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Kandahar – Afghanistan – Photo by Lorenzo Tugnoli/For the Washington Post

Non è roba da poco vincere un Pulitzer, proprio per niente.
Lorenzo Tugnoli, fotografo dell’agenzia Contrasto, quarantenne originario della provincia di Ravenna, non è nuovo a riconoscimenti di alto livello. Dopo essersi aggiudicato il World Press Photo, arriva per lui il più ambito tra i premi riservati ai fotoreporter: il Pulitzer nella categoria “Feature Photography” per il suo reportage “La crisi in Yemen“, visibile anche sul suo sito web e realizzato per The Washington Post, che documenta i campi dei rifugiati, gli ospedali e la linea del fronte.
Lorenzo ha iniziato la sua carriera in medio Oriente con varie collaborazioni, stabilendosi poi in Afghanistan nel 2010 per lavorare con importanti media internazionali e pubblicare nel 2014, in collaborazione con Francesca Recchia “The little book of Kabul”, un ritratto della città attraverso la vita quotidiana di vari artisti che ci vivono.
Nel 2015 si è trasferito in Libano continuando il suo lavoro di documentazione delle conseguenze umanitarie dei conflitti nella regione.
Tugnoli ha seguito la crisi in Yemen dove oltre 20 milioni di persone vivono in situazioni precarie senza sufficienti mezzi di sostentamento e quindi in condizioni di fame, una situazione causata anche da un’economia al collasso, dalle restrizioni sulle importazioni, dall’aumento dei costi di carburante e trasporto. E’ una situazione descritta dalle Nazioni Unite come “la catastrofe umanitaria più grave al mondo”, un inferno sulla terra dove un genitore può trovarsi di fronte a dover decidere se salvare un figlio malato o dare da mangiare a quello sano.

Noi quaggiù siamo ormai quasi refrattari a queste immagini, siamo abituati, o forse meglio dire induriti. Induriti come una vecchia pianta un tempo rigogliosa, che ormai è rimasta lo scheletro di se stessa ed aspetta solo di collassare. Eppure la speranza che queste foto possano in qualche modo risvegliare coscienza e consapevolezza della realtà che ci circonda, continua ad essere presente e sprona qualcuno a percorrere la strada della testimonianza, della documentazione, della denuncia; Tugnoli è tra queste persone.
Grazie Lorenzo, ci dai speranza e ci fai sentire fieri di essere cresciuti nello stesso paese.

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Stanley Kubrick

Stanley Kubrick

Sto giusto leggendo una biografia su Stanley Kubrick, un regista che siede a pieno titolo nell’olimpo del cinema e che iniziò la sua carriere proprio come fotografo, così sono tornato a studiare alcuni suoi scatti. Sono foto che risalgono agli anni del primo dopoguerra quando il talento dell’appena diciassettenne Stanley fu notato dal direttore della redazione della rivista americana Look, che gli assegnò come incarico una serie di reportage.
Alcune di queste fotografie sono state esposte in varie mostre sia in Italia che in Europa e sono in buona parte stampate direttamente dai negativi originali

Kubrick Shoe Shine Boy - Ragazzo Lustrascarpe

A tale of a shoe shine boy 1947 – Copyright Stanley Kubrick

appartenenti al corposo lavoro che Kubrick realizzò in giovane età e che adesso è custodito dalla Library of Congress di Washington e dal Museum of the City of New York. È un tesoro di oltre 20.000 negativi.

E’ interessante osservare come lo stile richiesto ai suoi collaboratori dalla rivista Look fosse strettamente legato a quello che sarebbe stato il futuro di Kubrick.
La redazione di Look infatti desiderava dei reportage realizzati con un metodo narrativo sequenziale, come ad episodi, con scatti realizzati in ambienti e fasi diverse della giornata e delle attività del soggetto.

Un metodo che non appassionava molti dei fotogiornalisti dell’epoca ma che intrigò il futuro regista fino al punto di fargli escogitare anche qualche stratagemma per limitare “l’invadenza” della macchina fotografica e dell’attrezzatura, alla totale ricerca di espressioni reali ed emozioni vive.

Kubrick Montgomery Clift

Montgomery Clift, 1949 – Copyright Stanley Kubrick

La passione per la fotografia e l’idea di farne una professione, accompagnò Stanley Kubrick per soli cinque anni, dal 1945 al 1950. Poi l’attrazione per il cinema e le immagini in movimento prese il sopravvento. Ma il talento ed il gusto estetico già presenti fin da giovanissimo rimarranno una costante di questo grande artista.

