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Sikorsky by Andreas Feininger

Sikorsky – @ 1949, Andreas Feininger

Era il febbraio del 1949, in una fredda sera in Maryland il fotografo Andreas Feininger piazzò il suo treppiede nei pressi di una base militare e realizzò alcuni scatti a lunga esposizione di elicotteri in decollo ed atterraggio.
Ne vennero fuori immagini affascinati non solo per la tecnica scelta ma anche perché rappresentavano, e rappresentano tutt’ora, uno dei primi esercizi artistici su una macchina che a quel tempo era una spettacolare novità. Già perché il primo elicottero moderno, quello per intendersi caratterizzato dal piccolo rotore in coda che ancora oggi vediamo volare, era decollato solo nove anni prima, nel 1940.
Feininger scattò le sue foto per conto della rivista Life e con questo lavoro contraddisse se stesso dato che una delle sue più famose affermazioni recita: “l’esperienza insegna che più affascinate è il soggetto, meno attento è il fotografo

🙂

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Voglio riproporre questo interessante video realizzato con immagini provenienti dalla Library of Congress degli Stati Uniti, nel cui sconfinato archivio sono conservati anche gli scatti di un giovanissimo Stanley Kubrick, ai tempi in cui lavorava come fotografo per la rivista Look.

Kubrick venne inviato a Chicago nel 1949 per realizzare un servizio sulla “città dei contrasti” e raccontare attraverso immagini l’atmosfera e la vita della capitale dell’Illinois. Fu un lavoro fotografico di reportage in linea con lo stile di una delle più importanti riviste del tempo. Look, insieme a Life, rappresentava infatti un punto di riferimento assoluto che, con un tipico modo di raccontare luoghi e persone attraverso gli scatti dei suoi inviati, rimane un’icona nella storia della fotografia.

È affascinante tornare ad ammirare questo lavoro di Kubrick, ancora molto giovane ma già così bravo nel cercare e trovare soggetti e spunti sempre significativi. Uno stile che poi ha saputo sviluppare e rendere così personale nella successiva ed assoluta carriera di regista cinematografico.
Buona visione.

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Gerda_Taro

Gerda Taro by Robert Capa 1937

Gerda Taro ritratta da Robert Capa è il cortocircuito fotografico che ti propongo oggi; una fotografa a lungo dimenticata che, nonostante sia considerata la prima fotogiornalista donna a seguire un fronte di guerra, per oltre cinquant’anni è rimasta oscurata dalla fama del suo compagno: quel Robert Capa protagonista del precedente cortocircuito.
L’impegno sociale e politico di Gerda è breve ed intenso come la sua vita, oltre che emblematico di ciò che è stata la storia europea degli anni trenta.
Ebrea polacca cresciuta nella Germania pre-hitleriana ed esule in Francia, dimostra fin da giovanissima carattere e visione non comuni per il suo tempo, studia fotografia e vive interessi e relazioni sentimentali molteplici. Il suo spirito contrario ad antisemitismo e nazifascismo, si realizza nel 1937 con la partecipazione alle fasi della resistenza Spagnola, dove fotografa il fronte insieme al suo compagno Robert Capa. È qui che questa donna, così emancipata e da qualcuno definita come “troppo avanti” per la sua epoca, trova però la sua precoce e tragica fine: schiacciata da un carro armato in ritirata.
Capa, sconvolto, pubblica subito un libro di fotografie della guerra civile Spagnola intitolato Death in the Making in cui ci sono scatti suoi e di Gerda, ma in molti degli articoli che appaiono sui giornali è omesso il nome della Taro. È così che inizia per Gerda una fase di oblio, almeno in occidente, dove addirittura alcune sue foto vengono attribuite a Robert Capa. Oltre cortina invece, nella Repubblica Democratica Tedesca, Gerda Taro viene sfruttata dalla propaganda come figura eroica, simbolo della resistenza comunista contro il fascismo.
È solo con la biografia su Robert Capa, scritta negli anni ottanta da Richard Whelan, che il nome di Gerda Taro torna ad avere la sua giusta importanza, anche grazie ad un accurato studio degli archivi del fotografo ungherese.

