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Posts Tagged ‘mente’

Strand_MrBennet

Mr. Bennett, Vermont – Copyright 1946 Paul Strand

L’attivazione reticolare è il meccanismo che il cervello utilizza per stabilire a quali percezioni dare la priorità nell’immane flusso continuo di informazioni e stimoli che ci colpiscono.
E’ una sorta di filtro tra il livello cosciente di ciò di cui ci rendiamo conto, ed il livello subconscio che viene comunque raggiunto dall’insieme di tutte le stimolazioni sensoriali a cui siamo esposti e sensibili.
Ti è mai capitato di interessarti ed approfondire un argomento nuovo e notare, a tale riguardo, cose che prima sembravano non esserci? C’erano anche prima ma non ci avevi mai fatto caso: erano state filtrate dal sistema di attivazione reticolare.

Quella sopra è una famosissima foto di Paul Strand: il ritratto di Mr. Bennett.
E’ uno scatto che mi è sempre piaciuto molto e che trovo tra i più belli di questo grande fotografo. Tempo fa lo stavo guardando e per un attimo ho provato a fare qualcosa che, con questa fotografia, non avevo mai fatto prima: immaginarmi l’istogramma di questo splendido bianco e nero. Ma ecco… Non l’avevo mai notato così… quel bottone bianco.. è totalmente sovraesposto!
Da quel momento è come se il mio cervello avesse riclassificato l’immagine. Non mi è più possibile non notare e dare una grande importanza a quel bottone, quell’elemento nel bel mezzo del fotogramma che, forse, è la chiave dell’intensità e della vitalità dell’intera immagine. Un piccolo dettaglio che ne completa la bellezza. Proprio come una ciliegina sulla torta.
Ma io non ci avevo mai fatto caso.

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Magritte

Falso specchio (olio su tela) – Renè Magritte 1928

C’è un tipo di fotografia dove la fotocamera non serve.
E’ qualcosa che alcuni praticano in modo innato, a volte inconscio, mentre altri imparano proprio come disse Dorothea Lange affermando che “La macchina fotografica è uno strumento che insegna a vedere senza una macchina fotografica”.
Sto parlando della foto mentale, quella scattata senza alcuna fotocamera, quella in cui tu sei comunque il fotografo e decidi  inquadratura, esposizione, fuoco e tutto il resto, ma l’immagine resta nella tua testa. Privata, intima.
Per scattarla hai a disposizione un’attrezzatura dal valore inestimabile e dalle prestazioni infinitamente superiori a qualunque macchina fotografica in vendita. Ce l’hai sempre a disposizione, anche nelle situazioni più difficili o impreviste: sono i tuoi occhi e la tua mente.
Tutti più o meno abbiamo un archivio di foto mentali nella nostra memoria. Sono le immagini che emergono dal nostro passato, che raccontano momenti che ci hanno colpito ed è come se il nostro cervello avesse in automatico scattato delle istantanee per preservare il ricordo di quei momenti. È un meccanismo innato che in qualche modo rende l’invenzione della fotografia una vera e propria protesi emozionale dell’essere umano.

Ma è anche possibile realizzare le foto mentali in modo cosciente.
Puoi cercarle e scattarle nei momenti più belli ma anche più impensati, puoi farlo senza alterare o interrompere la magia di un istante, senza interferire o disturbare.
Fatta la foto impegnati per “svilupparla” e processarla al meglio, cercando di fissarla bene nella tua memoria ed ogni tanto torna a rivederla, questo ne manterrà la qualità.

Con le persone giuste puoi provare anche a condividerle queste foto mentali, descrivendole a parole ed aiutando chi ti ascolta a ricostruire l’immagine proprio come ce l’hai in mente tu.
Può essere molto bello.

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Se l’argomento ti interessa, ti invito a leggere anche il post sulla stampa della foto mentale.

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Memoria_HomerFotografare ci aiuta a ricordare?
Parrebbe proprio di no, anzi aiuta a dimenticare. E’ questo il risultato di un interessantissimo articolo su Psychological Science, noto mensile di psicologia e neuroscienze.
Già nel 2011 era uscito uno studio che parlava di come le persone tendano ad imparare con minor solidità ciò che sanno di poter ritrovare facilmente su internet, ma in questo caso una ricercatrice si è focalizzata sull’uso dello strumento fotografico, analizzandone gli effetti sulla memorizzazione.
I risultati sono molto interessanti e dimostrano che l’atto di fotografare si integra con il processo di memorizzazione che è costantemente in atto nel cervello, aiutandolo in una delle sue priorità assolute: risparmiare energia.

