque anni non sono tanti per la quasi bicentenaria storia della fotografia ma sicuramente la Polaroid ha lasciato un segno importante.
Schiacciata dall’arrivo del digitale, ha subito l’avvento di una tecnologia che le ha tolto proprio il primato su cui si era basato il suo successo: la possibilità di vedere immediatamente il risultato dello scatto e così il progressivo ma inesorabile calo che nel 2007 arriva all’inevitabile pensionamento del settore delle fotocamere istantanee, con la conseguente chiusura degli stabilimenti di produzione delle pellicole.
Ma la storia di questa affascinante invenzione non sembra giunta al termine e continua, birforcandosi in due strade distinte. Da un lato il manipolo di “eroi analogici” dell’Impossible Project che dal 2008 hanno intrapreso, fondando una nuova azienda, la difficile strada del riavvio della produzione e commercializzazione delle pellicole, dall’altro il nuovo impulso digitale di casa Polaroid che, investendo nel marketing ed assoldando addirittura Lady Gaga come “direttore creativo”, ha presentato una nuova macchina istantanea (digitale): la GL30.
Non so chi riuscirà a raccogliere l’eredità sostanziale di questo grande marchio, quel che è certo è che un bell'”in bocca al lupo” la vecchia Polaroid se lo merita proprio.

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Giuseppe Garibaldi

Giuseppe Garibaldi

Come negare il legame che c’è sempre stato tra storia e fotografia.
Il Risorgimento Italiano è stato uno dei primi casi di utilizzo della fotografia, sia a fini propagandistici che divulgativi, e tutti i principali personaggi di questo periodo capirono subito che questo nuovo strumento a loro disposizione era efficacissimo.
Il realismo delle immagini oltre alla possibilità di effettuare velocemente ed in modo abbastanza economico delle riproduzioni, fece intuire a Giuseppe Garibaldi l’importanza di realizzare una documentazione fotografica della sua impresa ed è così che furono quindi scattate le eroiche immagini del Generale e dei suoi nelle piazze di Palermo nel 1860. Sono immagini che, con il loro realismo e  la capacità di rapida circolazione tipica di questo nuovo media, probabilmente dettero un loro piccolo contributo successo della spedizione ed all’unificazione del paese.
Album dei Mille

Una pagina dell'Album dei Mille

Ma quello che forse è uno dei documenti più interessanti è ciò che fu commissionato al fotografo italiano Alessandro Pavia : l’Album dei Mille : una sorta di monumento fotografico che rappresenta il primo caso nella storia per questo tipo di documentazione.
L’Album dei Mille è un portentoso lavoro che Pavia svolse nel corso di circa sette anni muovendosi per tutta l’Italia riunificata, ritrovando e fotografando tutti e mille i partecipanti alla storica impresa, che da subito fu identificata come evento fondamentale della storia nazionale. Un volume che è quasi un grosso ritratto di gruppo, un documento veramente particolare che consacra la fotografia come strumento moderno per fissare la memoria di un evento.
Dell’Album dei Mille esistono tre copie conservate presso il Museo Centrale del Risorgimento di Roma.
Auguri Italia, cen’è bisogno.

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Paul Strand - Toadstool-and-grasses-1928

Toadstool and Grasses - Georgetown, Maine 1928 - Paul Strand

In questa fotografia che Paul Strand realizzò nel 1928 c’è la sintesi di una delle sue affermazioni più importanti. Strand diceva che per usare onestamente la fotografia si deve avere un reale rispetto per ciò che ci si trova davanti ed esprimerlo attraverso un insieme di valori tonali quasi infinito.

Se la seconda parte della frase si riferisce ad aspetti tecnici ed estetici, la prima parte è invece riferita a qualcosa che può essere definito come “moralità fotografica”.

Questo rispetto, che trasforma il soggetto da occasione a ragione di una fotografia era il concetto di base di quel movimento a cui Strand apparteneva denominato straight photography.

