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Leaving the shore

Leaving the shore – © Copyright 2009 Pega

Oggi, oltre a quello della polemica, corro il rischio di impantanarmi in una serie di vaneggiamenti su arte ed espressione creativa, ma così è, quindi taglio corto andando al sodo con una domanda: c’è forse un confine strutturale all’espressione artistica? Intendo un limite che l’artista deve per forza rispettare per mantenersi dentro alla “sua disciplina”?
Cerco di spiegarmi meglio: è davvero così importante questa voglia di classificare l’arte secondo schemi precisi? Un musicista, per essere tale, deve limitarsi alla produzione di opere sonore, o può espandere la sua creatività in altre forme come ad esempio la poesia o le arti visive? Può un poeta sconfinare e decidere di accompagnare con ritmo e note le sue composizioni? Un fotografo può arricchire le sue immagini con testo e magari anche musica o effetti sonori?
Specie in ambito fotografico i puristi abbondano e di fronte a certe domande non mancano mai le esclamazioni: “Un fotografo deve essere un fotografo!”, “Le immagini devono parlare da sole!”, “Se c’è bisogno di scrivere allora le immagini non sono abbastanza buone!”.
Perché il mondo della fotografia si impone questi dettami? Forse il cinema migliore e più “puro” è quello muto?
Porto avanti da un po’ questo mio punto di vista, adoro i Fotografi che senza paura arricchiscono i loro scatti con testi e descrizioni, e rimango affascinato anche da qualche esperimento di contaminazione sonora, anche se è un terreno difficile.

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Il lancio di Kittinger

Nel 1960 un uomo effettuò un’impresa ai limiti dell’incredibile: salì con un pallone alla quota di 31.333 metri (102.799 piedi) e da lì si lanciò col paracadute.
Il protagonista di questa follia era un certo Joe Kittinger, Capitano dell’USAF, coinvolto in un programma di ricerca militare per trovare la soluzione al problema dell’evacuazione d’emergenza degli aerei stratosferici.
A quell’altezza tutto è estremo: le temperature sono oltre i cinquanta sotto zero e serve una tuta pressurizzata per sopravvivere perchè la pressione atmosferica è così bassa che il sangue va in ebollizione.
Kittinger era uno di quelli con “la stoffa giusta” ed effettuò ben tre lanci di questo tipo, trovandosi ogni volta vicino alla morte. Nel primo la corda del paracadute gli si arrotolò intorno al collo facendogli perdere i sensi, nel terzo ed ultimo, quello che stabilì un record tuttora imbattuto, ebbe un problema di tenuta ad un guanto della sua tuta e la mano iniziò a fargli così male da rendergli difficile reprimere le urla che avrebbero fatto abortire la missione.
Ma ascese comunque per un’ora e mezzo e poi si lanciò. Durante la caduta libera sfiorò la velocità del suono, stabilendo un record ancora imbattuto.
Con lui naturalmente c’era una compagna immancabile: la macchina fotografica.
E’ grazie ad un’attrezzatura che per quel tempo era avveniristica che Kittinger fu ripreso mentre si lanciava dal pallone e poi fu lui stesso operatore con una fotocamera agganciata alla tuta. La qualità non era delle migliori ma è un caso perfetto per la famosa frase “la miglior macchina fotografica è quella che hai con te”.

Ad oltre cinquant’anni da quell’impresa, qualcuno ci riprova. Proprio in questi giorni un progetto chiamato Red Bull Stratos tenterà di superare il record di Kittinger, con un lancio umano da 120.000 piedi.
Naturalmente non mancherà un’adeguata copertura videofotografica, che comprende anche fotocamere reflex comunemente in commercio, destinate a volare molto in alto, sopportando le condizioni estreme della stratosfera.
Se una normale reflex vola ad oltre 36.000 metri senza particolari problemi, penso che la possiamo anche portare allegramente al mare o in montagna, col vento o con la pioggia, senza tante preoccupazioni 🙂

Per chi è interessato, ecco qui sotto due interessanti video: il primo è un filmato d’epoca sull’impresa di Kittinger, mentre il secondo è la presentazione del progetto Red Bull. Buona visione!
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