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Posts Tagged ‘photoshop’

Tendo a fare attenzione a cosa dicono le persone quando sono consapevoli di essere fotografate, mi diverto ad annotarlo mentalmente ad esempio quando faccio ritratti o osservo altri fotografi farne.
E’ curioso notare quanto le varie espressioni si assomiglino ed in qualche modo ricadano in categorie precise. Ad esempio ricorrono frasi sugli aspetti estetici, su quelli tecnici, su questioni legate ai diritti sulle immagini e non di rado arrivano anche i consigli artistici.
Ti è mai capitato di sentirti dire cose tipo “posso avere i file delle tue foto per metterle su facebook” o “che bella la tua macchina fotografica, è come quella di mio cugino” o addirittura “mi puoi togliere le rughe e modificare il naso con Photoshop”?
Ovviamente non sono il solo ad aver notato tutto ciò. Dai un’occhiata al video qui sotto, lo trovo fantastico ed esattamente sul tema di cui sto parlando.
(E’ in inglese ma credo che valga comunque la pena vederlo anche per chi non lo comprende, perchè in molti casi il senso di quello che viene detto si capisce benissimo!)  🙂
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Dali Atomicus

Dali Atomicus - Philippe Halsman 1948


Molto prima del digitale e del fotoritocco con Photoshop, c’era chi comunque si ingegnava a realizzare immagini che lasciassero tutti a bocca aperta.
Tra questi c’era un fotografo di origini austriache: Philippe Halsman.
Nato a Riga nel 1906 da una famiglia di origini ebree, Halsman fu costretto in gioventù a lasciare l’Austria per problemi con la giustizia connessi ad una misteriosa morte del padre ed alle incalzanti problematiche legate alla nascente campagna antisemita.

Trasferitosi in Francia, iniziò a lavorare per importanti riviste di moda come Vogue, facendosi notare e divenendo famoso per il suo personale stile di ritratto, molto nitido e dalle tonalità scure, che lo differenziava dai clichè in uso al tempo.
Ma anche in Francia i problemi razziali crebbero e così, con l’aiuto del suo amico Albert Einstein, Halsman si trasferì negli Stati uniti dove nel 1941 incontrò il pittore surrealista Salvator Dalì.

Con Dalì iniziò una proficua collaborazione che produsse alcuni scatti divenuti storici come quello che puoi vedere qui sopra : Dali Atomicus, realizzato nel 1948.
Gli oggetti sospesi, Salvator Dalì a mezz’aria come i tre gatti che sembrano essere stati lanciati insieme ad una secchiata d’acqua, furono il risultato di un lavoro che, a detta di Halsman, richiese ben 28 tentativi prima di riuscire
Il titolo è in stretta relazione con un’opera su tela dello stesso Dalì denominata Leda Atomica e visibile nello scatto giusto dietro ai micetti volanti.

E’ una fotografia tutta dedicata al concetto di sospensione, che lascia di stucco ancora oggi e stupisce ancor di più se si pensa che fu realizzata in un periodo ben anteriore a qualsiasi possibilità di ritocco digitale.

(Poveri gatti…)

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Il passare del tempio regala fascino alle fotografie, è vero, ma a volte le segna un po’ troppo. A chi non è capitato di imbattersi in una vecchia stampa su cui gli anni hanno lasciato cicatrici eccessive rovinandola?
Non è facile restaurare la foto stampata, ci vogliono grandi capacità e maestria. E’ però possibile affrontare un restauro digitale, mettendo mano ad una scansione della foto stessa: una strada che è sicuramente più alla portata dei comuni mortali.
In questo breve video di due minuti creato dall’Argentino Hernan Folmer, restauratore di foto, ci viene mostrata la sintesi di due ore di competente lavoro in Photoshop per ridare vita e dignità ad una vecchia stampa strappata. Ancora una volta digitale ed analogico che si incontrano, per dare (anzi ridare) vita ad una Fotografia.
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Non amo gli eccessi del fotoritocco e l’imperante smania di cercare la perfezione attraverso la manipolazione digitale delle immagini. Devo però riconoscere che c’è chi eccelle davvero in questa disciplina, e non posso far altro che ammirare.
Su YouTube c’è un canale, che si chiama Real Retouch, dove sono mostrati notevoli lavori di “pesante ritocco” a base di Photoshop. Tra questi c’è un poderoso esempio di dieta dimagrante digitale applicata al ritratto di Matsuko Deluxe, un famoso personaggio TV giapponese.
Secondo te quanti chili vengono digitalmente sottratti?
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20120710-234518.jpg

Ormai lo sai che sono un fanatico dei backstage.
E così dopo aver visto quello a proposito del logo di Google fatto con gli schizzi di vernice, mi sono messo a cercare altri esempi di fotografia con i liquidi.
Ho trovato questo che fa vedere i vari tentativi tesi a realizzare la fantastica foto sopra. Una serie di scatti un po’ bagnati che chiunque può provare a fare per conto proprio (con divertimento e piedi umidi assicurati!)
Buona visione
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Per completezza ti dico che la palla d’acqua alla fine è stata creata in postproduzione.

