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Posts Tagged ‘genio’

Nadar ritratto rotante
Il grande Fèlix Nadar è una figura di primissimo rilievo nella storia della fotografia. Realizzò moltissimi ritratti di personalità famose del suo tempo, fu il primo a scattare foto aeree volando con la sua mongolfiera e fu amche tra i pionieri nell’uso della luce artificiale dato che per primo fotografò, con questo ausilio, le catacombe di Parigi.
Oggi te lo voglio però riproporre per un altro suo particolare colpo di genio.

É il 1865 ed il fotografo-inventore francese Nadar (al secolo Gaspard-Félix Tournachon), si cimenta in un nuovo progetto. Decide di realizzare un suo autoritratto da più angolazioni e scatta una serie di fotogrammi che poi mostra creando un semplice sistema per vedere le immagini in sequenza.
Il risultato ha il suo fascino ancora oggi. È facile immaginare l’effetto straordinario che poteva suscitare a quel tempo…

Nadar rotante

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Dali Atomicus

Dali Atomicus - Philippe Halsman 1948


Molto prima del digitale e del fotoritocco con Photoshop, c’era chi comunque si ingegnava a realizzare immagini che lasciassero tutti a bocca aperta.
Tra questi c’era un fotografo di origini austriache: Philippe Halsman.
Nato a Riga nel 1906 da una famiglia di origini ebree, Halsman fu costretto in gioventù a lasciare l’Austria per problemi con la giustizia connessi ad una misteriosa morte del padre ed alle incalzanti problematiche legate alla nascente campagna antisemita.

Trasferitosi in Francia, iniziò a lavorare per importanti riviste di moda come Vogue, facendosi notare e divenendo famoso per il suo personale stile di ritratto, molto nitido e dalle tonalità scure, che lo differenziava dai clichè in uso al tempo.
Ma anche in Francia i problemi razziali crebbero e così, con l’aiuto del suo amico Albert Einstein, Halsman si trasferì negli Stati uniti dove nel 1941 incontrò il pittore surrealista Salvator Dalì.

Con Dalì iniziò una proficua collaborazione che produsse alcuni scatti divenuti storici come quello che puoi vedere qui sopra : Dali Atomicus, realizzato nel 1948.
Gli oggetti sospesi, Salvator Dalì a mezz’aria come i tre gatti che sembrano essere stati lanciati insieme ad una secchiata d’acqua, furono il risultato di un lavoro che, a detta di Halsman, richiese ben 28 tentativi prima di riuscire
Il titolo è in stretta relazione con un’opera su tela dello stesso Dalì denominata Leda Atomica e visibile nello scatto giusto dietro ai micetti volanti.

E’ una fotografia tutta dedicata al concetto di sospensione, che lascia di stucco ancora oggi e stupisce ancor di più se si pensa che fu realizzata in un periodo ben anteriore a qualsiasi possibilità di ritocco digitale.

(Poveri gatti…)

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Vertigine by Pega

Vertigine – © Copyright 2013, Pega

Qual’e la capacità, la responsabilità creativa e tecnica più importante rimasta oggi al fotografo? Cos’è che le fotocamere non sanno ancora fare da sole, adesso che anche qualunque smartphone o compattina riesce a gestire perfettamente fuoco, colore, tempi ed esposizione?
È solo il contenuto, espresso attraverso la scelta dell’inquadratura, ciò che ci è rimasto. La composizione è l’ultima frontiera tecnica al momento dello scatto, poi ci sarà solo la manipolazione a posteriori.
Pensaci un attimo: la scelta di come inquadrare il soggetto, cosa escludere dal fotogramma e come comporre l’immagine, è l’unica sopravvissuta tra tutte le scelte creative che un tempo spettavano solo al fotografo. Erano decisioni soggettive, responsabilità non banali che costringevano a studiare, capire ed imparare, erano espressioni di libero arbitrio. Oggi è rimasta solo la composizione ad essere sempre e comunque nelle mani di chi fa la foto.
Naturalmente potrai dirmi che si può scattare in manuale e che è ancora il fotografo ad individuare il soggetto e scegliere cosa o chi ritrarre, ma resta il fatto che gli automatismi hanno tolto a molti fotografi una bella fetta di responsabilità, lasciandoci solo quest’ultimo baluardo della creatività, un ambito decisionale che può rendere uno scatto bellissimo o banale, quasi a prescindere dal soggetto.
Ed è forse questo il punto. La composizione è l’ultima fortezza perché è la più alta e complessa delle questioni. Basta dare un’occhiata a quanto è stato scritto e pubblicato al proposito, per capire che non si tratta di un aspetto facile da affrontare. Di teorie e regole ce ne sono tante, dalla sezione aurea alla regola dei terzi, dal decentramento del soggetto alle teorie Gestaltd, ma la magia dell’immagine resta sfuggente, spesso legata proprio alla violazione di alcuni schemi precostituiti.

