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ComposerIgorStravinskyNewYorkDecember11946

Conosci questa foto? E’ il famoso ritratto del grande compositore Igor Stravinsky scattato nel 1946 da uno dei più importanti fotografi ritrattisti del novecento: Arnold Newman.
Newman immortalò moltissimi personaggi famosi: da Picasso a Marilyn Monroe, passando per Chagall, Dalì e tutti i presidenti americani da Truman in poi.
Il ritratto di Stravinsky nel suo studio di New York è senz’altro un’icona nella storia della fotografia ed anche di quello che fu lo stile di Newman: il “ritratto ambientato”.“Le persone esistono nello spazio”, diceva il fotografo americano, maestro nel trasmettere all’osservatore l’essenza dei suoi soggetti immergendoli nel loro ambiente naturale: una sorta di geniale unione tra la tradizionale fotografia di ritratto e quella di reportage.
Sono sempre affascinato dal cercare di comprendere il percorso creativo seguito nelle fasi di realizzazione di una fotografia e qui abbiamo anche un interessante documento: la serie di scatti effettuati da Newman proprio in occasione della sessione con Stravinsky. Si tratta di un insieme di quindici fotogrammi scattati il primo dicembre del 1946, proprio nello studio del compositore e da cui è tratta la foto che è divenuta così famosa.

Stravinsky_set

E’ un esempio molto interessante in cui si apprezzano i vari tentativi del fotografo alla ricerca dell’inquadratura migliore per realizzare un ritratto davvero significativo.
Con i primi fotogrammi Newman esplora alcune soluzioni diverse, alla ricerca di quale possa essere la strada giusta.
All’inizio appare anche la moglie del compositore, poi si passa ad idee diverse, fino a quando il fotografo sembra trovare la chiave nella forma sinuosa del coperchio del pianoforte, che forse richiama in qualche modo le simbologie del pentagramma.
Si concentra e si avvicina al risultato finale negli ultimi quattro scatti, posizionando Stravinski ad un lato.
C’è poi la traccia evidente della valutazione effettuata a posteriori sulle immagini. Si vedono i segni di selezione delle “preferite” e la decisa scelta di quello che sarà il prodotto finale, compreso il particolarissimo taglio: un bel “crop” per dirla con i termini odierni.

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Jimi by Gered Mankowitz

Jimi Hendrix by Gered Mankowitz – 1967

Immagini che accompagnano la musica, ma anche musica che arricchisce e completa un’immagine. E’ una sorta di simbiosi che esiste da sempre e che possiamo manipolare con la nostra creatività, una forma di espressione artistica composita dove due opere si intrecciano per darci sensazioni.
Oggi voglio proporti un piccolo esperimento partendo da questo ritratto che il fotografo Gered Mankowitz fece a Jimi Hendrix nel 1967, una foto iconica del grande musicista, uno scatto in studio tra i più riusciti di una session che lo vide posare in varie modalità, mai troppo a suo agio.
E’ una delle migliori immagini fotografiche di questo grande artista prematuramente scomparso, un genio assoluto che transitò brevemente nel nostro mondo lasciando un’eredità musicale immensa, ancora oggi viva e fonte perenne di ispirazione per intere generazioni di musicisti.
Ti invito a sederti ed osservare con calma questo ritratto, guardando con affetto Jimi per i soli due minuti di ascolto di quello che, a mio parere, è il suo pezzo più bello, Little Wing, che alcuni hanno definito come una canzone sulla droga ma che invece per me è un incredibile colpo di genio autobiografico, con il testo messo al femminile solo per confondere le acque.
Little Wing non è altro che Jimi stesso, con la sua chitarra, nella sua breve ma luminosissima parabola fatta di magia, che finisce prima che tu ti accorga di quanto è bella.
Buona visione e buon ascolto (a volume adeguato, mi raccomando).

