Chi non conosce questa foto degli operai che si riposano con le gambe penzoloni, sospesi a 260 metri d’altezza durante la costruzione dell’Empire State Building? È uno scatto famoso, attribuito per lungo tempo ad un fotografo che divenne importante anche a seguito dei suoi reportage sulla costruzione dei grattacieli e delle pericolose condizioni di lavoro: Lewis Hine.
Ma nel 2003 l’archivio Bettmann/Corbis, proprietario dei diritti di questa immagine, a seguito di una approfondita indagine, riconobbe che l’autore della foto era in realtà un fotografo meno noto: un certo Charles Clyde Ebbets.
“Lunch atop a Skyscraper (New York construction workers lunching on a crossbeam)” fu realizzata il 29 settembre del 1932 da Ebbets durante la costruzione del GE Building del Rockefeller Center e non dell’Empire State Building come precedentemente si pensava. L’immagine fu pubblicata dal New York Herald Tribune il 2 ottobre 1932.
Confidando in ulteriori pubblicazioni ed incarichi, il fotografo Charles Ebbets decise di insistere su questo filone e continuò ad immortalare gli operai dei grattacieli di New York. Cercando di stupire sempre di più, creò una serie di immagini chiaramente costruite, ed arrivò ad esprimersi in una vera e propria fiction fotografica fatta di scene paradossali, in cui appaiono camerieri in livrea che servono un pranzo apparecchiato sulla trave sospesa e giocatori di golf in bilico sull’acciaio dell’altissimo edificio in costruzione. Insomma… andò un pochino oltre e finì per esagerare, perdendo quel senso di verità descrittiva di un momento storico, così ben raccontata dal suo scatto più famoso.
Ma mentre Ebbets cercava di raggranellare lo stipendio seguendo questa idea, a distanza di pochi isolati Lewis Hine, il fotografo sociologo, realizzava i suoi reportage sulle condizioni in cui si svolgeva il lavoro. Scatti che, dopo la sua morte in povertà, lo avrebbero reso celebre. Erano fotografie in cui descriveva e denunciava sfruttamento dei lavoratori, anche minori. Immagini che spesso mostravano indiani Mohawk, sfruttati settanta ore alla settimana per il loro equilibrio straordinario che li rendeva capaci di lavorare a duecento metri dal suolo senza problemi di vertigini.
Fu anche grazie all’importante lavoro di Hine, svolto anche in molti ambienti industriali, che negli Stati Uniti si avviò un processo di riforma sociale che avviò la regolamentazione degli orari e della sicurezza sul lavoro oltre ad abolire lo sfruttamento minorile.
Emblematico è questo scatto di Hine, sempre realizzato nell’ambito del suo progetto dedicato al lavoro sui grattacieli. Siamo intorno al centesimo piano, si vedono tre giovani operai, uno lavora sbilanciato all’indietro, senza alcuna protezione. È in piedi su una piccola asse di legno che è tenuta in posizione solo dal peso dell’operaio stesso. Una situazione semplicemente pazzesca vista con i criteri di oggi.
Sconcertante è anche apprendere dei ritmi “vertiginosi” con cui si procedeva: un piano al giorno.
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Ed ora pensaci un attimo. Immagina il fotografo, appollaiato con la sua goffa attrezzatura di ottanta anni fa, sulla sommità dell’Empire State Building in costruzione. Tu ce l’avresti fatta ad andare lassù come Hine a fare quelle foto?
🙂
Bel post Pega !
Io non ce l’avrei fatta di sicuro, mi vengono le gambe molli solo a vedere queste immagini ! 😀
Ciao
Max
🙂 fanno davvero impressione queste foto in effetti 🙂
Grazie. Ciao!
non ricordo dove, lessi che in realta’ l’effetto ottico della foto della pausa pranzo copriva un fake, rispetto alla situazione reale: sotto non v’era realmente il vuoto ma delle impalcature stabili. puo’ essere? l’effetto e’ comunque notevole. ancora piu’ interessante il tuo post, sul cambio di prospettiva rispetto alla sicurezza sul lavoro (risultati a parte, intendo, a guardare il “basso” numero di incidenti, in italia, oggi… 😦 )
Beh, non so se sotto ci fossero o meno impalcature stabili… certo che l’impatto ottico rimane.
🙂
Davvero interessante e impressionante! Un sorriso…
Ciao!
Spero davvero che sia un effetto ottico, oggi finirebbe (giustamente) in galera chi facesse lavorare la gente in quel modo.
Imbracature a parte, non parliamo di elmetti, scarpe e protezioni per chi sta sotto.
Basta immaginare l’ effetto di un bullone che sfugge di mano e cade giù dal centesimo piano… praticamente un proiettile.
Eh si, hai ragione. Tieni comunque conto che stiamo parlando degli anni trenta, una fase in cui molti dei criteri con cui ragioniamo oggi non erano ancora nemmeno concepiti. Si lavorava a ritmi pazzeschi, con poca o pochissima attenzione alla sicurezza. Spesso a lavorare lassù c’erano anche dei minorenni.
Tieni conto che io stesso ho visto cose piuttosto simili in cina negli anni novanta, in una Shanghai in piena esplosione, con grattacieli in costruzione che salivano di quasi un piano al giorno (come a NY negli anni ’30). Le impalcature erano risicatissime, tutte solo in bambù, con un formicaio pauroso di gente che andava su e giù senza alcuna protezione.
Ho visto spesso in Africa o in Asia scene del tutto simili per quanto riguarda la gestione della “sicurezza” nei cantieri edili, ma stiamo parlando di oggi …
Ma nemmeno su una scala! Che fifa alla sola idea del vuoto… senza niente… niente di niente. ….!
Parlando delle foto in sé, rendono molto l idea del vuoto e anche il bianco e nero mi piace molto!
🙂
seeeee!! manco morta!! 😀 😀
bellissime foto, fortuna che esistono anche fotografi temerari.