13 Giugno 1936, cantieri navali di Amburgo. Un Uomo rimane fermo mentre tutti gli altri tendono il braccio nel saluto nazista ad Hitler che assiste al varo di una nave. L’Uomo si chiama August Landmesser.
August pagherà caro questo suo gesto, questa manifestazione di dissenso ed aperta protesta contro un regime che lo sta per processare e condannare. Le leggi razziali appena varate lo faranno imprigionare, renderanno nullo il suo matrimonio dissolvendo la sua famiglia e definendolo “elemento che disonora la razza”.
E’ la Fotografia di un Uomo solo, disperato ma determinato, un istante che cambiò drammaticamente la vita di questa Persona decretando l’inizio di un calvario che lo portò fino alla morte.
Un istante che però, grazie alla fotocamera, è rimasto fissato per sempre e non lo ha fatto cadere nell’oblio rendendolo, anzi, un esempio.
La Fotografia in questo caso si è dimostrata strumento di condanna ma anche di giustizia e memoria. E’ anche attraverso di essa che Landmesser è probabilmente stato accusato e punito ma poi è proprio grazie alla potenza del mezzo visivo che il suo gesto è stato messo a disposizione, in tutta la sua importanza, delle generazioni che sono venute e che verranno.
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Le braccia conserte di August Landmesser
Posted in Black and White, Culture, History of photography, People, tagged condanna, conformismo, dissenso, documento, Hitler, memoria, nazismo, novecento, politica, protesta, razzismo, ribellione, solo, storia, uomo, violenza on 30/07/2013| 6 Comments »
Tina Modotti
Posted in Black and White, Culture, History of photography, People, video, tagged art, arte, artista, blog, David Alfaro Siqueiros, Diane Arbus, Diego Rivera, Edward Weston, emigrazione, fotografa, fotografia, Frida Kahlo, girl, Italia, italian, Italiana, Italy, lady.artist, Messico, Mexico, pega, photography, politica, post, rivoluzione, stati uniti, storia, Tina Modotti, Udine, Weston, woman on 07/09/2010| 1 Comment »
Nella storia della fotografia c’è il nome di una donna italiana, nata ad Udine nel 1896: Tina Modotti.
Le sue immagini colpiscono per un’intensa carica umana ed emotiva, talento comunicativo ma anche ricerca stilistica.
La vita di questa artista è un romanzo. Emigrata giovanissima negli Stati Uniti, prima lavora in fabbrica poi grazie alla sua bellezza ed al marito, pittore Roubaix “Robo” de l’Abrie Richey, incontrato in ambienti di artisti ed intellettuali liberal, inizia a lavorare nel cinema degli anni venti come attrice. In questo contesto conosce il fotografo Edward Weston del quale diviene prima la modella preferita, poi l’amante.
Con Weston, dopo la morte del marito, si trasferisce in Messico dove, frequentando l’ambiente degli artisti di avanguardia, entra in una fase di forte impegno politico.
Fervente attivista e fotografa del Partito Comunista Messicano, viene espulsa dal paese e prima vaga per l’Europa poi si stabilisce a Mosca. Qui la sua vita si trasforma ancora, facendole coprire incarichi molto simili a quella di un’agente segreto, fino a portarla nel bel mezzo della guerra civile Spagnola, dove praticamente si ritrova ad essere una combattente.
Tornata in Messico nel 1940 sotto falso nome, la Modotti muore a Città del Messico nel 1942 in circostanze che da alcuni vengono considerate misteriose.

Mani su una pala -1927 Tina Modotti
Tra amori, arte e passione politica, è una figura che rimane decisamente poco convenzionale, che con le sue fotografie ci regala delle immagini intense e profonde, sicuramente arricchite da una talentuosa capacità di assimilare quella che era la preziosa vicinanza da un maestro come Edward Weston.
Ma le opere di questa fotografa non trovano universalmente la considerazione che meritano. Sarà per la complessa storia politica della sua vita, perché era italiana o semplicemente perché le donne hanno spesso maggiori difficoltà ad essere considerate per quello che riescono a creare. Forse i suoi scatti sono solo un po’ oscurati da quei meravigliosi nudi di Weston per i quali lei si prestò come modella.

Burattinaio – 1929 Tina Modotti
Resta il fatto che il suo talento naturale e la preziosa frequentazione di grandi artisti (oltre a Weston Tina frequentò maestri del calibro di David Alfaro Siqueiros, Diego Rivera e Frida Kalho), alimentarono una passione che era nata nello studio fotografico del nonno Pietro ad Udine.
Un talento che si sviluppò producendo scatti meravigliosi, quasi tutti realizzati nel fervido e appassionato periodo messicano, quando insieme a Weston si stabilirono a Città del Messico e strinsero un patto: Tina lo avrebbe aiutato a gestire lo studio fotografico lasciandolo libero di dedicarsi solo a fotografare, lui le avrebbe insegnato i segreti del mestiere.
Un’artista complessa ed un po’ misteriosa, che sarebbe bello conoscere meglio.
