E’ stata definita come “L’indimenticabile immagine di James Dean, curvo nel suo soprabito scuro, come quasi avesse il peso di una intera generazione sulle spalle.”
Questa emblematica foto fu scattata nel 1955 in Times Square da Dennis Stock, famoso membro dell’agenzia Magnum.
James Dean cammina nella pioggia, sigaretta in bocca, i chiaroscuri della New York degli anni cinquanta espressi in modo magistrale con un bianco e nero stupendo, impreziosito dall’atmosfera nebbiosa.
Un grande scatto, con un gran soggetto, la composizione perfetta, l’atmosfera ideale… o forse… quasi.
Non tutti sanno, in particolare non lo sanno i tanti profeti del “Io la postproduzione mai“, che in realtà ben prima dell’avvento del digitale, tutti i grandi fotografi lavoravano insieme ad una figura che era in pratica la loro metà: lo stampatore.
Come nel caso che citavo in un vecchio post, anche qui la foto famosa beneficiò del lavoro di colui che spesso restava nell’ombra, in questo caso Pablo Inirio, uno dei più grandi maestri di camera oscura della storia della fotografia.
Ecco qui sotto il bozzetto con le istruzioni di stampa, un trattamento che adesso possiamo facilmente fare su Photoshop o deleghiamo alla nostra fotocamera (quando scattiamo in jpg). Con la pellicola ci voleva gran manualità ed esperienza, così si lavorava prima dell’avvento del digitale. Un bel documento per chi spesso discute sul tema della postproduzione, che fa capire come la questione stia tutta nel gusto e nella misura, non nel principio o nella tecnica.
Pensaci la prossima volta che giudichi i tuoi scatti senza prima averli “processati”.
L’antica arte della postproduzione
09/09/2012 di Pega
Alcune zone sone state schiarite e contrastate per accentuare la solitudine del soggetto.. Interessante…
Beh, non era male nemmeno l’originale!
Perfetto. Questi sono i post che mi mandano in estasi. Grazie Pega. E fanne di piu’ di post su questo argomento, mi interessa moltissimo.
c’è post-produzione e post-produzione, c’è l’esaltazione (come in questo caso) e c’è lo stravolgimento. Certo sarebbe interessante capire tutti quei segni e sapere esattamente cosa ha fatto lo stampatore.
I segni indicano le zone che andranno esposte (sovraesposte se c’è un +) in fase di stampa per il numero di secondi segnato. Il numero dopo la barra credo indichi il filtro in uso sull’ingranditore. Zero=senza filtro.
certo che per tradurre i segni nel risultato ci voleva ben altro che 4 pennellate in photoshop
Grandissima lezione, da leggere e rileggere in era digitale.
in effetti, come dice Vito, c’è pp e pp 😀
e in questo caso, lo stampatore doveva fare un lavorone esagerato, ode alla bravura di questi personaggi!
Sarebbe molto interessante sapere quante copie venivano stampate e sarebbe bello confrontarne due perchè con una tecnica del tutto manuale e per quanto fosse bravo lo stampatore, con una tale mole di istruzioni da seguire in un lasso di tempo molto breve, la possibilità di variazioni è molto alta. A meno che la foto non servisse di base per una riproduzione fotomeccanica, naturalmente.
Interessantissimo! Da qui si capisce anche quanto sia importante visualizzare mentalmente la foto che si intende ottenere, la postproduzione digitale ha solo semplificato le cose! Bellissimo post.
No, non sono daccordo, si tratta di due sistemi, due concezioni, due principi assolutamente diversi. Lontani tra loro come due galassie. Certo, lo stampatore poteva modificare lo scatto del fotografo, ma era diverso il principio. Di fatto, la stampa tendeva ed “equilibrare” ( al momento non riesco a trovare un altro termine) quella che doveva essere l’immagine che il fotografo aveva visto. Cioè si faceva in modo di riportare allo stato ( mentale o emozionale ) ciò che il tipo di emulsione prima e lo sviluppo e fissaggio poi ( ricordi quanti rivelatori e relative diluizioni possibili, e la temperatura dei bagni etc. etc. ?) in qualche modo poteveno modificare. Scrivo di getto, sono al lavoro e probabilmente non ho reso bene l’idea, ma sono certo che almeno tu hai capito perfettamente. Un rispettoso saluto
Gialloesse, grazie del tuo contributo. Rispetto totalmente il tuo punto di vista che però non trovo così distante dal mio.