I nostri sensi producono un enorme e continuo flusso di informazioni che richiede un grande sforzo di elaborazione per essere gestito. Per questo l’evoluzione ci ha fatto perfezionare alcuni meccanismi cerebrali, come l’attivazione reticolare, dedicati a filtrare e ridurre questo immane carico di lavoro.
Il cervello è perennemente alla ricerca di metodi per semplificarsi la vita ed è così che fin dall’antichità sono state inventate tutte le tecnologie che l’uomo utilizza per aiutarsi a ricordare. Dai graffiti preistorici alle foto digitali di oggi, il cervello sembra sfruttare queste soluzioni, non solo per aiutarsi ed essere più efficiente, ma proprio per delegare all’esterno la funzione mnemonica.
In sintesi, usare un ausilio mnemonico “autorizza” il cervello a non impegnarsi a memorizzare. Succede un po’ come quando su un computer si sceglie di usare un’unità esterna per archiviare dati risparmiando lo spazio disco interno.
Essendo la memoria umana principalmente basata su informazioni visive, la fotografia è quindi la tecnologia ideale per funzionare da memoria esterna del cervello, consentendogli di risparmiare energia, visto che ci penserà la foto.
Pare dunque che il semplice gesto del fotografare, ripetuto e trasformato in un’abitudine, possa attivare una sorta di meccanismo di “dimenticanza”.
Ma forse non è semplicemente così. Nella ricerca si parla anche dell’effetto “sineddoche”: quello che tutti proviamo quando un piccolo dettaglio che rivediamo in una foto, ci riporta alla mente i ricordi dell’intero contesto di cui quel dettaglio era solo una minima parte. Ricordi che in qualche caso “non ricordavamo di avere”.
Forse siamo solo all’inizio della comprensione di come davvero funzionano questi meccanismi, una ricerca che si intreccia con un rapido percorso di progresso tecnologico, certamente ben più veloce di quello evolutivo.

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Fisiogramma by Pega

Fisiogramma – © Copyright 2012 Pega

Il mondo è imperfettamente simmetrico, è questo lo spunto per la missione fotografica del fine settimana.
La simmetria in fotografia è argomento controverso: c’è chi la rifugge come il male assoluto, chi invece la cerca come base per scatti armoniosi. Ma in natura esiste davvero la simmetria perfetta? E’ qualcosa di reale o di costruito dalla nostra mente?
E’ bella una foto perfettamente simmetrica? O è più bella un’immagine con quella piccola imperfezione che la rende naturale?
Insomma un tema bello tosto stavolta, con cui ti invito a confrontarti in questo weekend andando alla ricerca di ciò che simmetrico è… ma non completamente.
Come tradizione ti invito poi a condividere la tua foto in un commento qui sotto. Confrontarsi è divertente e può aiutarti ad entrare in contatto con persone che apprezzano le tue immagini.

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Clicca qui per visualizzare l’elenco di tutti i Weekend Assignment precedentemente proposti.

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Oggi voglio proporti il lavoro di due amici: il fotografo Luigi Di Loro e la scrittrice Giulia Montini.
Il loro è un connubio artistico che intreccia immagini e parole, secondo uno schema che ha radici lontane e dimostra come queste due arti possano flirtare per sviluppare qualcosa di personale e creativo.
Non voglio aggiungere altro se non un esempio di queste opere e tra quelle che mi hanno inviato ho scelto questa, intitolata “Cibo per la mia mente”.

Di Loro Luigi

Cibo per la mia mente.