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Mi sono accorto che tendo sempre più a fare attenzione a cosa dicono le persone quando sono consapevoli di essere fotografate, quando faccio dei ritratti o osservo altri fotografi mentre ne fanno.
E’ curioso notare quanto spesso le affermazioni si assomiglino ed in qualche modo ricadano in categorie ben precise. Ad esempio ricorrono spesso frasi sugli aspetti puramente estetici, quelli tecnici, quelli legati all’ambito del diritto sulle immagini che si stanno realizzando e non di rado si finisce col ricevere anche consigli artistici.
Ti è mai capitato di sentirti dire cose tipo “posso avere i file dele tue foto per metterle su facebook” o “che bella la tua macchina fotografica, è come quella di mio cugino” o addirittura “mi puoi togliere le rughe e modificare il naso con Photoshop”?
Ho iniziato ad elencarle queste frasi, divertendomi parecchio ed accorgendomi che ci sono quasi degli standard. Vuoi darmi una mano in questa ricerca dicendomi cosa ti dicono le persone che fotografi “mentre le fotografi”? Scrivilo in un commento che poi pubblicherò una bella lista completa.

Evidentemente comunque non sono il solo ad aver notato questo aspetto. Dai un’occhiata al video qui sotto, lo trovo fantastico ed esattamente sul tema di cui sto parlando.
(E’ in inglese ma credo che valga comunque la pena vederlo anche per chi non lo comprende, perchè in molti casi il senso di quello che viene detto si capisce benissimo!)  🙂
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Non ti sei ancora iscritto o iscritta alla Photowalk di DOMENICA 2 Ottobre 2011 a Firenze!!!??? Dai, non puoi mancare !

Si tratta del più grande evento al mondo della cosiddetta “fotografia sociale” che si svolgerà nell’arco del primo weekend di Ottobre in contemporanea in più di mille città in tutti e cinque i continenti sotto forma di passeggiate fotografiche a cui potranno partecipare gratuitamente fotografi di qualunque tipo, età e livello, divertendosi, socializzando ed imparando gli uni dagli altri.

Dopo la divertente esperienza del 2010 anche quest’anno avrò il piacere di condurre la Photowalk di Firenze e quindi… ti aspetto!

Sarà l’occasione per rivedersi con chi ha già partecipato lo scorso anno ma anche di incontrarsi con i nuovi, conoscersi, ammirare insieme le bellezze di Firenze e vedere un sacco di altri appassionati di fotografia.

Per tutti i dettagli e per l’iscrizione, che dà diritto di partecipare al contest per i premi messi in palio dall’organizzazione visitare il sito della Photowalk di Firenze.

Worldwidephotowalk Firenze 2011

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Jana by Dmitry Gudkov

BikeNYC Portrait: Jana - © Copyright 2010 Dmitry Gudkov

Su Flickr mi sono imbattuto in questa foto. Un ritratto ambientato di una bella ragazza e della sua minimale bici verde marchiata “Fuji” in una strada di New York.
Di questa immagine mi piace moltissimo la spontaneità, con questa posa e l’espressione fiera, quasi di intrigante sfida, della protagonista, ma anche il contesto ed il modo con cui il fotografo ha saputo gestire lo sfondo urbano con uno splendido sfuocato.

E’ uno scatto di Dmitry Gudkov ed appartiene ad un suo progetto intitolato BikeNYC dedicato alle persone che si muovono in bicicletta nella Grande Mela. Iniziato nel Febbraio del 2010 conta ormai oltre un centinaio di scatti accompagnati da brevi note su ogni soggetto fotografato.
Puoi trovare BikeNYC sul sito personale di Dmitry o nell’apposito set sul suo album Flickr.

Credo proprio che potrebbe essere interessante cimentarsi in un bel progetto del genere: così semplice nella sua concezione ma anche ricco di potenzialità.

Complimenti Dmitry.

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Giovanni_da_Linari

Giovanni abita a Linari, un piccolo paese nel cuore della Toscana rimasto quasi totalmente abbandonato.
Nel medioevo questo borgo fortificato posto a metà strada tra Siena e Firenze, fu prima sede di un minuscolo feudo e poi libero comune, fino all’unificazione della regione sotto il Granduca.