Gerda è sepolta a Parigi, al Père Lachaise, sotto ad un omaggio scultoreo di Alberto Giacometti.
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I precedenti cortocircuiti fotografici:

#1: Eugene Atget fotografato da Berenice Abbott
#2: Berenice Abbott fotografata da Hank O’Neal
#3: Edward Weston fotografato da Tina Modotti
#4: Tina Modotti fotografata da Edward Weston
#5: Alfred Stieglitz fotografato da Gertrude Käsebier
#6: Steve McCurry fotografato da Tim Mantoani
#7: Robert Capa fotografato da Gerda Taro

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Ho trovato questo interessante video. E’ stato realizzato mettendo insieme immagini provenienti dalla Library of Congress degli Stati Uniti che nel suo sconfinato archivio conserva anche gli scatti di un giovanissimo Stanley Kubrick ai tempi in cui lavorava come fotografo per la rivista Look.

E’ il 1949 e Stanley viene inviato a Chicago per realizzare un servizio sulla “città dei contrasti”, per raccontare con le sue immagini l’atmosfera e la vita della capitale dell’Illinois.

Si tratta di un lavoro fotografico di reportage in linea con quello che era lo stile di una delle più importanti riviste del tempo. Look insieme a Life rappresentava infatti un punto di riferimento assoluto ed il suo tipico modo di raccontare luoghi e persone attraverso gli scatti dei suoi fotografi, rimane un’icona nella storia della fotografia.

Trovo sia affascinante ammirare questo lavoro di Kubrick, ancora molto giovane ma già così bravo nel cercare e trovare soggetti e spunti sempre significativi, con uno stile che poi ha saputo sviluppare e rendere così personale nella successiva ed assoluta carriera di regista cinematografico.
Buona visione.

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Giovanni_da_Linari

Giovanni abita a Linari, un piccolo paese nel cuore della Toscana rimasto quasi totalmente abbandonato.
Nel medioevo questo borgo fortificato posto a metà strada tra Siena e Firenze, fu prima sede di un minuscolo feudo e poi libero comune, fino all’unificazione della regione sotto il Granduca.

Qualche anno fa avevo trovato Linari per caso. Era spettralmente deserto. Antichi edifici sprangati tra cui mi ero aggirato in un tardo pomeriggio invernale camminando su un lastricato riconquistato dalla vegetazione e provando uno strano contrasto di sensazioni.

Tornandoci ho visto questo signore affacciato alla sua finestra.
Giovanni ha vissuto e lavorato qui e ci è rimasto con la moglie mentre il borgo si spopolava.
Si occupava di spremere olive con le presse a secco del frantoio che ora giacciono a due passi da casa sua sotto forma di rottami arrugginiti.
Un po’ a fatica, ha cercato di spiegarci come funzionava quando lì c’era vita e lavoro ed anche di come adesso ci sia in atto un’opera di ristrutturazione e recupero del castello e degli edifici che lo circondano. 

Poi gli ho chiesto se si faceva fare un ritratto.

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The pointbreaker
The pointbreaker – © Copyright 2011 Pega

Un sorriso così non lo fingi.

Non lo puoi simulare perchè ti si stampa in faccia da solo, schietto e inconfondibile, con un’energia che arriva diretta a chi guarda, o fotografa.

E’ il sorriso di chi ha appena fatto qualcosa di bello, soddisfacente, qualcosa che lo ha fatto davvero star bene.

Ho postato alcuni giorni fa questo ritratto sul mio album Flickr, vedendo che molti commenti convenivano su ciò che anche a me era parso subito dopo lo scatto: l’aver carpito un’espressione così vera ed empatica da riuscire a strappare un sorriso a chiunque.

Ma non è mio il merito.