Chissà se queste considerazioni rimarranno valide a lungo. Non ci giurerei. Anche la libertà di composizione è a rischio e forse è una frontiera già parzialmente violata. Esistono infatti già fotocamere che impediscono di scattare se l’orizzonte è inclinato e si occupano di selezionare automaticamente lo scatto “migliore”: quello in cui tutte le persone del gruppo sorridono…

😐

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Kubrick k
Sono un fan di Stanley Kubrick, lo considero il più grande maestro del cinema e penso che rimarrò di questa opinione per un bel po’. Ma Kubrick non è stato solo un grande regista; prima di dedicarsi al grande schermo, lavorò a lungo come fotografo e quando passò a dedicarsi ai film, portò con sé tutto lo stile costruito in anni da inviato per la famosa rivista “Look”.
C’è qualcosa che lega tutte le opere cinematografiche di Kubrick: è la perfezione delle inquadrature. Il suo lavoro è caratterizzato da una ricerca costante e profonda, che lo portò a livelli di attenzione al dettaglio definibili come maniacali. In particolare questa attenzione si concentrava sulla composizione prospettica che, specie nelle scene più intense e drammatiche dei suoi film, risulta rigorosamente simmetrica.
Ho trovato un video molto interessante a questo proposito. È un montaggio che evidenzia in modo efficace questa caratteristica comune a molte scene dei film di Stanley Kubrick.
Insomma: dal labirinto di “Shining” ai wc di “Full metal jacket”, passando per i corridoi dell’astronave di “2001 odissea nello spazio”, è evidente quanto la ricerca di prospettiva e simmetria compositiva fossero importanti per questo grande regista, i cui film tuttora ipnotizzano lo spettatore con un gusto fotografico che rimane difficile da eguagliare.
Buona visione e… Al diavolo la regola dei terzi!
🙂 🙂 🙂
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Henri Cartier Bresson Rue Mouffettard

Rue Mouffettard (1954) – Henri Cartier Bresson

Bello rompere le regole. Bello infischiarsene e mandare all’aria tutti i preconcetti, gli schemi, i vecchi e superati presupposti. Bello infrangere i limiti, le barriere create dai parrucconi.
Sì, ma per rompere le regole bisogna prima conoscerle, sapere almeno quali sono. Forse addirittura sapere perché erano state (magari erroneamente) poste ed anche dimostrare di saperle rispettare.
Una foto sciatta e sbagliata rimane una foto sbagliata, anche quando si cerca di sostenerne il valore innovativo o addirittura rivoluzionario.
Una foto che rompe le regole è tutt’altra cosa.

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 Edward Weston - Nude woman -

Nude woman – Edward Weston

Magari non ci hai mai pensato, per molti non è una cosa a livello cosciente, ma per quasi tutti i fotografi esiste una foto che rappresenta un personale punto di riferimento. È quella che in un più o meno remoto passato ha fatto scattare qualcosa e, almeno in parte, è “responsabile” della nascita di un interesse particolare per la Fotografia.
Non è assolutamente detto che si debba trattare dell’opera di qualche fotografo importante, ma nel mio caso l’immagine che ritengo la principale indiziata è una famosa foto di Edward Weston. La vedi qui a fianco: Nude woman, un capolavoro che il grande maestro del bianco e nero realizzò nel 1936. Ne rimasi affascinato da ragazzino e resta a tutt’oggi una delle foto che amo di più in assoluto, per l’insieme di armonia, grazia, rigore, sensualità, talento e grandissimo senso estetico che rappresenta.
E tu ce l’hai una foto che ti ha “avvicinato alla fotografia”?