Lo stesso Strand riuscì solo nella fase matura della sua carriera ad essere veramente coerente con questa filosofia, quando abbandonata ogni sperimentazione si dedicò ad una fotografia calma e naturale.
La famosa foto del fungo rimane uno degli scatti più influenti di questo periodo del grande fotografo. Non si tratta, come potrebbe  apparire a prima vista, della descrizione fredda e scientifica un soggetto botanico ma piuttosto della realizzazione di un panorama in miniatura.
L’immagine è composta rigorosamente, con quell’attenzione alla luce ed agli spazi che in precedenza era stata tipicamente dedicata solo alla rappresentazione delle grandi viste naturali o dei panorami. Il riferimento è a quella fotografia nauralistica e di paesaggio che specie nella seconda metà dell’ottocento era stata realizzata dai grandi maestri che avevano scoperto (visualmente) il nuovo continente.

Esauriti i grandi spazi, quella di Strand era una nuova forma di esplorazione, matura, intima ed attenta, completamente dedicata il microcosmo naturale.

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outerbridge untitled 1922

Paul Outerbridge - untitled, 1922

Paul Outerbridge divenne famoso negli anni trenta per la sua abilità di creare immagini a colori di altissima qualità usando una tecnica estremamente complessa ed innovativa chiamata “tri-color carbro print” che fu molto utilizzata nel campo della moda.
Questo suo particolare successo di fotografo professionista forse non avrebbe però lasciato alcun segno rilevante nella storia della fotografia.
Come tutte le nuove tecnologie, il clamore suscitato al loro arrivo è proporzionale all’oblio che segue quando vengono superate e anche il carbro print fu completamente dimenticata e resa un ricordo dall’avvento, negli anni quaranta, di nuove e più semplici tecniche di fotografia a colori.

E così non è per questa specialità che Outerbridge si è meritato un posto tra i grandi della fotografia del novecento.
Il suo vero talento era in realtà emerso ancor prima dei suoi successi commerciali, quando era uno giovane studente alla scuola di fotografia di Clarence White alla Columbia University.

Siamo nei primi anni venti e le sue fotografie di quel periodo mostrano uno straordinario gusto nella ricerca di forme astratte create dall’intreccio di elementi solidi ed ombre.
Sono immagini da contemplare a lungo e degustare lentamente, come questa sopra, raffigurante un solido (probabilmente un mattone) semplicemente appoggiato su un piano.
L’oggetto tridimensionale si fonde alle forme bidimensionali create dalla luce in un meraviglioso intreccio di ombre, creando quello che ai nostri occhi appare quasi come un puzzle.

E’ un lavoro raffinato e di gran talento, che racconta la passione e la ricerca fotografica di un giovane artista. Un’immagine in cui la luce che cade sull’oggetto è studiata in modo così magistrale da farne un capolavoro della storia della fotografia.

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Art Lab

Art Lab – © Copyright 2011 Pega

In un post di qualche tempo fa provavo a stimolare l’espressione di opinioni personali circa la definizione di un elemento che in qualche modo sintetizzi l’essenza di una grande fotografia.
Una sorta di ingrediente fondamentale senza il quale l’opera non riesce, non si forma o comunque non esprime il suo massimo potenziale.

Naturalmente non mi potevo sottrarre a questo piccolo esercizio e così ho anche io espresso la mia idea dicendo che secondo me l’ingrediente fondamentale è la passione.

Credo che la passione sia l’elemento comune a tutte le grandi fotografie, un fil rouge che le lega invisibilmente nei decenni anzi  nei secoli. Un elemento che accomuna i fotografi nella storia, dai pionieri fino agli artisti digitali odierni.

Al confronto con una grande e profonda passione anche doti importanti come il talento o le capacità tecniche possono divenire solo elementi secondari perchè le motivazioni che essa può fornire aiutano l’artista a superare ogni possibile ostacolo.
E’ così che alcuni grandi maestri hanno espresso tutto il loro potenziale, spinti da una grande passione non solo per la fotografia ma anche e sopratutto per i loro soggetti.

Cosa sarebbe la fotografia senza la passione?

E tu hai mai pensato a quanto questo ingrediente conti per le tue foto e quanto questo si rifletta nella qualità e profondità dei tuoi scatti?