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Guitar 2 by PPP

Guitar 2 – © Copyright 2008 Pega

Nel film “Chi non salta bianco è” del 1992 ad un certo punto il protagonista mette una cassetta nello stereo della macchina ed alza il volume di un pezzo rock.
“Hey! Che roba è?” chiede l’amico afroamericano dal sedile posteriore.
“È Jimi Hendrix”
“No, lo so chi è, ma perchè tu metti Jimi?”
“Mi piace ascoltarlo”
“Oh, ti piace ascoltarlo. Ecco, è qui che sta il problema. Voi lo ascoltate”
“Che cosa dovrei fare? Mangiarlo?”
“No, no. Dovresti provare a sentirlo” insiste il passeggero.
“Ma sei scemo? Ti ho appena detto che mi piace ascoltarlo!”
“Lo so, ma c’è una bella differenza tra sentire ed ascoltare. Voi bianchi non lo potete sentire Jimi. Voi lo potete soltanto ascoltare“.

Mi capita spesso di pensare a quanto la stessa “sottile” differenza possa esistere anche in fotografia e quanto sia frequente rischiare di limitarsi a guardare un’immagine senza però vederla.
Ovvio, come per la musica, non è una questione di etnia ma di atteggiamento.
Con certe fotografie è solo provando ad entrarci in sintonia, “cambiando pelle”, immedesimandosi con il fotografo ed il suo soggetto che si può andare oltre ed iniziare a vederle davvero, arrivando magari fino a sentirle.
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Guitar 2 by PPP

Guitar 2 – © Copyright 2008 Pega

Non solo pianoforti, chitarre o tamburi, ma anche campane, fischi o qualsiasi altro oggetto in grado di produrre un suono. È questo il tema per il centottantaduesimo weekend assignment.
Gli strumenti creati per produrre suoni sono manufatti ricchi di fascino, quasi sempre contraddistinti da una loro armonia e quindi tipicamente fotogenici. Specie se si tratta di cose fatte a mano, la loro poersonalita li rende soggetti degni di un tipo di fotografia che quasi si può assimilare al ritratto. Giocando con la luce e girandoci attorno alla ricerca della giusta inquadratura sembra quasi che alcuni di questi oggetti sappiano esprimersi non solo nella dimensione acustica ma anche in quella visiva, trasmettendo all’osservatore sensazioni interessanti.
In questo weekend cerca un giusto soggetto e dedicagli qualche tuo scatto. Dopo, se ti va, posta in un commento qui sotto la foto condividendo “il prodotto della tua missione”. Confrontarsi è divertente e può aiutarti a scoprire persone che apprezzano le tue immagini.

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Clicca qui per visualizzare l’elenco di tutti i Weekend Assignment precedentemente proposti.

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Guitar 2 by PPP

Guitar 2 – © Copyright 2008, Pega

Un tipo dalla carnagione chiara alza il volume dello stereo mentre guida la macchina ed un bel suono di chitarra rock emerge dagli altoparlanti.
“Hey! Che roba è?” chiede l’amico afroamericano dal sedile posteriore.
“È Jimi Hendrix”
“No! Lo so chi è, ma perché tu metti Jimi?”
“Mi piace ascoltarlo.”
“Oh, ti piace ascoltarlo. Ecco, è qui che sta il problema. Voi lo ascoltate.”
“Che cosa dovrei fare? Mangiarlo?” chiede il tipo alla guida.
“No, no, dovresti provare a sentirlo” insiste il passeggero.
“Ma sei scemo? Ti ho appena detto che mi piace ascoltarlo!”
“Lo so, ma c’è una bella differenza tra sentire ed ascoltare. Voi bianchi non lo potete sentire Jimi. Voi lo potete soltanto ascoltare“.

È uno scambio di battute tratto dal film “Chi non salta bianco è” del 1992. Ricordando questo dialogo non ho potuto fare a meno di pensare a quanto possa sussistere lo stesso anche in fotografia, dato che con alcune immagini si può rischiare la stessa cosa: ci si può limitare a vederle.
Ovvio, non è una questione di razza ma di atteggiamento.
Con certe fotografie è solo provando ad entrarci in sintonia, “cambiando pelle”, immedesimandosi con il fotografo ed il suo soggetto che si può andare oltre ed iniziare a guardarle davvero, arrivando magari fino a sentirle.