Qualche anno fa avevo trovato Linari per caso. Era spettralmente deserto. Antichi edifici sprangati tra cui mi ero aggirato in un tardo pomeriggio invernale camminando su un lastricato riconquistato dalla vegetazione e provando uno strano contrasto di sensazioni.

Tornandoci ho visto questo signore affacciato alla sua finestra.
Giovanni ha vissuto e lavorato qui e ci è rimasto con la moglie mentre il borgo si spopolava.
Si occupava di spremere olive con le presse a secco del frantoio che ora giacciono a due passi da casa sua sotto forma di rottami arrugginiti.
Un po’ a fatica, ha cercato di spiegarci come funzionava quando lì c’era vita e lavoro ed anche di come adesso ci sia in atto un’opera di ristrutturazione e recupero del castello e degli edifici che lo circondano. 

Poi gli ho chiesto se si faceva fare un ritratto.

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War Photographer

James Nachtwey non è un nome noto al grande pubblico ma chi si interessa di fotogiornalismo sa che si tratta di uno dei più importanti fotoreporter di guerra tuttora in circolazione, una vera e propria leggenda vivente.
Profondamente colpito dalle immagini che provenivano dal conflitto del Vietnam, Nachtwey iniziò a dedicarsi negli anni settanta alla fotografia di reportage, percorrendo una lunga carriera che lo ha visto nelle zone più difficili: dall’Irlanda infiammata dal terrorismo dell’IRA, alla Palestina, dall’Afghanistan alla Somalia o il Kosovo.

C’è una sua frase che trovo davvero emblematica : “Society problems can’t be solved until they are identified”. Ė proprio questo il nocciolo dello spirito del fotoreporter di guerra, la spinta all’identificazione, attraverso immagini capaci di trasmettere a tutti la gravità di quei conflitti che non possono essere dimenticati ma che anzi urge assolutamente risolvere.

Di recente ho avuto occasione di vedere War Photographer, un documentario girato nel 2001 dal regista Christian Frei proprio su James Nachtwey.
Si tratta di un piccolo capolavoro che Frei realizzò seguendo il fotografo sul campo per quasi due anni, ricevendo diversi premi e nomination nell’ambito di manifestazioni internazionali sul fotogiornalismo.
L’ho trovato particolarmente bello per come presenta, nello scorrere delle immagini, questioni morali e sociali fondamentali, intrecciandole anche con riflessioni artistiche importanti.
Si tratta di elementi profondi che emergono e motivano tutti coloro che dedicano e rischiano la loro vita per fotografare la tragedia della guerra.

War Photographer è in Inglese ma con ottimi sottotitoli in Italiano. Capita di poterlo vedere su qualche canale tematico o su DVD. Te ne consiglio la visione integrale ma intanto posto qui sotto un breve estratto che ho trovato su Youtube.

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Nel primo post dell’anno parlavo di un semplice progetto che mi sarebbe piaciuto svolgere nel 2011, un’idea che è il naturale proseguimento della divertente esperienza dell’Ipholaroid Project. Ho deciso di chiamare questo nuovo progettino “Weekly Ipholaroid portrait”.

Come è facile intuire si tratta di realizzare un ritratto fotografico alla settimana utilizzando uno strumento a cui mi sto affezionando: l’Iphone, con la sua basilarità ed una app che simula in modo semplice ma realistico la “qualità” Polaroid.

E’ forse solo un modo per fare qualche ritratto in più ed avere la “scusa” per chiedere alle persone di posare e farsi immortalare in modo semplice e spontaneo, cosa che personalmente non riesco mai a fare quanto mi piacerebbe.
Devo dire che è divertente e mi ricorda molto i vecchi tempi con la Polaroid vera… 🙂

Ecco quindi i primi frutti… che conto di poter via via pubblicare in un’apposita pagina del blog.

Luciano  Valentina  Cesarina
Federica PPP Filippo

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Claudia, una lettrice del blog, mi ha chiesto di parlare di una sua foto.
Lo ha fatto in risposta ad un mio recente post sulla fotodegustazione, una discutibile definizione che ho dato dell’atteggiamento di osservazione ed analisi che si può provare ad assumere per apprezzare in maniera più profonda le fotografie, evitando di guardarle in modo troppo rapido e superficiale.
Non si tratta quindi di critica, ma di un modo per avvicinarsi all’opera che si osserva.

