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Posts Tagged ‘previsualizzazione’

Parallelismi

Parallelismi – © Copyright 2010 Pega

Oggi voglio riproporti qualche considerazione sulla genesi dei nostri scatti, o almeno di alcuni, quelli che si generano con la foto che nasce nella mente ben prima dello scatto.
Il fotografo la visualizza, la immagina chiaramente nella sua struttura, dettagli e magari anche titolo. E’ così che vorrebbe realizzarla.
Altre volte l’opera è come nascosta tra i tanti scatti più o meno istintivi che si sono fatti, magari sfruttando le potenzialità e la capacità quasi infinita delle memorie digitali. Mentre si scorre lo stream delle immagini se ne nota una che ci colpisce, su cui cominciamo a costruire delle idee e ci si rende conto che è quella giusta.
Si tratta di due approcci diversi a quella che è la creazione di una fotografia.
Il primo, più classico e tradizionale, legato all’atteggiamento che dovevano necessariamente avere i fotografi di un tempo, vincolati da macchine grandi e complesse da gestire, posiziona il momento creativo principalmente nella fase che prepara allo scatto.
E’ un processo che Ansel Adams chiamava di “previsualizzazione”, in cui si va a realizzare tecnicamente ciò che si ha già chiaro in testa.
Nel secondo caso il momento creativo tende ad essere posticipato.
A scatto eseguito, nella successiva fase di camera oscura o davanti al computer si comincia ad attingere a quelle tante immagini raccolte che rappresentano una sorta di materiale grezzo, da selezionare, trattare e plasmare con opportune scelte di taglio e “sviluppo” (postproduzione) che portano poi al prodotto artistico finale.

Due atteggiamenti, due percorsi creativi differenti ma entrambi validi ed attuali; per molti versi anche miscelabili. Lo stesso Adams descrisse nel suo libro “The print” l’importanza di una eventuale seconda fase creativa che può nascere in camera oscura.
E tu hai mai provato ad analizzare come crei le tue foto?
Dove senti di posizionare il tuo momento creativo?

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G. Crewdson

© Copyright – Gregory Crewdson

E’ un tipo di fotografia particolare quella di Gregory Crewdson, in genere “o la odi o la ami”. I suoi scatti, noti per la costruzione estremamente meticolosa della scena ed il posizionamento di luci e personaggi, sono degli “still life” complessi e totalmente pianificati, dove niente è lasciato al caso. E’ un approccio che ha un forte legame con l’arte cinematografica, tanto che molte delle fotografie di Crewdson sembrano una sorta di fermo immagine di altissima qualità tratto da un film.
Questo artista americano ha una componente creativa che tende a sollevarlo dalla macchina fotografica e da molti degli aspetti tecnici, portandolo a concentrasi sul risultato finale ed assumere un ruolo sovrapponibile a quello di un regista, tutto ciò a tal punto che Crewdson è un fotografo che per realizzare le sue opere si avvale di un direttore della fotografia.
Potrebbe sembrare un paradosso ma non lo è. Gregory progetta le sue immagini con in mente un risultato ben preciso: far lavorare le fantasia dell’osservatore, stimolare le sue capacità di proiezione ed interpretazione di ciò che è una sorta di cattura dell'”istante perfetto”.
Le atmosfere che si trovano nei suoi scatti sono oniriche, rarefatte ma allo stesso tempo pesanti, in genere ambientate nella provincia statunitense, immagini che sembrano far parte di una concatenazione di eventi inquietanti.
Raccolte in progetti di respiro decennale come “Beneath the roses“, che è stato esposto in molte importanti gallerie del mondo, sono opere che danno l’impressione di voler rivelare una sorta di lato oscuro del “sogno americano”.
In Crewdson si sentono nette influenze pittoriche e letterarie, in particolare Edward Hopper e Raymond Carver, quello che ne risulta è un’estetica dal forte impatto, che finisce per dividere il pubblico.

Ammiro molto Crewdson, mi affascina la sua capacità creativa, la sua determinazione maniacale nel lavorare per raggiungere esattamente ciò che ha previsualizzato nella sua testa. Non importa quali mezzi tecnici siano necessari per raggiungere il risultato, quale obiettivo o macchina fotografica sia impiegata. Non importa se servono imponenti attrezzature, attori da dirigere, truccatori, comparse o interi teatri di posa in cui costruire complesse scenografie.
C’è una gran bella distanza, un abisso incolmabile tra un progetto di Crewdson ed uno scatto colto al volo, magari stupendo, ma fatto per caso.
Può non piacere a tutti ma questo per me è un bell’esempio di arte fotografica.
.