Sarebbe un peccato rimanere nei panni dei bianchi che, nel video sotto sembrano proprio ascoltare senza assolutamente “sentire” la musica di Jimi Hendrix, non trovi?
🙂

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provini John Lennon

John Lennon, 1974 – Copyright Bob Gruen

 

C’è un gusto particolare nel guardare i provini da cui sono state selezionate foto famose divenute poi iconiche.
Nel 1974 John Lennon si era separato da Yoko Ono, ed in California stava lavorando ad un nuovo disco dopo i due fiaschi commerciali che avevano seguito l’enorme successo di Imagine.
In agosto si spostò a New York per entrare in studio di registrazione e, visto che serviva qualche immagine per le interviste e la copertina del disco, un giorno fu organizzata una sessione di scatti con Bob Gruen, un fotografo ventinovenne che Lennon conosceva.
Gruen propose di sfruttare l’attico di Lennon ed una volta sulla terrazza, gli fece indossare una maglietta da pochi dollari che aveva appena preso per strada ed a cui aveva grossolanamente tagliato le maniche.
Lennon non era in gran forma, nelle foto appare stanco e svogliato. Non è sicuramente nel suo periodo più smagliante. Dalla numerazione dei fotogrammi si vede che dopo aver indossato la maglietta proposta da Gruen, propende per il suo giubbotto di jeans.
Sei anni dopo Lennon fu ucciso poco lontano dal luogo dello scatto. La foto con la maglietta, in cui appare serio ed un po’ impenetrabile dietro ai suoi occhiali scuri, divenne l’icona della sua veglia funebre.

John Lennon ritratto da Bob Gruen

John Lennon – Copyright 1974, Bob Gruen

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Abbey_Road_BackstageAdoro le foto di backstage. Mi piace studiarle immaginando la scena nel suo dinamismo: il fotografo al lavoro, gli assistenti, i soggetti in attesa dello scatto.
Osservando con attenzione queste immagini si può imparare molto, ma a volte c’è qualcosa di più: si ha l’opportunità di assaporare il momento da cui è nata un’opera celebre.
Amo in particolare i backstage d’epoca, come questa foto dei Beatles mentre si preparano ad attraversare Abbey Road, giusto pochi istanti prima del famoso scatto che fu poi scelto come copertina dell’album; un’ immagine divenuta iconica, passata alla storia.
E’ la mattina dell’otto agosto 1969. Al fotografo Iain Macmillan sono stati concessi una decina di minuti. Un poliziotto blocca il traffico per permettergli di posizionarsi su uno sgabello in mezzo alla strada, dare qualche indicazione allo staff ed ai Beatles e poi realizzare qualche scatto.
Lennon si aggiusta i pantaloni, McCartney sistema la giacca a Ringo Starr che parla con una signora, forse una passante che prova a dargli qualche consiglio su come suonare meglio la batteria. Harrison se ne sta in disparte, il viso nascosto dalla lunga chioma.
Non ho dubbi: io avrei messo questa foto come copertina dell’album.
.
🙂

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Robert Mapplethorpe

È la volta di un nuovo cortocircuito fotografico, anzi, a dire il vero, di uno straordinario doppio cortocircuito fotografico.
In questo scatto di Norman Seef, realizzato nel 1969 a New York, ci sono due grandi personaggi: Robert Mapplethorpe e Patti Smith.
Non credo ci sia bisogno di presentazioni per questa coppia di notevoli interpreti della scena culturale degli anni settanta, ed è davvero un doppio cortocircuito perché i fotografi ritratti sono due: anche Patti infatti, dopo aver conquistato il titolo di sacerdotessa del Rock, si è poi rivelata una bravissima fotografa.

