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Trendy elements

Trendy elements – © Copyright 2009 Pega

Siamo assuefatti al “quick cut”, quella precisa scelta di regia e montaggio che nel mondo del video opta per continui cambi di inquadratura, scene brevissime, dinamiche e veloci, quasi dei flash che si susseguono.
E’ una tendenza che nel corso degli anni si è sviluppata sempre di più. Nata nei videoclip si è trasmessa al mondo degli spot pubblicitari, per approdare ormai in qualsiasi produzione visiva: dalla fiction ai telegiornali, al cinema.
Ormai ci siamo abituati, siamo stati pian piano “addestrati” a sfruttare quella capacità del nostro cervello di saper “cogliere al volo” la sintesi, di “surfare” tra le informazioni audiovisive, in un flusso sempre più veloce e denso, spesso ricchissimo di suggestioni pubblicitarie.
Personalmente ho sviluppato però nel tempo, una forma di rigetto nei confronti di questo stile. Una sorta di intolleranza.
Odio il quick cut perché ha iniziato a farmi parzialmente perdere la capacità di fermarmi a guardare, godere di una scena, studiarne le caratteristiche con calma. E questo è tanto più grave se questa superficialità la andiamo ad usare con le fotografie.
Le foto vanno gustate. Già in precedenti post accennavo al piacere di studiare a fondo le immagini, di “ascoltarle” a lungo quasi come si fa con un pezzo musicale o anche come si assapora con calma un calice di buon vino.
Il quick cut è invece un atteggiamento, un’impostazione, un modo diverso di guardare, che tende ad allontanarci da tutto questo.
Ed è un gran peccato.

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Ormai ci siamo assuefatti al “quick cut”, quella precisa scelta di regia e montaggio che nel mondo del video opta per contuinui cambi di inquadratura, scene brevissime, dinamiche e veloci, quasi dei flash che si susseguono.

E’ una tendenza che nel corso degli anni si è sviluppata sempre di più. Partita in origine dal mondo dei videoclip si è trasferita ben presto in quello degli spot pubblicitari, per approdare ormai in qualsiasi produzione visiva: dalla fiction ai telegiornali, al cinema.

Dicevo che ormai ci siamo abituati, siamo stati pian piano “impostati” per sfruttare quella capacità del nostro cervello di saper “cogliere al volo” la sintesi, di “surfare” tra le informazioni audiovisive in un flusso sempre più veloce e denso, spesso ricchissimo di suggestioni pubblicitarie.

Personalmente però sto cominciando a provare una forma di rigetto nei confronti di questo stile. Una sorta di intolleranza.
Odio il quick cut perchè ha iniziato a farmi parzialmente perdere la capacità di fermarmi a guardare, godere di una scena, studiarne le caratteristiche con calma. E questo è tanto più grave se questa “superficialità” la andiamo ad usare con le fotografie.

Le foto vanno gustate. Già in precedenti post accennavo al piacere di studiare a fondo le immagini, di “ascoltarle” a lungo quasi come si fa con un pezzo musicale o anche come si assapora con calma un calice di buon vino.

Il quick cut è invece un atteggiamento, un’impostazione, un modo diverso di guardare che crea un’abitudine che tende ad allontanarci da tutto questo.
Ed è un gran peccato.

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