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Non solo una crepa…
Posted in Closeups, Culture, Technique, tagged concept, crack, creatività, crepa, cretto, esperimento, imperativo, Ipholaroid, Iphone, opinione, pega, Polaroid, politica, progetto, sviluppo on 09/05/2010| 1 Comment »
A volte una semplice immagine, magari associata ad una parola, può germogliare in qualcosa che si ramifica in una serie di significati che cambiano molto e sfumano sviluppandosi a seconda dell’osservatore.
E’ una sorta di sinergia comunicativa che si può creare tra parole ed immagini.
Ho avuto modi di sperimentarlo solo pochi giorni fa postando su flickr l’immagine sopra, intitolata semplicemente “Crepa.”
Tutto è partito con una banale foto fatta con l’Iphone e trattata in modo da assomigliare ad uno scatto Polaroid per il mio progettino che si chiama appunto IPholaroid project.
Un muro colorato con una notevole spaccatura… un’immagine che per me ha cominciato subito ad assumere tutta una serie di possibili significati.
In effetti crepa è un piccolo danno locale ma potrebbe anche rappresentare la manifestazione di un problema più generale…
La crepa può essere vera e tangibile su un muro di casa o, vista l’attualità di questi giorni, figurata negli avvenimenti politici.
Qualcuno ci ha visto poi passione e sofferenza. La crepa può essere molte cose, come anche l’espressione di constatazione cinica di fronte ad un organismo che sta giungendo alla fine della sua vita o addirittura… un minaccioso imperativo ! (Con relativi gesti scaramantici di qualcuno).
Insomma… non è solo una crepa…
🙂
SanDonninobyl
Posted in Architecture, Street Photo, tagged Cernobyl, diossina, ecologia, Firenze, inceneritore, inquinamento, Italia, politica, San Donnino, SanDonninobyl, termovalorizzatore on 13/11/2009| 2 Comments »
Se percorri l’autostrada A1 in direzione sud, poco prima dell’uscita Scandicci puoi osservare sulla destra quest’altro inquietante mostro di Firenze.
Si tratta dell’inceneritore di San Donnino. Fu inaugurato nel 1973, a seguito di un periodo di polemiche ed emergenze rifiuti derivanti dallo sviluppo urbanistico e demografico della città di Firenze, che aveva fatto raggiungere l’allora ragguardevole traguardo delle 300 tonnellate giornaliere di spazzatura.
La giunta del sindaco Bausi si prodigò molto per rassicurare gli abitanti del piccolo borgo di San Donnino, destinato ad ospitare il mastodonte, e garantì che l’opera non avrebbe avuto alcun impatto dato che, grazie alle nuove tecnologie di filtraggio ed alle altissime temperature utilizzate nelle combustioni. Dalle sue alte ciminiere non sarebbero usciti gas nocivi ma solamente innocuo vapore d’acqua.
Pochissime settimane dopo l’inaugurazione però in molti si resero conto che qualcosa non quadrava. L’inceneritore sputava cenere. I primi mesi si parlò di rodaggio, ma poi si cominciò a comprendere l’amara realtà. La diossina era ora di casa anche nella piana fiorentina.
Ne seguirono anni di lotta civica, in cui si susseguirono le proteste a cui facevano eco i comunicati congiunti dei comuni che assicuravano la piena sicurezza e rispondenza alle normative dell’impianto.
Nel settembre 1986, dopo forti manifestazioni di protesta, denunce ed indagini l’inceneritore fu chiuso. Le scorie interrate nelle vicinanze, in cave di rena prossime alle falde acquifere.
Oggi la struttura è un deposito del Consorzio Quadrifoglio, l’azienda che gestisce i rifiuti per la provincia di Firenze. Si sta ancora parlando di che futuro dare a questa mostruosità in cemento.
Una ricerca sulla mortalità tra il 1981 e il 2001 nel territorio circostante l’inceneritore, a cura del Centro per lo Studio e la Prevenzione Oncologica dell’Università di Firenze ha dato risultati terribili. In quel periodo le patologie di legate al linfoma hanno colpito ben 14 persone contro le 7,6 attese statisticamente, che in percentuale rappresenta un + 84%. Per quanto riguarda il sarcoma, l’aumento è invece del 126%.
Come già noto, molti di questi problemi sono legati alla generazione di macro, micro e nano polveri, le ultime non trattenibili da nessun sistema di filtraggio..
Recenti ricerche dimostrano come le polveri di dimensione uguale o inferiore ad un micron, quelle generate dalle combustioni ad altissima temperatura, se respirate, arrivano nel sangue in soli 60 secondi e raggiungono il fegato in un’ora. Quando si accumulano nell’organismo diventano estremamente tossiche ed è impossibile espellerle. Non sono né biocompatibili, né biodegradabili.
Ed intanto a Firenze che si fa?
E’ deciso. Si fa un nuovo inceneritore.. stavolta però si chiamerà “termovalorizzatore”.
😦