Patti Smith e Robert Mapplethorpe avevano circa vent’anni, vivevano insieme e si amavano. Patti era da poco arrivata da Chicago, senza soldi, la musica ancora non era la sua passione: la sua idea era di diventare una poetessa.
Robert era nato a New York in una famiglia di rigide tradizioni cattoliche. La fotografia era per lui ancora da scoprire, come la sua omosessualità. Si lasciarono quando lui si rese conto di essere gay, ma restarono amici e si aiutarono per tutta la vita ed oltre, con Patti che continuò a scrivere lettere a Robert anche dopo la sua morte.
Norman Seeff, nato e cresciuto in Sudafrica, si era da poco trasferito negli Stati Uniti dopo una breve carriera come medico. Qui scoprì che la sua vera passione erano le arti visive e la fotografia.
L’esperienza con Robert e Patti segnerà l’inizio di una lunga carriera da fotografo e regista dentro al mondo dell’arte e della creatività. Una carriera che lo vede, a settantaquattro anni, ancora protagonista.
Lo scatto sopra fa parte di una serie che fu realizzata a casa di Norman, dopo che i tre si erano conosciuti in un locale a New York. Il talento di Seeff fu attratto dal fascino della coppia e chiese loro di poterli fotografare. Ne vennero fuori immagini molto belle, in grado di raccontare lo straordinario rapporto tra i due giovani artisti. Un rapporto che, dopo un inizio amoroso, assunse la forma di un’amicizia assoluta, fatta di condivisione di idee, sogni e visioni.
Dopo la morte di Mapplethorpe, Patti Smith ha affermato che quelle foto si avvicinano molto al suo ricordo della profondità del loro amore. Non è difficile crederle, guardando lo sguardo di Mapplethorpe in questo magnifico scatto.

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I precedenti cortocircuiti fotografici:

#1: Eugene Atget fotografato da Berenice Abbott
#2: Berenice Abbott fotografata da Hank O’Neal
#3: Edward Weston fotografato da Tina Modotti
#4: Tina Modotti fotografata da Edward Weston
#5: Alfred Stieglitz fotografato da Gertrude Käsebier
#6: Steve McCurry fotografato da Tim Mantoani
#7: Robert Capa fotografato da Gerda Taro
#8: Gerda Taro fotografata da Robert Capa

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David-Bowie_with_TildaSwapDavid Bowie e Tilda Swinton. O forse si tratta di Tilda Swinton con David Bowie?
I due devono essersi proprio divertiti scambiandosi i ruoli per questo scatto, realizzato in occasione di un evento dove l’attrice ed il musicista si sono presentati come nell’immagine di destra, cioè uno con l’aspetto dell’altra.
Lo “scambio” è in linea con l’originale video musicale di “The Stars (Are Out Tonight)”, in cui David e Tilda sono una coppia di coniugi dai tratti stereotipati che vengono coinvolti in un progredire di misteriosi scambi e trasformazioni di ruolo e genere insieme ad altri personaggi, il tutto con un taglio borderline all’altezza del migliore Bowie.
Insomma è un caso in cui la fotografia fa da appendice a qualcos’altro, giocandoci o forse girandoci intorno completandolo, ricordandoci però anche uno dei linguaggi fondamentali che la fotografia può usare: quello della “finzione”. Troppo spesso ce ne dimentichiamo, pensando alle immagini fotografiche sempre solo come strumenti di rappresentazione di ciò che è spontaneo, del reale, del vero.
Grazie David e Tilda e… viva la fiction fotografica!

P.s. Ed ora buona visione con David Bowie e “The Stars (Are Out Tonight)”
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C’è chi, anche tra i Canonisti, considera che il click Nikon abbia qualcosa in più, una sonorità particolare e riconoscibile su cui pare che tradizionalmente gli ingegneri del marchio nipponico si impegnino, attenti a mantenere un “timbro” distintivo.
E così c’è chi ne fa addirittura la base per una breve opera musicale, suonata usando un set di reflex digitali per un valore di oltre trentamila euro. Magari chiamarla sinfonia è un po’ eccessivo, comunque divertente sì. Certo che sono tremendi questi giapponesi! 🙂
Buon “ascolto”.
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