Lo stampatore cercava di portare la foto più vicina possibile al sentimento del fotografo. Per far questo dialogava con lui e poi lavorava con maestria per giungere ad un risultato che evidentemente ancora non c’era. Ciò è postproduzione nel senso più puro, è manipolazione al fine di portare l’opera ad essere ciò che l’artista vuole.
Questo può avvenire in digitale o in analogico ma il concetto di fondo è lo stesso: la ricerca consapevole di un risultato artistico desiderato.
Non so se la vediamo entrambi in questo modo ma comunque sia apprezzo veramente molto contributi come il tuo.
sono d’accordo col post! la postproduzione equivale al lavoro in camera oscura … Io da tempo mi sono convertita a questa mentalità, mi scandalizza un p0′ di più il tagliare e tagliare! Poi su un libro di foto ho visto una bellissima foto di un fotografo della Magnum se non ricordo male, e poi l’originale … insomma era veramente tagliata!!
pure io trovo scorretto il crop: la composizione deve essere definita, come l’esposizione in linea di massima, in ripresa, non scelta dopo solo perché si hanno a disposizione megapixel de paura.
Quando ho iniziato a cimentarmi la fotografia, pur avendo iniziato col digitale ma essendo un ammiratore delle arti del passato, la post-produzione in digitale mi pareva una bestemmia – crop compreso. Poi ho avuto modo di scoprire che anche sull’analogico si faceva post-produzione (v. sopra), anche spinta (v. fotomontaggi). Non ne ho la prova, perché non ho mai visto nessuno lavorare in camera oscura, ma sono a questo punto convinto che anche con l’analogico il crop c’era eccome – in fondo basta proiettare parte dell’immagine fuori dalla carta. A questo punto è questione solo di gusti, ma è indipendente dalla tecnica. io un po’ di post-produzione la faccio, lavorando su luci, colori, contrasto, ritaglio, ma, ad esempio, non mi diletto nel rimuovere o aggiungere singoli oggetti (es. clone&co.).
direi che questo la discussione sviluppatasi su questo post in qualche modo è il seguito di questa: https://pegaphoto.com/2011/07/21/passione-analogica/
comunque tutto dipende dalle istruzioni: se lo stampatore esegue fedelmente le istruzioni del fotografo, realizzando quello che si desidera, allora è un ottimo tecnico, se lo stampatore crea autonomamente un risultato altro allora le cose sono diverse e il risultato è prodotto dai due contributi artistici, in diverse proporzioni.
In tema: http://d.repubblica.it/argomenti/2012/08/24/news/arte_photoshop_vintage-1219938/
Peccato che è un po’ lontano… Mi piacerebbe veramente andarla a vedere questa mostra.
Grazie Vigo della segnalazione!
non ho letto tutto quanto scritto sopra, ma non venite a raccontarmi che la postproduzione in camera oscura sia uguale a quella fatta su piccì perchè non è vero. Anzi, chi lo sostiene non è mai entrato in camera oscura.
Ragazzi non scordiamo una cosa: prima di poter arrivare ad un risultato del genere lo stampatore ha dovuto fare dei provini quanto meno per ogni intervento e ogni provino costa poco che poco almeno 50 centesimi di carta…ditemi chi sarebbe disposto a spendere 50 centesimi a spennellata su Photoshop (senza la possibilità di alcun Ctrl+Z che riporti magicamente tutto come prima, se sbagli devi ricominciare da 0). Inoltre Onestamente trovo anche inutili molte delle mascherature che ha fatto…si poteva stampare tranquillamente cambiando con una carta più contrastata (ma non sono uno stampatore maestro quindi date poco peso alla mia affermazione)!!! 🙂
Non è tanto importante la difficoltà di fare post produzione tra ieri e oggi. Quello che da veramente valore a questo lavoro è che lo stampatore è entrato in sintonia con l’immagine e l’ha interpretata come se stesse in qualche modo fotografando anche lui. L’ha studiata, sentita, pensata e prima di iniziare il lavoro sapeva già cosa fare e cosa voleva ottenere per rendere il messaggio più forte. E’ questa la grande differenza rispetto ad oggi: lui ha “immaginato” il risultato finale e solo dopo l’ha realizzato. Mentre tanti oggi si mettono alla scrivania e invece di condurre loro il mezzo al risultato, si fanno guidare candendo sovente nell’overpost senza contenuto.