Per chi volesse approfondire segnalo il film “L’istante perfetto“, realizzato dal regista Ben Shapiro che per dieci anni ha seguito Crewdson registrando le fasi creative e tecniche che danno vita alle sue immagini. E’ un documento che offre l’opportunità di conoscere la visione ed il modo di lavorare di questo fotografo ed è attualmente in programmazione su Sky Arte.

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SanDonninobyl

Sandonninobyl - © Copyright 2009 Pega

Avere in mente lo scatto, crearlo e vederlo nella propria testa come se fosse già fatto, poi cercare di realizzarlo.
È un approccio alla fotografia tra i più classici. Si tratta di previsualizzare l’immagine costruendola nei dettagli fino a farne un qualcosa di completo, anche se ancora da fare; esattamente come avviene anche per altre arti visive.

Molti grandi maestri hanno fatto di questo modo di fotografare il loro metodo, una vera e propria filosofia della fotografia, in genere totalmente antitetica ed alternativa ai più dinamici stili documentaristi dove lo scatto avviene cogliendo l’attimo, l’emozione o l’espressione imprevista.
Non so se hai mai fotografato provando a previsualizzare ma se non l’hai mai fatto è una cosa che ti suggerisco di sperimentare.

Definisci il tuo soggetto, delinealo, immaginalo illuminato secondo il tuo gusto, definisci nella tua mente l’inquadratura, i particolari di esposizione e fuoco. Cerca di vedere la foto come dovrà risultare una volta scattata, fallo nei minimi dettagli.
Poi prendi l’attrezzatura ed inizia a cercare di rendere reale quel risultato.

Non è raro accorgersi che può essere anche molto difficile realizzare lo scatto che si ha in mente. A volte è addirittura impossibile e si deve scendere a compromessi.
Per seguire questo metodo può capitare di dover tornare più volte nello stesso luogo, magari in attesa delle condizioni giuste, o anche inventarsi soluzioni tecniche che lo rendano fattibile.

È una strada che può risultare anche impervia, ma quasi sempre affascinante.

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10:30

10:30 (Winter Holter) - © 2011 Pega


Rallenta.
Se c’è una cosa che spesso minaccia la nostra capacità di realizzare della buone foto è la fretta: quel passo lesto che in genere segna le nostre vite e delimita i momenti che dedichiamo alla fotografia. Un ritmo che raramente ci permette di cogliere e sfruttare le tante opportunità fotografiche che ci si presentano quotidianamente.

Se non si riesce a rendersi conto di questo fattore e non si impara a rallentare, anche l’avere sempre a disposizione una fotocamera diviene inutile.

La prossima volta che dedichi del tempo alla fotografia prova a rallentare, a prenderti più tempo per cercare le inquadrature e le composizioni.
Una volta che avrai rallentato… Rallenta ancora di più. Usa un treppiede, metti il fuoco in manuale e minimizza gli automatismi. Ragiona sulle foto cercando di previsualizzarle, accontentati di fare meno scatti, molti meno.
Le foto verranno da sole.

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Parallelismi

Parallelismi – © Copyright 2010 Pega

A volte la foto nasce nella mente ben prima dello scatto.
Il fotografo la visualizza, la immagina chiaramente nella sua struttura, dettagli e magari anche titolo. E’ così che vorrebbe realizzarla.
Altre volte l’opera è come nascosta tra i tanti scatti più o meno istintivi che si sono fatti, magari sfruttando le potenzialità e la capacità quasi infinita delle memorie digitali. Mentre si scorre lo stream delle immagini se ne nota una che ci colpisce, su cui cominciamo a costruire delle idee e ci si rende conto che è quella giusta.
Si tratta di due approcci diversi a quella che è la creazione di una fotografia.
Il primo, più classico e tradizionale, legato all’atteggiamento che dovevano necessariamente avere i fotografi di un tempo, vincolati da macchine grandi e complesse da gestire, posiziona il momento creativo principalmente nella fase che prepara allo scatto.
E’ un processo che Ansel Adams chiamava di “previsualizzazione”, in cui si va a realizzare tecnicamente ciò che si ha già chiaro in testa.
Nel secondo caso il momento creativo tende ad essere posticipato.
A scatto eseguito, nella successiva fase di camera oscura o davanti al computer si comincia ad attingere a quelle tante immagini raccolte che rappresentano una sorta di materiale grezzo, da selezionare, trattare e plasmare con opportune scelte di taglio e “sviluppo” (postproduzione) che portano poi al prodotto artistico finale.

Due atteggiamenti, due percorsi creativi differenti ma entrambi validi ed attuali; per molti versi anche miscelabili. Lo stesso Adams descrisse nel suo libro “The print” l’importanza di una eventuale seconda fase creativa che può nascere in camera oscura.
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