L’idea di farlo con immagini che mi vengono sottoposte dai lettori del blog è una cosa stimolante ma anche impegntiva, specie in questo primo caso. Comunque, visto che le sfide mi affascinano, ecco che ci provo.

La foto in oggetto si intitola Malinconia

Malinconia
Malinconia – © Copyright 2008 Mäuschen

Santa Brigida, la saracinesca chiusa, da più di dieci anni oramai, è quella del ristorante che gestiva la mia famiglia.
Lì ci ho vissuto, sono cresciuta scorrazzando per i campi ed i boschi mentre i miei lavoravano…e quando avevano un po’ di respiro si sedevano fuori.
Su quella pietra si sedeva il babbo.
Quella pietra però è ancora lì…solo quella.

Si intuisce subito che non è facile parlare di questa fotografia, ma quello che mi viene da dire per prima cosa è che si tratta di uno scatto dalla forte carica emotiva. Una carica che però è possibile percepire bene solo aggiungendo all’immagine anche l’intensità del testo che la accompagna, esattamente come per quella delle tre donne del Guatemala di cui parlavo.
Anche questo è un esempio che tende a consolidare la mia convinzione sull’importanza delle parole in fotografia e sul fatto che, dove necessario, queste siano sempre da associare all’immagine perchè possono contribuire molto al significato di un’opera.

La struttura è incentrata sulla pietra, posta centralmente nell’inquadratura ma non proprio perfettamente a mezza altezza, quasi come se la fotografa avesse deciso di lasciare lo spazio per permetterci di immaginare seduta sopra la figura del padre.
E’ una pietra dalla forma e colore strani. Appare come levigata nella sua parte centrale ed ha una struttura che ricorda molto quella delle bitte, gli oggetti un tempo in pietra ed oggi in metallo a cui si fissano le cime che ormeggiano le navi nei porti. 
Probabilmente, come per altre considerazioni che sto facendo, si tratta di una mia postproiezione, ma questa somiglianza con una bitta mi ha fatto immaginare che a questo oggetto la fotografa è invisibilmente legata. La pietra su cui si sedeva il babbo è un vecchio ormeggio sicuro che, nonostante la malinconia e gli anni, rimane nel tempo.

Sulla sinistra c’è la saracinesca chiusa, con i gradini che portano nel locale oggetto di tanti ricordi.
Gli scalini, ma anche il bandone stesso appaiono curati e puliti, come se si trattasse solo di una chiusura domenicale. Sul pavimento accanto sono invece presenti piccoli sassi e detriti, che sembrano rappresentare i segni di un lungo abbandono. Questo contrasto tra gli scalini ed il pavimento è un dettaglio che, se notato, colpisce divenendo un elemento in grado di trasmettere una particolare inquietudine.

Un altro aspetto di cui vorrei parlare è l’angolo di inquadratura.
La foto appare come scattata da una normale posizione in piedi. Non so se Claudia abbia realizzato solo questa foto o anche chissà quali altre da diverse angolazioni, ma questa è quella che abbiamo. La scena è ripresa da un’altezza che non è quella della bambina che era ai tempi del ristorante. Si sarebbe potuta abbassare, inginocchiare, ma ora è cresciuta, le cose vengono viste da un’altra prospettiva.
C’è un’adulta dietro la macchina fotografica, una persona che ricorda con amore e malinconia quegli anni ormai lontani ma lo fa con la consapevolezza di aver saputo andare avanti.

——

Vorrei invitare chi legge questo mio tentativo di analisi ad intervenire ed aggiunere il suo pensiero se lo desidera. Provare ad approfondire l’osservazione di questa foto non è stato un compito facile, sia per il tema, sia perchè non mi reputo particolarmente abile nel farlo.
Credo comunque che lo spirito di sfida e condivisione che mi spinge a far vivere questo blog non mi concedesse di sottrarmi alla proposta di Claudia e così è andata, anzi credo che mi presterò volentieri a proseguire in futuro con altre fotografie che i lettori vorranno sottoporre.

Ti piacerebbe vedere “fotodegustata” una tua foto ?
Bene, scrivi a pegaphotography@gmail.com allegando una tua fotografia o il link ad una immagine di tua produzione che vorresti essere pubblicata e analizzata qui.
La posterò volentieri con un mio tentativo di degustazione aperto ai contributi di chi vorrà partecipare con commenti ed osservazioni.

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