Questo tu sei,
una leggera danza tra un se taciuto e un ma doloroso,
sei il bacio della rima che rincorre i miei sospiri aggrovigliati.
Nutri di sussurri la mia mente, leghi con parole la mia storia, sgrammatica, e sconclusionata, facendomi
respirare laddove trapelavo nell’attesa, lasciandomi l’attesa laddove mi avrebbe aspettata la magia.
Mi hai insegnato a domandare, ed ad avere fiducia nel mio rispondere.
Metti un punto su un fianco,
una sinuosa parentesi sotto a un seno.
Narri non a me, ma a qualcosa dentro me, le nobili gesta di un cuore che fu errante,
ma che non ti conobbe, perché da quando ti incontrai, celata dietro muti silenzi,
l’unica parola che riuscii a pronunciare è restare.
Prima erravo cercando pane e vino per inondare le mie membra assettate di sapere,
poi ti vidi.
Inciampai in un tuo discorso.
Non lo ascoltai, e ruzzolai a terra nuovamente allo schiudersi delle tue labbra,
a quel sorriso che pare una virgola sghemba, una piccola pausa tra mente e cuore, ma mai punto,
come se portassi con te sempre una continuazione.
Mi hai insegnato a restare errando.
E restando,
ho trovato le parole.
Per dirti che t’amo.

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Fotografia: Luigi Di loro
Testo: Giulia Montini

(Li trovi anche su Facebook, gruppo FoToGrAFiA)

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Strand_MrBennet

Mr. Bennett, Vermont – Copyright 1946 Paul Strand

L’attivazione reticolare è il meccanismo che il cervello utilizza per stabilire a quali percezioni dare la priorità nell’immane flusso continuo di informazioni e stimoli che ci colpiscono.
E’ una sorta di filtro tra il livello cosciente di ciò di cui ci rendiamo conto, ed il livello subconscio che viene comunque raggiunto dall’insieme di tutte le stimolazioni sensoriali a cui siamo esposti e sensibili.
Ti è mai capitato di interessarti ed approfondire un argomento nuovo e notare cose, a tale riguardo, che prima sembravano non esserci? Probabilmente c’erano anche prima, semplicemente non ci avevi mai fatto caso: erano state filtrate dal sistema di attivazione reticolare.

Quella sopra è una famosissima foto di Paul Strand: il ritratto di Mr. Bennett.
E’ uno scatto che mi è sempre piaciuto molto e che trovo tra i più belli di questo grande fotografo. Tempo fa lo stavo guardando e per un attimo ho provato a fare qualcosa che, con questa fotografia, non avevo mai fatto prima: immaginarmi l’istogramma di questo splendido bianco e nero. Ma ecco… Non l’avevo mai notato così… quel bottone bianco.. è totalmente sovraesposto!
Da quel momento è come se il mio cervello avesse riclassificato l’immagine. Non mi è più possibile non notare e dare una grande importanza a quel bottone, quell’elemento nel bel mezzo del fotogramma che, forse, è la chiave dell’intensità e la vitalità dell’intera immagine. Un piccolo dettaglio che ne completa la bellezza. Proprio come una ciliegina sulla torta.
Ma io non ci avevo mai fatto caso.

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Fulvio Petri - Comune di Scandicci - Mostra

Fulvio Petri detto Sharkoman è il mio “Maestro” di pareidolia cioè di quell’arte che è ricerca di forme umane, animali o altro in cose e materiali disposti dal caso.

Fulvio è un artista del guardare e dell’immaginare, io lo considero un punto di riferimento irraggiungibile per talento ed estro creativo perché è capace di vedere dove gli altri non vedono e realizzare fotografie che danno vita a ciò che non ne ha.

Finalmente “Sharko” si è deciso ed ha pensato bene di esporre un po’ dei suoi scatti in una mostra che sarà inaugurata il prossimo 8 Dicembre nel Palazzo Comunale di Scandicci, alle porte di Firenze.
Guardando la locandina ti sarà già chiaro: che tu sia vicino o lontano non c’è da esitare, che ti basti la bici o ti serva un treno, un salto a questa mostra è un’esperienza da non perdere.

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Occhio / Eye

Occhio – © Copyright 2008 Pega

“The primary tools of photography are the eyes and the mind”

I principali strumenti della fotografia sono gli occhi e la mente. E’ una frase di Edward Weston che trovo meravigliosa, specialmente se applicata al contesto attuale, fatto di continue uscite di nuovi modelli di macchine fotografiche, obiettivi sempre più sofisticati ed accessori super tecnologici.
Weston creò i suoi capolavori con un’attrezzatura mediocre: macchina e lenti che non erano assolutamente di prim’ordine nemmeno per quei tempi, figuriamoci al confronto di ciò che tutti noi abbiamo oggi al collo.
Eppure sono di Edward Weston alcune tra le immagini più affascinanti della storia della fotografia, realizzate usando appunto quelli che sono gli strumenti principali per quest’arte: gli occhi e la mente del fotografo.