Concordo toalmente. La capacità di immaginare e progettare l’opera prima di mettersi al lavoro, quel concetto di “previsualizzzione” di cui parlada Adams. E’ ciò che caratterizza l’arte e spesso la separa da ciò che non lo è.
trovo che per imparare i trucchi e i segreti della camera oscura siano fondamentali i libri di Ansel Adams
Vero, i libri di Adams sono bellissimi, in particolare “The Print”. Veri punti di riferimento.
Saper cosa si vuol comunicare con la fotografia. Scattare al meglio delle proprie capacità e circostanze. Lavorare il prodotto ottenuto in questo stadio intermedio (negativo o file) con le tecnologie appropriate, messe a disposizione dai tempi per ottenere un prodotto finito, di solito una stampa che comunichi il più possibile ciò che si voleva. Tutto qui, semplicemente.
robert
Sintesi perfetta Robert.
🙂
Leggo con molto ritardo questo interessante post, ma non ho proprio potuto fare a meno di commentare. Sono un post produttore fotografico, da molti anni, l’attuale post produzione digitale non sono “4 pennellate in Photoshop” programma che tutti si illudano di saper usare, sopratutto i fotografi con risultati opinabili e addirittura imbarazzanti. Quello che facevano gli stampatori una volta non si fa oggi facilmente in photoshop perchè questo programma è difficile, per raggiungere risultati professionali si deve avere la stessa manualità ed esperienza dei vecchi stampatori. Sono un po’ stanca di termini quali photoshopparo, smanettone, spennelatore. E se devo essere sincera la fotografia come la intendono i “puristi” non ha più senso, Dobbiamo trovare il coraggio di usare i mezzi che il nostro tempo ci mette a disposizione, per esprimere e andare al di là di questo nostro stesso tempo! Immaginate un Pablo Picasso un Van Gogh che si ostinano a fare affreschi come Michelangelo! Chiedo scusa per la mia passionalità. Buonasera.
Anzi grazie a te per l’appassionto contributo!
Ciao!
Un saluto a tutti, Ho stampato per quasi trent’anni negativi di svariati fotografi anche famosi.
Il ruolo dello “stampatore” è un mestiere difficile poichè difficile è comunicare con chi concepisce immagini.
Gli interventi in camera oscura, come giustamente detto poco addietro, che anche con photoshop si fanno e che necessitano di una più che buona conoscenza del programma, rappresentano un tentativo di aumentare l’effetto visivo della sequenza dei toni (scena reale intendo) che il mezzo stesso, pellicola carta ecc. non riesce fisicamente a riassumere..
L’occhio perdona molti errori (specialmente i propri) e magari servisse solo “una carta più contrastata” a compiere questo miracolo.
Il modo di osservare dei nostri occhi è a “nistagmo” cioè l’occhio analizza velocemente e separatamente molte zone e non l’immagine intera, esegue una sorta di analisi frazionata delle sequenze tonali; ecco perchè abbiamo una latitudine di osservazione dei toni estremamente elevata.
Le mascherature e bruciature LOCALI! tentano di ricostituire le varie dinamiche zonali. Tutto qui.
Purtroppo non è ciosì semplice. c
La postproduzione, come oggi viene detta, dev’essere come il trucco sul volto di una donna: ce ne accorgiamo se non c’è, e non ce ne accorgiamo se c’è.
franco santi
Un saluto a tutti, Ho stampato per quasi trent’anni negativi di svariati fotografi anche famosi.
Il ruolo dello “stampatore” è un mestiere difficile poichè difficile è comunicare con chi concepisce immagini.
Gli interventi in camera oscura, come giustamente detto poco addietro, che anche con photoshop si fanno e che necessitano di una più che buona conoscenza del programma, rappresentano un tentativo di aumentare l’effetto visivo della sequenza dei toni (scena reale intendo) che il mezzo stesso, pellicola carta ecc. non riesce fisicamente a riassumere..
L’occhio perdona molti errori (specialmente i propri) e magari servisse solo “una carta più contrastata” a compiere questo miracolo.
Il modo di osservare dei nostri occhi è a “nistagmo” cioè l’occhio analizza velocemente e separatamente molte zone e non l’immagine intera, esegue una sorta di analisi frazionata delle sequenze tonali; ecco perchè abbiamo una latitudine di osservazione dei toni estremamente elevata.
Le mascherature e bruciature LOCALI! tentano di ricostituire le varie dinamiche zonali. Tutto qui.
Purtroppo non è così semplice.
La postproduzione, come oggi viene detta, dev’essere come il trucco sul volto di una donna: ce ne accorgiamo se non c’è, e non ce ne accorgiamo se c’è.
franco santi