Ci sono cose che solo una fotografia ci può raccontare. Sì, perché son cose a cui un essere umano non sopravvive.
L’immagine sopra appartiene a questa categoria, un mostro assoluto che si nasconde nelle viscere della terra e che uccide chiunque tenti di avvicinarsi: è uno dei principali agglomerati di lava radioattiva creatisi con l’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl nel 1986.
Chiamata anche “The Elephant Foot”, la massa è composta da un insieme di combustibile nucleare fuso, mescolato a metallo e cemento che, dopo l’incidente, sono stati perforati ed attraversati nella lenta ma progressiva discesa di questo materiale semi-liquido nelle viscere della centrale.
La fotografia fu scattata dieci anni dopo la catastrofe, durante un’ispezione organizzata per verificare i rischi legati al pericolosissimo procedere del nocciolo di combustibile fuso verso il terreno sottostante e le falde acquifere. Nel 1996 le radiazioni erano ancora elevatissime, penetrare nei sotterranei della centrale esplosa significava esporsi a rischi enormi, ma avvicinarsi alla massa voleva dire morire quasi all’istante, così quegli uomini piazzarono una macchina fotografica su un carrello e fotografarono “la Zampa dell’Elefante” da dietro un angolo.
La pericolosità di questo mostro sotterraneo è praticamente inalterata da allora, e la sua minaccia accompagnerà chiunque viva su questo pianeta per qualcosa come altri 100.000 anni.
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La zampa dell’elefante (reloaded)
Posted in Black and White, Culture, Decay, History of photography, tagged calore, energia, fusione, nucleare, radiazioni, sindrome, uranio on 15/04/2018| 3 Comments »
La zampa dell’Elefante
Posted in Black and White, Culture, History of photography, tagged atomico, chernobyl, corio, disatro, fotografia, fuso, lava, morte, mostro, nocciolo, nucelare, radiazioni, sarcofago on 18/11/2015| 8 Comments »
Ci sono cose che solo una fotografia ci può raccontare. Sì, perché son cose a cui un essere umano non sopravvive.
L’immagine sopra appartiene a questa categoria, un mostro assoluto che si nasconde nelle viscere della terra e che uccide chiunque tenti di avvicinarsi: è uno dei principali agglomerati di lava radioattiva creatisi con l’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl nel 1986.
Chiamata anche “The Elephant Foot”, la massa è composta da un insieme di combustibile nucleare fuso, mescolato a metallo e cemento che, dopo l’incidente, sono stati perforati ed attraversati nella lenta ma progressiva discesa di questo materiale semi-liquido nelle viscere della centrale.
La fotografia fu scattata dieci anni dopo la catastrofe, durante un’ispezione organizzata per verificare i rischi legati al pericolosissimo procedere del nocciolo di combustibile fuso verso il terreno sottostante e le falde acquifere. Nel 1996 le radiazioni erano ancora elevatissime, penetrare nei sotterranei della centrale esplosa significava esporsi a rischi enormi, ma avvicinarsi alla massa voleva dire morire quasi all’istante, così quegli uomini piazzarono una macchina fotografica su un carrello e fotografarono “la Zampa dell’Elefante” da dietro un angolo.
La pericolosità di questo mostro sotterraneo è praticamente inalterata da allora, e la sua minaccia accompagnerà chiunque viva su questo pianeta per qualcosa come altri 100.000 anni.
Il fotografo cavia nucleare
Posted in Culture, History of photography, People, video, tagged armi, atomica, atomico, bagliore, bomba, cancro, deserto, distruzione, esperimento, fotografo, ground zero, guerra fredda, lavoratore, luce, malattia, militari, morte, Nevada, NOWAR, nucleare, radiazioni, salute, stati uniti, test site, tumore, vittime, volontari on 19/07/2012| 2 Comments »
Esattamente cinquantotto anni fa.
E’ il 19 luglio del 1957, nel pieno della guerra fredda. Negli Stati Uniti la popolazione vive nel terrore di possibili attacchi nucleari.
Tra esperimenti atomici sopra e sotto il suolo viene deciso che l’opinione pubblica ha bisogno di essere un po’ tranquillizzata.
Vengono trovati cinque volontari. Sono ufficiali dell’aviazione disposti a beccarsi in pieno un’esplosione nucleare. Rimangono in piedi e senza protezioni sul terreno del deserto del Nevada mentre un (modesto) ordigno atomico da 2 kiloton viene fatto esplodere a 10 mila piedi (circa 3,3Km) sopra di loro.
Nessuno sa che fine abbiano fatto quei poveretti. Se siano sopravvissuti a lungo a quell’esperienza o morti poco dopo di cancro, come successe a tanti membri di troupes cinematografiche che in quei luoghi girarono film western poco tempo dopo.
Erano cinque volontari.
Ma con loro c’era una sesta persona: il fotografo che scattò immagini e realizzò il breve filmato che puoi vedere qui sotto.
Lui non era un volontario, era lì per lavoro.
Fotografia e plutonio
Posted in Culture, Decay, Nature, tagged 1986, Cernobyl, chernobyl, decay, elementi, Elena Filatova, fotografia, incidente, Kiev, motocicletta, natura, nucleare, passione, pericolo, photography, plutonio, progetto, radiazioni on 12/02/2012| Leave a Comment »

© Copyright Elena Filatova – http://www.elenafilatova.com
Il plutonio prende il suo nome da Plutone, dio dei morti che regna sul mondo degli inferi. E’ estremamente tossico e pericoloso, l’emivita del suo isotopo 239 è oltre 24.000 anni.
Ma non è tra gli inferi che si sposta con la sua motocicletta una fotografa di nome Elena Filatova, ma tra le rovine abbandonate di una tra le zone più avvelenate da materie radioattive: la cosiddetta “dead zone”, l’area a nord di Kiev che si estende per molti chilometri intorno alla centrale di Chernobyl.
Elena, saggiamente munita di un dosimetro per monitorare la sua contaminazione, visita ormai da anni questa area rurale cosparsa di piccoli centri urbani abbandonati dopo il devastante incidente nucleare del 1986, lavorando ad un progetto fotografico che ha condensato in un libro dal titolo Pluto’s Realm (Il regno di Plutone).
Sul suo sito www.elenafilatova.com si possono trovare molte sue foto insieme ad alcune informazioni su questo progetto piuttosto particolare e non privo di rischi. E’ un tema fotografico che personalmente trovo affascinante, specie quando descrive la capacità della natura di riappropriarsi degli spazi, nonostante le avversità e l’ostilità delle condizioni.
Chi fosse interessato al libro può scrivere a elena@elenafilatova.com per ordinarlo e riceverlo facendo una piccola donazione.