Da tenere sempre… a mente (appunto).
🙂

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Nutshell

Su un guscio di noce – © Copyright 2012 Pega

“Ma che bel colore! Ehi, ma che rosso!”
Si ma… hai mai pensato a quanto i colori siano un concetto così incredibilmente e misteriosamente relativo?

Nel tuo cervello vedi un colore, magari il bellissimo blu profondo di una limpida giornata invernale. E’ il tuo blu. Ma chi ti dice che nella mente di un’altra persona quel blu appaia come appare a te? Potrebbe essere che per lui il blu sia ciò che per te è il rosso e che l’unica cosa che avete in comune sia solo il nome di quel colore. C’è modo di saperlo?

Prova per un attimo a descrivere a parole un colore. Ci riesci? O devi per forza ricorrere a dei paragoni?
I colori sono delle percezioni relative, sensazioni soggettive, e la cosa affascinante è che gli stessi colori possono apparire diversi anche a noi stessi, in funzione di tutta una serie di variabili.
Si sa, ad esempio, che i colori vengono percepiti diversamente a seconda della luce e degli altri colori attorno, ma c’è anche una quantità di fattori emotivi che possono influenzare la nostra percezione. Un bel verde può apparire freddo e malinconico la mattina appena ci svegliamo ma ben più incoraggiante e vitale nel pomeriggio o la sera. Hai mai provato qualcosa del genere? Casi in cui la percezione dei colori cambia in funzione dello stato d’animo?

Ti invito a pensare a tutto questo, a come vedi i colori nelle tue fotografie ed in quelle degli altri.
I colori sono connessi con le emozioni e di conseguenza le sensazioni che le immagini ci danno possono essere modificate da tutta una serie di influenze che i colori hanno su di noi.

Trovo che questo dei colori sia un argomento affascinante, a tratti folle e misterioso, ma con il potere di stimolare e spingere qualsiasi fotografo a tentare di esplorarlo. Addirittura anche chi fotografa solo in bianco e nero.

🙂

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Magritte

Falso specchio (olio su tela) – Renè Magritte 1928

C’è un tipo di fotografia dove la fotocamera non serve.
E’ qualcosa che alcuni praticano in modo innato, a volte inconscio, mentre altri imparano proprio come disse Dorothea Lange affermando che “La macchina fotografica è uno strumento che insegna a vedere senza una macchina fotografica”.
Sto parlando della foto mentale, quella scattata senza alcuna fotocamera, quella in cui tu sei comunque il fotografo e decidi  inquadratura, esposizione, fuoco e tutto il resto, ma l’immagine resta nella tua testa. Privata. Intima.
Per scattarla hai a disposizione un’attrezzatura dal valore inestimabile e dalle prestazioni infinitamente superiori a qualunque macchina fotografica in vendita. Ce l’hai sempre a disposizione, anche nelle situazioni più difficili o impreviste: sono i tuoi occhi e la tua mente.
Tutti più o meno abbiamo un archivio di foto mentali nella nostra memoria. Sono le immagini che emergono dal nostro passato, che raccontano momenti che ci hanno colpito ed è come se il nostro cervello avesse in automatico scattato delle istantanee per preservare il ricordo di quei momenti. È un meccanismo innato che in qualche modo rende l’invenzione della fotografia una vera e propria protesi emozionale dell’essere umano.

Ma è anche possibile realizzare le foto mentali in modo cosciente.
Puoi cercarle e scattarle nei momenti più belli ma anche più impensati, puoi farlo senza alterare o interrompere la magia di un istante, senza interferire o disturbare.
Fatta la foto impegnati per “svilupparla” e processarla al meglio, cercando di fissarla bene nella tua memoria ed ogni tanto torna a rivederla, questo ne manterrà la qualità.

Con le persone giuste puoi provare anche a condividerle queste foto mentali, descrivendole a parole ed aiutando chi ti ascolta a ricostruire l’immagine proprio come ce l’hai in mente tu.
Può essere molto bello.

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Se l’argomento ti interessa, ti invito a leggere anche il post sulla stampa della foto mentale.

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