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Frederick Scott Archer

Frederick Scott Archer

Una lastra di vetro perfettamente lucidata, una sostanza viscosa chiamata collodio ed un po’ di nitrato di argento. Insieme ad una piccola camera oscura portatile ed a qualche altro reagente chimico, erano questi gli strumenti con cui intorno al 1850 si realizzavano i cosiddetti “Ambrotipi”, fotografie che utilizzavano un metodo detto della “lastra umida” (wet plate) inventato da  Frederick Scott Archer.

La qualità delle immagini non era al livello di quella dei dagherrotipi su lastra di rame ma il costo era inferiore, il processo più semplice e sopratutto si trattava di ottenere dei negativi da cui poter produrre stampe.

E’ seguendo questo metodo che il fotografo Harry Taylor ci fa vedere in questo interessante video, come ancora oggi si possa provare a seguire questo procedimento.

Le fasi necessarie per produrre un “ambrotipo” che Taylor ci mostra nel video sono :

1) Pulitura accurata della lastra di vetro
2) Applicazione del collodio sulla lastra, facendo in modo che si distribuisca perfettamente. Questa fase può svolgersi alla luce
3) In camera oscura, immersione della lastra in una soluzione di nitrato d’argento per circa 3-5 minuti
4) Sempre al buio, inserimento della lastra trattata nell’apposito contenitore/scatola a tenuta di luce (plate holder)
5) Posizionamento del plate holder contenente la lastra nella macchina fotografica ed esposizione di circa 8 secondi
6) Sviluppo in un bagno di solfato di ferro
7) Fissaggio usando una soluzione contenente tiosolfato di sodio

Il risultato è un’immagine dotata di discreta qualità e gran fascino.
E’ interessante pensare come alcuni fotografi di metà ottocento viaggiassero con al seguito tutta l’attrezzatura necessaria per fare queste foto, in  genere un carro. Fu con questa tecnica che furono realizzati anche i primi reportage di guerra.

E’ un video interessante, specie se non hai mai visto come si realizzavano queste fotografie.
Buona visione.
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Felix Tournachon (Nadar)

Felix Tournachon (Nadar) - Autoritratto - 1855

Nadar è ricordato nella storia tra i grandi fotografi, ma la fotografia non era il suo unico interesse.
Fu scrittore e disegnatore caricaturista, attivista politico e pioniere del volo in pallone. Fu inoltre molto amico di pittori ed artisti intellettuali nella Parigi della seconda metà dell’ottocento ed ebbe l’occasione di produrre ritratti di importanti personalità del suo periodo.

Fu proprio dalle sue frequentazioni nell’ambiente dei pittori che Nadar trasse molti spunti importanti da riportare nella fotografia, arrivando a miscelare con maestria elementi tipici della tradizione pittorica con le caratteristiche del nuovo media.

La sua capacità di cercare pose e composizioni molto classiche si univa alla cinica ricerca di quei dettagli che i pittori tendevano a tralasciare, se non ad omettere volutamente. Parlo delle imperfezioni tipiche dei volti o dei vestiti, che rendono le foto di Nadar così importanti.

Fu per questo che preferiva evitare il più possibile di ritrarre donne, riteneva infatti che la fedeltà fotografica fosse una caratteristica che produceva risultati “così realistici da non soddisfare nemmeno le posatrici più belle”.

Fu nel 1874, quando la sua vena fotografica stava ormai declinando, che si guadagnò un posto nei testi di storia dell’arte affittando il suo studio ad un piccolo gruppo di artisti indipendenti che oggi chiameremmo “underground”.
L’iniziativa fu allora giudicata un fallimento ed uno di quei pittori addirittura disse “L’unica cosa che ne è venuta fuori è l’etichetta impressionismo, una definizione che detesto.”
Quel pittore si chiamava Pierre Auguste Renoir.

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Photoexperience In rete si possono trovare molte iniziative dedicate a chi è appassionato di fotografia, ma quella di cui vorrei parlare oggi mi ha colpito per un approccio particolare e diverso dal solito.