Tutto sta nella condizione in cui si trovava il soggetto della foto, quegli istanti in cui tornava stanco ma felice, da una magnifica cavalcata sulle onde.

E’ questa energia che trovo sia bellissimo cercare e trovare per un certo tipo di ritratti, un aspetto che si fonde nella foto in modo difficile da descrivere a parole ma che può essere percepito con facilità da chi osserva.

Prova a cercare questa condizione negli attimi che seguono momenti belli ed intensi. Scegli tu quali e con chi, poi scatta, ma senza lasciare che la macchina fotografica perturbi troppo il momento.

Saranno foto intense e forse anche molto intime, probabilmente non sempre adatte ad essere condivise on line, ma di sicuro significative.

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Picasso Centauro

Era il 1949, nel pieno dell’epoca d’oro delle grandi riviste di fotogiornalismo, quando Gjon Mili incontrò Pablo Picasso nel sud della Francia.
Mili, nato in Albania nel 1904, era emigrato in America negli anni ’20 e qui aveva studiato al MIT divenendo un pioniere della fotografia con luci artificiali e stroboscopiche, fu tra i primi a sperimentare l’uso del flash elettronico. Picasso Life uomo che corre

L’interesse per la fotografia lo spinse ben oltre la ricerca scientifica portandolo ad iniziare una collaborazione con la celebre rivista Life, una collaborazione destinata a durare per tutta la sua vita.

Mili cercò e trovò Picasso su una spiaggia e gli mostrò alcuni suoi scatti realizzati con la tecnica del “light painting”.
Subito l’artista spagnolo ne rimase affascinato e nacque tra i due l’idea di provare a creare delle opere di luce: disegni che sarebbero scomparsi nel momento stesso in cui venivano creati ma che la macchina fotografica poteva immortalare insieme al loro creatore.

Picasso vaso di fioriFu così che decisero di provarci, dandosi appuntamento una sera, all’imbrunire.

Con una piccola torcia elettrica in mano Picasso disegnò “il Centauro” ed altre affascinanti creature ed oggetti.

Era nata una nuova e strana forma espressiva, frutto della sinergia creativa tra uno scienziato della luce ed un genio del tratto.

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Monday morning

Monday morning -© Copyright 2010 Pega

Tempo fa ho postato questa foto su Flickr.
Se dovessi descriverla ad una persona che non può vederla gli direi qualcosa del tipo: “è l’immagine di un ragazzo che schiaccia un pisolino al sole, disteso in una finestra”.
Forse non renderei l’idea ma questo è proprio il punto di questo post.
Come in tanti casi succede, quello che incuriosisce e colpisce in una foto è quello che non appare.
In questo scatto non si vede granchè dell’edificio, non si capisce a che altezza da terra si trova il soggetto: lo si immagina.
E l’immaginazione costruisce la sua storia. La foto diviene interessante e per alcuni divertente, in diversi commenti si avverte un po’ di preoccupazione per i rischi corsi da questo tizio.
Nonostante la prospettiva di ripresa dalla stessa altezza possa alimentare il dubbio di uno scatto sul piano stradale, l’osservatore raramente pensa ad una situazione di questo tipo.
Sarebbe noioso infatti immaginare il tutto in una finestra al piano terreno e l’idea comune che si sviluppa nella mente di chi guarda è che il ragazzo si trovi in alto, a chissà quale piano, rischiando la pelle per un pisolino.

E’ uno dei tanti casi che insegna quanto sia importante togliere, riuscire a limitare quello che si include nella foto.
Il “levare” stimola ed incuriosisce l’osservatore e, come nella musica, lo costringe ad essere partecipe, ad integrare quello che percepisce con qualcosa di suo, trasformando in qualche modo l’esperienza dell’osservazione passiva in una fruizione interattiva.
Non sempre è facile, ma spesso vale la pena di provarci.

Ah, stavo per dimenticare…
In realtà la foto sopra ritrae veramente un folle.
La finestra, proprio nel palazzo di fronte a dove mi trovavo, era al terzo piano.

