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C’è poco da fare, subisco il fascino dei luoghi decadenti, lasciati a se stessi ed in più di un caso mi è capitato di addentrarmi a fotografare qualcuno di questi posti, un esempio è il mio breve racconto sul manicomio abbandonato…

Quasi sempre si tratta di vecchi edifici in rovina, ex strutture produttive o sanitarie, più raramente abitative, comunque sempre pericolose da visitare e quindi quasi sempre l’accesso vi sarebbe vietato.
Le ragioni dei pericoli che l’esplorazione di questi luoghi comporta sono evidenti: costruzioni cadenti, non manutenute da anni che nascondono mille insidie. A questo si può aggiungere la possibilità di incontri indesiderati.

Non sono certo l’unico a subire questa attrazione ed infatti è facile trovare in rete il lavoro di molti fotografi, frutto delle loro missioni in ambienti abbandonati.
Ho addirittura trovato un decalogo del comportamento che un perfetto “fotografo-esploratore-di-luoghi-abbandonati professionista” dovrebbe avere 🙂
Diciamo che non lo condivido pienamente, ma sicuramente contiene alcuni spunti validi e quindi lo riporto integralmente come l’ho trovato : cioè in spagnolo

1ª – Lo mas importante: No ser visto ni al entrar ni al salir.
2ª – No pintamos ni dejamos nombres, con la foto basta, la intención es conservar el lugar tal y como lo abandonaron.
3ª – No desvelamos nunca la localización de los sitios, es muy importante conservar estos lugares a salvo de los vándalos, de personas que pueden destruirlo.
4ª – No nos llevamos ningún objeto de valor, los fotografiamos y los dejamos para que los que vengan detrás también lo disfruten.
5ª – Para entrar en un abandono, no rompemos nunca ni ventanas, ni puertas. Buscamos otra entrada, otra alternativa.

Beh, che dire…
Comunque PRUDENZA !

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natGeoHo in mano il numero di Agosto del National Geographic.
Sono tornato a casa tutto contento di averlo trovato subito dal mio giornalaio di fiducia, completo dell’allegato che in questi mesi accompagna la rivista ed è dedicato ai grandi fotografi. 

Stavo attendendo con piacere l’edizione di questo mese perchè sapevo che sarebbe stato pubblicato un magnifico servizio di fotografia subacquea, in particolare un lavoro di Wes Skiles sui blue holes e le grotte delle Bahamas. L’esplorazione e le immagini dalle grotte sottomarine mi affascinano da sempre e sono molti anni che ammiro questo grande fotografo subacqueo. 
Non faccio a tempo a rilassarmi sul divano ed iniziare a sfogliare proprio il servizio di cui parlo che mi raggiunge la notizia della sua morte. 

Wes-Skiles

Wes Skiles

Skiles sen’è andato durante quella che può essere considerata un’immersione poco più che ordinaria, dopo una carriera di missioni pericolosissime, ai limiti delle possibilità umane. Aveva 52 anni. 

Voglio dedicare questo breve post proprio a lui e ricordarlo per le splendide immagini che ci ha regalato in tanti anni di esplorazioni sottomarine. Fin da giovanissimo fu affascinato dalla speleosubacquea e negli anni ’70 insieme ad un vero e proprio mito assoluto del settore, Sheck Exley, realizzò i suoi primi lavori fotografici ma anche importantissime documentazioni “procedurali” su come si potesse esplorare grotte subacqueee senza morire. 
ginnie-springs-currentsFurono proprio Skiles ed Exley, infatti, a stabilire una serie di regole e modalità operative che sono state seguite da generazioni di speleosub fino ad oggi, rendendo solo “pericolosa” una specialità che altrimenti poteva essere definita solamente come “fatale”.
La sua carriera è continuata con moltissimi lavori per il National Geographic in ogni angolo del globo, dal Pacifico all’Antartide, ma la sua vera passione sono sempre stati i sistemi di grotte della Florida, strutture subacquee che si estendono per chilometri e che rappresentano la riserva di acqua dolce tra le più importandi del continente americano. 

deepcaveProbabilmente è anche per interesse nel settore della subacquea, anche se solo marginalmente per quella speleologica, che seguivo ed ammiravo così tanto questo personaggio.
Andare sott’acqua in grotta è molto complesso, incredibilmente impegnativo, i margini di errore sono praticamente zero e forse si tratta di una delle attività umane più pericolose in assoluto. Eppure Skiles riusciva a creare proprio in queste condizioni le sue meravigliose immagini, mettendoci creatività ed inventiva, come quando usava la sua tecnica “slave multi flash” tesa ad ottenere illuminazione drammatica da più punti e per la cui applicazione sott’acqua era diventato famoso.
Faceva il fotografo ma il suo studio era spesso a 100 metri di profondità e sovente in luoghi dove “nessuno era mai stato prima”…

E adesso si è immerso in acque ancora più profonde, lasciandoci in eredità le sue magnifiche immagini. 

Ciao Wes.

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