Si tratta di Photoexperience, un’idea di un piccolo gruppo di fotografi toscani nata per creare eventi a metà tra un workshop ed un percorso turistico, aperti ad appassionati di fotografia di qualsiasi livello.

Ho avuto il piacere di incontrare e fare qualche domanda ad Andrea Sbisà che svolge il ruolo di art director in Photoexperience ed ecco cosa mi ha detto.

Ciao Andrea. Prima di tutto ci racconti un po’ cos’è Photoexperience ?
Tutto è nato circa un anno fa quando ci siamo trovati con un paio di amici fotografi a parlare di quanto fossero state divertenti alcune occasioni in cui avevamo provato a ripercorrere le orme di qualche personaggio famoso, o ricercato le ambientazioni di importanti opere cinematografiche. Nacque quindi l’idea di provare ad organizzare meglio la cosa per renderla fruibile anche ad altre persone e così abbiamo iniziato a proporre dei workshop a tema, dove la passione per la fotografia si fonde con l’esperienza di immergersi in storie e location affascinanti in Toscana.

Windows light - © Copyright 2010 Andrea Sbisà

Gli eventi Photoexperience si svolgono tutti in Toscana ?
Per il momento si. La Toscana è ricca di spunti fotografici, di storia e scenari spettacolari, spesso utilizzati nel cinema, piuttosto che in romanzi. E’ una regione in cui ovunque si può scovare un soggetto fotografico straordinario, e che tuttora nasconde aneddoti e personaggi tutti da scoprire: del resto anche nel più piccolo paese è facile trovare orme di qualche figura che ha scritto una pagina di storia.
Se poi interessano in particolare i periodi del medioevo o del rinascimento, la Toscana è proprio il posto giusto per fotografarne i segni e le opere. A tutto questo si aggiunge la possibilità di trovare sempre una struttura ricettiva che funzioni da base per le nostre “missioni” e che permetta di completare “l’esperienza”  anche da un punto di vista del relax, e perché no, della gastronomia.
Non è detto che in futuro si possano andare a scoprire anche altre regioni ma per il momento crediamo che la Toscana sia la meta più adatta per il tipo di progetto che vogliamo far sperimentare.

Quindi oltre ad un workshop fotografico è proprio un’esperienza a contatto con la storia?
Si eccome. A volte l’esperienza è un vero e proprio “inseguire” un personaggio e le sue gesta, magari muovendosi attraverso il territorio in quelli che furono i luoghi importanti per la sua storia.
E’ un’esperienza appunto, che cerchiamo di arricchire portando ai nostri ospiti informazioni ed anche qualche piccola sorpresa.

Che durata hanno questè “fotoesperienze” ?
In genere gli eventi Photoexperience si svolgono nei week end, quindi iniziando il sabato sera e concludendosi nel pomeriggio della domenica. Abbiamo comunque realizzato anche eventi di una sola giornata, molto simili ad un workshop fotografico a tema.

Time traveller - © Copyright 2010 Andrea Sbisà

Ci puoi descrivere come si svolge in genere uno di questi eventi ?
Ci troviamo il sabato direttamente presso la struttura ricettiva che ci accoglie, in genere un agriturismo. Qui, dopo le presentazioni ed una buona cena, iniziamo con una serata che serve per introdurre l’attività dei giorni successivi, e fare conoscenza con i partecipanti..
La domenica è interamente dedicata allo svolgimento dell’esperienza fotografica che, a seconda della Photoexperience in programma, può svilupparsi in un’unica o più location.
Una meritata pausa nel mezzo della giornata permette, oltre al godimento di qualche pietanza locale, anche una verifica del lavoro svolto, e se richiesto, anche qualche approfondimento tecnico.

Come ci si iscrive ?
Ogni informazione è a disposizione sul sito www.photoexperience.it. Iscriversi è semplice: basta inviare una mail a info@photoexperience.it per indicare il numero di partecipanti ed a quale evento si vuole aderire. Non dimenticate di aggiungere un recapito per poter essere ricontattati. I costi in genere includono la sistemazione e prevedono anche quote differenziate tra fotografi ed eventuali accompagnatori.