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Ho trovato le immagini di una curiosa iniziativa portata avanti da un anonimo street artist di Amburgo che ha incollato delle toolbar di Photoshop su alcuni manifesti pubblicitari.
Il tema è già in discussione da tempo ed il messaggio ben chiaro: il fotoritocco, specie quando così costantemente applicato alla comunicazione pubblicitaria, ha cambiato in modo importante la nostra idea di bellezza.
Siamo forse al ridicolo, ma ormai sembra quasi che se una figura femminile non appare “evidentemente” ritoccata non riesca a far presa sul consumatore. Un po’ inquietante ma il sospetto è che la questione sia proprio così: gli occhi del pubblico ormai sono assuefatti alla postproduzione, fin quasi a renderla necessaria. Può darsi?
Di sicuro il nostro anonimo “appiccicatore di toolbar” ha stimolato ulterioremente la discussione e si è fatto notare dal marchio oggetto della sua azione, che si è trovato a dover pubblicare una nota di rassicurazione sull’originalità del colore della pelle della modella…

[Fonte Newser]

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How to levitate

Levitating Photographer 48/365 – © Copyright 2011 Louish Pixel

Ti piacerebbe provare a realizzare un’immagine come questa?
In genere non sono un grande estimatore di questo tipo di fotografia che trovo un po’ troppo dipendente dalla manipolazione digitale, certo è che i risultati possono essere proprio divertenti.
La tecnica è tutto sommato semplice: si fanno due scatti: il primo senza il soggetto ed il secondo con questo piazzato in modo improbabile, appoggiato a supporti (in questo caso uno sgabello) che poi vengono rimossi in postproduzione, cancellati con il tipico timbro clone di Photoshop.
Poi si fondono le due immagini ed ecco il risultato, con una qualità che mette alla prova l’occhio più attento.
Se ti interessa approfondire e fare un tentativo ecco il video in cui Louish Pixel ci spiega la tecnica in modo piuttosto completo.
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Avedon_instructions

Oggi ti ripropongo un vecchio post.
Lo scrissi subito dopo aver trovato questa immagine: uno splendido esempio di come si lavorava prima dell’avvento del digitale ed un interessante documento per chi spesso discute sul tema della postproduzione delle fotografie.
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Quante appassionate discussioni sull’opportunità o meno di intervenire sulle immagini digitali. Da una parte i puristi del “non si tocca nulla”, dall’altra gli smanettoni.
E’ curioso, ma secondo me, la diatriba non ha molto senso.
La postroduzione è sempre esistita e la questione eventualmente non sta negli aspetti tecnologici ma nella “misura”, nella capacità di trovare il giusto limite oltre il quale non andare.
A parte il fatto che anche in molte altre forme d’arte si può parlare tranquillamente di postproduzione, e senza problemi di tabù (pensiamo alla musica, al cinema ma anche alla stessa pittura), comunque la fotografia ha avuto fino dai suoi albori il processo dell’immagine tra le sue caratteristiche peculiari.
Non è forse postproduzione lo sviluppo del negativo?
E che dire della stampa? Della scelta della carta e del trattamento? Mai sentito parlare di “sviluppo selettivo”?
Quante variabili poteva controllare il fotografo in camera oscura e poi in fase di stampa? Molte, davvero molte.
Ansel Adams ci scrisse un intero libro “The Print”.

L’immagine sopra è un documento interessante.
Si tratta dello schizzo di istruzioni di esposizione con cui Richard Avedon istruiva il suo “stampatore”.
In inglese suona curioso e stranamente tecnologico: ”Avedon’s instructions to his printer”.

[Image from : http://claytoncubitt.tumblr.com/%5D

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Glamour: a fake

Glamour - © Copyright 2010 Pega

In un recente post citavo il caso del fotografo escluso dalla Associated Press a seguito di un intervento di fotoritocco su una sua foto.
I commenti, inseriti al proposito da alcuni lettori del blog, sono interessanti esempi di punti di vista che si possono avere sull’argomento e ringraziando per questi contributi non posso che cogliere l’occasione per dire la mia, completando qui un discorso iniziato proprio in un commento a quel post.

Riguardo al fotoritocco ed alla manipolazione delle immagini, credo sia necessario rendersi conto che a volte si rischia di mescolare cose piuttosto distinte.
Con il termine “fotografia” si indicano in realtà forme espressive anche molto diverse tra loro, che però appartengono ad un unico e vasto insieme sfumato.
In questo insieme composto da tutte le tipologie e specialità di fotografia che vengono praticate, una cosa come il fotogiornalismo ha una sua definizione ben precisa, un suo scopo, sua etica e sue regole. In questo caso devo dire che mi trovo pienamente d’accordo con il punto di vista dell’Associated Pres e con la sua rigidità che ha condannato il fotografo con le sue foto manipolate.

Se invece ci si sposta dal fotogiornalismo puro e si affronta una fotografia meno tesa ad una fedele e documentaristica rappresentazione del reale, si aprono altre possibilità e credo si possa considerare accettabile che il fotografo intervenga sulle sue immagini, alla ricerca di quel risultato che fin dall’inizio era nella sua mente (di artista).
E’ su questa strada che si sono trovati alcuni grandi maestri del passato, escogitando idee creative ed anche tecnologiche riguardanti sia la fase di scatto che quella di postproduzione in camera oscura.
In camera oscura, anche in tempi remoti, non di rado avveniva una fase importante del processo creativo, a volte consistente proprio in interventi di tipo manipolatorio sulle immagini. Il fotoritocco non è cosa recente.
Questo percorso in direzione di una fotografia più artistica può non avere limiti, quando fermarsi è solo a discrezione dell’artista stesso e certamente non è difficile vedere esempi di vero e proprio eccesso. Ma fin dai primordi è stata proprio la continua ricerca, in tutte le direzioni, anche quelle più freddamente tecniche, a rendere così importante questo mezzo espressivo.

Discorso ancora diverso è infine quello che riguarda la fotografia commerciale, dove realtà e finzione si mischiano senza tregua… ma qui a mio avviso siamo su un terreno ancora diverso, dove praticamente tutto è permesso.
Qui etica fotografica ed estro artistico scendono sovente a pesanti compromessi con il profitto, generando a volte strane creature…
🙂

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