:-O

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obamaChe ne dici della foto sopra?
Non trovi che sia assolutamente emblematica dell’era del digitale?

Quante volte si sceglie di vivere un momento attraverso un display LCD nella speranza di poterlo catturare nel nostro dispositivo video o fotografico?

E’ la voglia di immagazzinare i ricordi in un modo che il nostro cervello non ha la possibilità di fare o è necessità di far vedere agli altri le nostre esperienze e di condividerle.

La mia convinzione è che si tratti “prevalentemente” della seconda ipotesi.

Fin da piccoli cerchiamo la condivisione. Hai mai osservato quanto il divertimento di un bambino aumenta quando guardiamo con lui una cosa che lo diverte?
Quando cresciamo le regole rimangono le stesse.

Il digitale, con la sua semplicità ed immediatezza, ci ha portato la possibilità di condividere con una facilità estrema le esperienze che riteniamo importanti, quelle che vorremmo poter vivere insieme ad alcune persone che in quel momento non sono con noi.

Ma  non abbiamo ancora trovato la “giusta misura”… non raramente esageriamo e ci troviamo a vivere intere esperienze lasciando che un display ci faccia da “intermediario” con la realtà…

E può succedere quando raffigurato sopra al “ballo” di Obama… Tante persone un po’ chiuse in una sorta di solitudine digitale, concentrate nel catturare un momento che vorrebbero condividere con altri che non sono i presenti.

🙂

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Dovima with elefants

Dovima with elefants – @ Copyright 1955 The Richard Avedon Foundation

Richard Avedon è stato un personaggio importante nella fotografia del novecento, sicuramente tra i grandi nella fotografia americana della seconda parte del secolo.
Per me la sua principale caratteristica è nell’aver rappresentato una sorta di sintesi tra fotografia artistica classica, pop art e mondo dello spettacolo e della moda.
Con una carriera che iniziò come fotografo per carte di identità e di relitti di navi mercantili, Avedon passò negli anni ’40 al mondo della moda introducendo per Harper’s Bazaar, la rivista per cui lavorava, la novità di porre le modelle in contesti urbani, non convenzionali.
Da quel momento la sua carriera decolla, lavorerà per Vogue, Life e molti prestigiosi marchi della moda. Con il passare del tempo emerge quella che una sua grande passione : il ritratto. Una tipologia di ritratto introspettivo che scava nella personalità del soggetto, lo pone in atteggiamenti e contesti che ne consentono una conoscenza emotiva molto diversa dai clichè tradizionali.
Attraverso intere decadi, tra gli anni ’60 e l’alba del nuovo millennio, per molti personaggi famosi e star, quello di Avedon diviene uno studio fotografico da cui è necessario passare, a patto di essere disposti ad esporre se stessi in modo profondo.

Homage to Munkacsi

Homage to Munkacsi, Parigi © Copyright 1967 Richard Avedon

Trovo affascinante in Richard Avedon la capacità di saper separare molto bene la sua attività di fotografo commerciale su commissione, tipicamente per il settore della moda e dello spettacolo, dal suo personale impegno, passione e ricerca che si indirizza appunto al ritratto introspettivo ed anche al reportage di denuncia, come nel caso del suo viaggio in Vietnam a documentare gli orrori della guerra con crude foto di corpi mutilati e straziati dal napalm.
Quel che è certo è che anche per i lavori più chiaramente  commerciali, come ad esempio gli scatti per i grandi nomi della moda, si percepisce nelle foto di Avendon una personalità ed una originalità che solo pochi maestri hanno saputo esprimere.

Mi piace molto una sua frase famosa che sottolinea la sua irrefrenabile passione per la fotografia che lo accompagnò fino all’ultimo: “If a day goes by without my doing something related to photography, it’s as though I’ve neglected something essential to my existence

Insomma. Direi proprio che me lo faccio questo regalo.

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