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20121121-170115.jpg

André Kertész è un mio mito. Nato nel 1894 può essere a buon titolo considerato tra i più importanti fotografi del novecento e sebbene il suo nome non sia spesso tra quelli citati quando si parla di maestri della fotografia, ha rappresentato un punto di riferimento e di ispirazione per molti “grandi”.
Di lui Henri Cartier-Bresson disse “Tutto quello che abbiamo fatto, Kertész l’ha fatto prima” e ciò dovrebbe bastare per rendere l’idea.
Definito come “inclassificabile”, era introverso e riservato, poco incline al protagonismo. Fotografava guidato principalmente dall’istinto e dal suo notevole talento, riuscendo sempre a dimostrare che qualsiasi aspetto del mondo, dal più banale al più importante, merita di essere fotografato.
André Kertész, dopo aver vissuto come soldato gli orrori nelle trincee del primo conflitto mondiale, documentando con una piccola fotocamera la vita dei suoi simili, si trasferì a Parigi per lavorare come fotografo, insegnando ad usare la macchina fotografica a personaggi del calibro di Brassai.
Sul finire degli anni ’30, insieme ad Henri Cartier-Bresson, iniziò a lavorare per la rivista Vu, il cui stile influenzò le testate americane Life e Look.
Prima della seconda guerra mondiale si trasferì negli Stati Uniti, dove rimase per il resto della sua vita, collaborando con importanti riviste ma anche sviluppando un suo filone artistico indipendente che, secondo me, lo rende uno dei personaggi più affascinanti della fotografia del XX secolo.
Se ne andò nel 1985 lasciando qualcosa come 100.000 negativi.
Il video che ti propongo qui sotto è un breve documentario girato nei primi anni ottanta, poco prima della morte del fotografo Ungherese. Mostra Kertész a Parigi ed è un bell’omaggio ad un anziano signore che si muove con modestia alla ricerca dei suoi scatti. Sembra timido, impacciato, sicuramente non è più il Kartész degli anni d’oro, ma le fotografie che scorrono tra una scena e l’altra parlano da sole, sono capolavori che hanno influenzato personaggi importantissimi.
L’audio del video è in francese, ottima occasione per capire come si pronuncia il suo cognome.
Ciao André.

(Se non visualizzi il video puoi trovarlo direttamente qui)

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Occhio / Eye

Occhio – © Copyright 2008 Pega

“The primary tools of photography are the eyes and the mind”

I principali strumenti della fotografia sono gli occhi e la mente. E’ una frase di Edward Weston che trovo meravigliosa, specialmente se applicata al contesto attuale, fatto di continue uscite di nuovi modelli di macchine fotografiche, obiettivi sempre più sofisticati ed accessori super tecnologici.
Weston creò i suoi capolavori con un’attrezzatura mediocre: macchina e lenti che non erano assolutamente di prim’ordine nemmeno per quei tempi, figuriamoci al confronto di ciò che tutti noi abbiamo oggi al collo.
Eppure sono di Edward Weston alcune tra le immagini più affascinanti della storia della fotografia, realizzate usando appunto quelli che sono gli strumenti principali per quest’arte: gli occhi e la mente del fotografo.

Da tenere sempre… a mente (appunto).
🙂

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Nadar ritratto rotante
Fèlix Nadar è stato senza dubbio una figura molto rilevante nella storia della fotografia. Oltre ad aver realizzato moltissimi ritratti di personalità famose del suo tempo, fu anche il primo a scattare foto aeree volando con la sua mongolfiera, inoltre fu tra i pionieri nell’uso della luce artificiale ed il primo a fotografare, con questo ausilio, le catacombe di Parigi.
Lo voglio però ancora citare per un altro suo particolare colpo di genio.

É il 1865 ed il fotografo-inventore francese Nadar (al secolo Gaspard-Félix Tournachon), si cimenta in una nuova idea. Decide di realizzare un suo autoritratto da più angolazioni e scatta una serie di fotogrammi che poi mostra creando un semplice sistema per vedere le immagini in sequenza.
Il risultato ha il suo fascino ancora oggi. È facile immaginare l’effetto straordinario che poteva suscitare a quel tempo…

Nadar rotante

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Ho trovato questo interessante video. E’ stato realizzato mettendo insieme immagini provenienti dalla Library of Congress degli Stati Uniti che nel suo sconfinato archivio conserva anche gli scatti di un giovanissimo Stanley Kubrick ai tempi in cui lavorava come fotografo per la rivista Look.

E’ il 1949 e Stanley viene inviato a Chicago per realizzare un servizio sulla “città dei contrasti”, per raccontare con le sue immagini l’atmosfera e la vita della capitale dell’Illinois.

Si tratta di un lavoro fotografico di reportage in linea con quello che era lo stile di una delle più importanti riviste del tempo. Look insieme a Life rappresentava infatti un punto di riferimento assoluto ed il suo tipico modo di raccontare luoghi e persone attraverso gli scatti dei suoi fotografi, rimane un’icona nella storia della fotografia.

Trovo sia affascinante ammirare questo lavoro di Kubrick, ancora molto giovane ma già così bravo nel cercare e trovare soggetti e spunti sempre significativi, con uno stile che poi ha saputo sviluppare e rendere così personale nella successiva ed assoluta carriera di regista cinematografico.
Buona visione.

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