Devo dire che la curiosità che mette questa iniziativa è notevole. Ma ci dici anche qualcosa su di te e gli altri componenti di Photoexperience ?
Il progetto di Photoexperience coniuga la mia passione per la fotografia e per i viaggi. Da esperienze personali, mi sono trovato più di una volta a cercare delle chiavi di lettura diverse del nostro territorio, scoprendo che questa ricerca regala emozioni e piacevoli sorprese. E’ stato naturale cercare di coinvolgere altri appassionati di fotografia, alla scoperta di questi ‘sentieri’.
Trovare un tema, un filo conduttore, una traccia che ci faccia vedere e scoprire la nostra Toscana in modo piacevole e stimolante, è una bella sfida.
La partenza del  progetto è stata possibile solo grazie alla collaborazione con altri amici fotografi, che per esperienze e caratteristiche personali, hanno dato completezza allo staff.

Facing elephant - © Copyright 2010 Andrea Sbisà

Ci racconti un po’ della tua storia fotografica ?
La mia storia è quella del fotoamatore appassionato, quale sono da anni.
Ho cominciato da giovanissimo a fotografare con le prime macchinette automatiche, fino ad approdare nei primi anni novanta al mondo delle reflex, e poi alla rivoluzione del digitale.
Questa mia passione mi ha portato negli anni a frequentare workshop, conoscere noti fotografi, nonché cercare di portare avanti una ricerca personale continua della bellezza nascosta nelle cose e nelle persone.
La fotografia consente di attraversare un percorso continuo di crescita, di sperimentazione e miglioramento. Sarà per questo che la passione è così grande, perché il viaggio non ha mai fine!

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Grazie ad Andrea, del quale segnalo il notevole sito personale www.andreasbisa.it ed anche lo splendido album su Flickr.
Personalmente sono molto incuriosito da questa iniziativa Photoexperience e credo che mi spingerò a sperimentarla in prima persona, per poi riparlarne ancora qui sul blog.

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Cavalli Gericault.
Prima del 1878 era convinzione comune che nel galoppo del cavallo, l’istante in cui tutte le zampe sono sollevate da terra fosse quello di massima estensione.
Ne sono prova moltissimi dipinti come l’esempio a fianco, il noto Le derby d’Epsom, realizzato nel 1821 dal pittore francese Théodore Géricault.

Ma nel 1872 un ricco signore, che per inciso era anche il governatore della California, ingaggiò una scommessa con alcuni facoltosi amici : sosteneva che il cavallo rimaneva sollevato in un momento che non era quello di massima estensione.

L’incarico di cercare di realizzare una prova “inconfutabile” fu affidato al  fotografo Eadweard Muybridge, al tempo già abbastanza noto per le sue immagini naturalistiche scattate nel Parco Nazionale di Yosemite.

Nel 1878, dopo molti tentativi,  Muybridge riuscì finalmente a fotografare con successo un cavallo in corsa utilizzando una serie di 24 fotocamere poste lungo un tracciato rettilineo ed otturatori singolarmente attivati da fili tesi sul percorso del cavallo.  
Quello che risultò fu una sequenza fotografica chiamata The Horse in motion che provò come gli zoccoli si sollevassero dal terreno contemporaneamente solo nel momento di compressione.

cavallo

Il lavoro di Muybridge non rappresentò solo la vincita di una sostanziosa scommessa e nemmeno solo una pietra miliare nella storia della fotografia (e poi del cinema), fu anche il consolidamento del concetto, tuttora riconosciuto, che la fotografia ha un vero e proprio valore di prova.

Ma fu anche un avvenimento che sconvolse la pittura.

L’idea che esistesse uno strumento che poteva provare l’errore dell’occhio umano e rendere in un sol colpo superate alcune visioni pittoriche influenzò seriamente l’attività di molti artisti che iniziarono ad affidarsi sempre più al mezzo fotografico come base di partenza per il loro lavoro.
Lo stesso Degas, proprio basandosi sulle foto di Muybridge sviluppò un approfondito lavoro sul movimento e le posizioni dinamiche del cavallo. 

La simbiosi tra pittura e fotografia aveva raggiunto una nuova fase.

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