Dilish Parekh è un signore indiano che detiene un record mondiale tuttora imbattuto e riconosciuto nei Guinness: possiede oltre 4.500 macchine fotografiche.
“The Light Collector” è un breve video di tre minuti e mezzo a lui dedicato da Dheerankur Upasak, un fotografo suo connazionale, che ha voluto raccontare la costanza e l’impegno di questo appassionato che iniziò la sua collezione nei primi anni ’70.
Acquistando un paio di fotocamere al giorno ci vorrebbero oltre dodici anni per eguagliarlo… Mica avrai intenzione di provarci?
Buona visione 🙂
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Posts Tagged ‘India’
Il più grande collezionista di fotocamere
Posted in Culture, History of photography, People, video, tagged collezione, Guinnes, India, passione, video on 28/08/2016| 2 Comments »
Werner Bischof
Posted in Black and White, Culture, History of photography, People, Street Photo, tagged fotogiornalismo, fotografia, Giornalismo, India, novecento, reportage, storia on 03/12/2013| 2 Comments »
“Ho sentito il dovere di avventurarmi nel mondo e di esplorarne il vero volto. Condurre una vita soddisfacente, di abbondanza, ha accecato molti di noi che non riescono più a vedere le difficoltà immense presenti al di là delle nostre frontiere.”
Prima delle immagini, sono queste sue brevi parole a far subito intuire chi era Werner Bischof. Nato a Zurigo nel 1916 studiò arte ed iniziò a lavorare come fotografo pubblicitario ma, nonostante un discreto successo, ben presto si accorse che non era quella la sua strada. Nel 1945 accettò un incarico da parte della rivista Du che lo portò a girare l’Europa postbellica e documentare le condizioni di vita delle persone.
Rimase segnato da questo suo primo incarico. La sua attenzione si volse subito verso le persone, specie i più deboli, le vittime innocenti del recente conflitto, sviluppando l’idea di fotografia come testimonianza della dimensione esistenziale e delle sue difficoltà.
Nel 1949 fu invitato a far parte dell’agenzia Magnum, allora composta dai soli cinque soci fondatori: Capa, Cartier-Bresson, Rodger, Seymour e Haas.
Nella veste di fotoreporter (definizione che non amava) viaggiò prima in India e poi in Giappone per documentare la guerra in Corea. Vi rimase un anno intero, carpito dal fascino e dall’eleganza della sua cultura, che catturò con scatti assoluti.
Nel 1953 si volge verso il nuovo mondo. Prima viaggia per alcuni mesi nel cuore degli Stati Uniti seguendo la creazione della nuova rete autostradale, poi va in Sudamerica dove è intenzionato a fotografare alla gente, descrivere la vita quotidiana. Un’idea che, sapeva benissimo, non avrebbe entusiasmato le testate per cui lavorava. È sulle Ande, a soli trentotto anni, che trova una terribile morte, in un incidente d’auto mentre viaggia verso una miniera in alta quota.
Gran parte del lavoro di Bischof è stato valorizzato solo in tempi molto successivi alla sua morte, grazie al figlio Marco che, nel 1986 decise di pubblicare alcuni estratti dai suoi diari e dalla corrispondenza, oltre ad un archivio fotografico inedito.
C’è una cosa, di cui non molti parlano, che mi ha affascinato di questo fotografo. Bischof è stato uno dei pochi fotoreporter del “periodo d’oro” del fotogiornalismo anni ’50 e ’60 ad usare il colore.
In quegli anni, per motivi tecnici ed economici, le testate stampavano solo in bianco e nero, creando un terreno formale a cui la maggior parte di un certo tipo di fotografi è rimasta rigidamente ed a lungo ancorata, anche ben dopo l’avvento della quadricromia. Werner Bischof fu invece tra i primi ad esplorare il reportage anche a colori, riuscendo ad interpretarlo con coordinate artistiche ed estetiche indipendenti e personali, sicuramente diverse da quella sorta di mainstream monocromatico che ancora oggi tende a dominare il genere.
Una volta disse: “Davvero io non sono un fotogiornalista. Purtroppo non ho alcun potere contro questi grandi giornali, non posso nulla, è come se prostituissi il mio lavoro e ne ho davvero abbastanza. Nel profondo del mio cuore io sono sempre, e sempre sarò, un artista.”
Richard Gere fotografo
Posted in Black and White, Culture, People, tagged arte, attore, buddismo, Dalai lama, fotografia, holliwood, India, religione, Richard Gere, Tibet on 08/07/2013| Leave a Comment »

Lobsang Tenzing, Dharamsala – © Copyright 1981 Richard Gere
Richard Gere è famoso per ruoli da attore in circa quaranta film ed anche per esser stato uno dei più noti sex symbol del cinema, ma non tutti sanno della sua passione per la fotografia, una passione intrecciata con la religione buddista ed i destini del popolo tibetano.
Gere aveva poco più di vent’anni quando intraprese il suo primo viaggio in India, iniziando un percorso che lo avrebbe visto tornare innumerevoli volte in questi luoghi, sempre portando con sé una macchina fotografica. Il suo coinvolgimento si fece via via sempre maggiore, vedendolo avvicinare alla causa tibetana ed entrare in contatto con figure molto importanti, come quella del leggendario eremita Lobsang Tenzing o con lo stesso Dalai Lama, che Gere ha incontrato e fotografato più volte.
Negli anni gli scatti, tutti molto personali ed intimi, mai realizzati con intenti di condivisione, si sono accumulati finché la sua amica e curatrice di mostre, Elizabeth Avendon non li ha notati a casa sua. Gli ha proposto di esibirli e così è nato un progetto fatto di esposizioni pubbliche ed un libro intitolato “Pilgrim” i cui introiti vengono interamente devoluti alla Gere Foundation, che sostiene progetti umanitari in tutto il mondo.