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Posts Tagged ‘gente’

Uno dei più grossi problemi quando si mettono davanti all’obiettivo persone non abituate a starci, è la posa. Imbarazzo ed incertezza sulla posizione o sulle espressioni da assumere, possono rappresentare un ostacolo insormontabile per molti soggetti, anche quelli con cui abbiamo una certa confidenza, come ad esempio i nostri amici. Come fare dunque per ottenere scatti interessanti di gente in posa?
Ecco un video con qualche dritta utile, cinque minuti di spunti che possono aiutare a “svoltare” in questo tipo di fotografia e magari iniziare a divertirsi con un genere che molti rifuggono proprio per le difficoltà di gestione delle persone ritratte.
Buona visione!
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Il selfie stick è ormai un oggetto emblematico, un vero e proprio simbolo: amato e odiato, venduto in ogni dove, usato in modo improprio ed in alcuni casi anche vietato. Oggi un selfie stick è ciò che basta per inventarsi qualcosa di diverso usando la banalità di un bastone.
Nel video sotto c’è un tipo ripreso mentre si aggira per Londra usando un suo stick decisamente extralarge. Confesso di averlo guardato più volte, rivedendolo alla ricerca delle espressioni e degli sguardi delle persone, così curiosamente stupite da un uomo con poco più di una canna telescopica in mano.
Magari sono solo io, ed in effetti non so spiegarlo bene, ma mettendo tutto insieme, compresi i dialoghi con i poliziotti, ho trovato questo video divertente ma anche un po’ inquietante.
(P.s. Non ti perdere quando lo infila nell’autobus 🙂 )
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Severity

Severity – © Copyright 2011 Pega

Lo dico subito: non sono un grande estimatore delle foto fatte di nascosto, dello scatto rubato, dell’istante che il fotografo ferma da lontano ad insaputa del soggetto.
Nonostante riconosca il fascino ed anche il valore di questo tipo di fotografia, non la trovo adatta al mio modo di fotografare e quindi solo di rado mi capita di provarci. Ciò non toglie che la foto candid rappresenti comunque un filone che ogni fotografo dovrebbe conoscere e, almeno una volta, approfondire, in special modo avvicinandosi a ciò che viene chiamato comunemente “street”.
Come non proporre quindi un assignment basato proprio su questo tema? Nel fine settimana prova ad affrontare la sfida: esci, appostati e scatta. Puoi nasconderti e catturare i tuoi personaggi da lontano con il teleobiettivo oppure optare di immergerti nell’ambiente con una focale corta e, per dirla con le parole di Steve McCurry, “provare a diventare invisibile”. A te la scelta.
Dopo, come al solito, puoi condividere le tue immagini inserendole in un commento qui sotto: mi farà molto piacere.

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Clicca qui per visualizzare l’elenco di tutti i Weekend Assignment precedentemente proposti.

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E’ uno degli aspetti più semplici ed intriganti della fotografia, qualcosa che la caratterizza in modo speciale differenziandola anche dalle tecnologie che poi ne sono derivate, come il cinema ed il video. E’ la capacità di poter congelare l’istante, quella frazione di secondo irripetibile ed unica che solo lo scatto fotografico sa catturare. Un momento “decisivo” di cui tanto si parla ma che non sempre siamo in grado di maneggiare proprio perché non sempre è facile stabilire quale sia questo istante.
Ecco un esempio creativo ma semplicissimo. Una possibilità che esiste da sempre e che in qualche modo tutti abbiamo già sperimentato.
Il fotografo Thailandese Benz Thanachart con il suo progetto “Surprised Reaction” è partito dal notare l’atmosfera di silenzioso distacco asociale che sempre più permea gli spazi pubblici. Spazi affollati ma pieni di soggetti che in realtà vivono isolati nel loro spazio privato fatto di cuffiette e smartphone; vicini fisicamente ma lontani gli uni dagli altri, ognuno concentrato su qualcosa di molto distante da ciò che assorbe l’attenzione di chi ha accanto.
E così Benz si è piazzato sulla metropolitana, ha scelto il momento giusto ed ha urlato una parola a caso, completamente scollegata alla situazione, fotografando l’istante esatto della reazione dei presenti con le loro espressioni così genuine, senza filtri. Un “decisive moment” perfettamente controllato dal fotografo, un istante di attenzione da parte di tutti che guardano all’unisono nell’obiettivo. Semplicissimo ma incredibilmente efficace ed interessante, specie se si vanno a studiare i dettagli degli sguardi e si prova a leggere che cosa è balenato nella mente delle persone immortalate.
Qui sotto uno dei tanti scatti che puoi trovare sul suo sito. In questo caso Thanachart ha urlato “Granturco!”

Benz Thanachart

© Copyright Benz Thanachart

🙂

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Mi sono accorto che tendo sempre più a fare attenzione a cosa dicono le persone quando sono consapevoli di essere fotografate, quando faccio dei ritratti o osservo altri fotografi mentre ne fanno.
E’ curioso notare quanto spesso le affermazioni si assomiglino ed in qualche modo ricadano in categorie ben precise. Ad esempio ricorrono spesso frasi sugli aspetti puramente estetici, quelli tecnici, quelli legati all’ambito del diritto sulle immagini che si stanno realizzando e non di rado si finisce col ricevere anche consigli artistici.
Ti è mai capitato di sentirti dire cose tipo “posso avere i file dele tue foto per metterle su facebook” o “che bella la tua macchina fotografica, è come quella di mio cugino” o addirittura “mi puoi togliere le rughe e modificare il naso con Photoshop”?
Ho iniziato ad elencarle queste frasi, divertendomi parecchio ed accorgendomi che ci sono quasi degli standard. Vuoi darmi una mano in questa ricerca dicendomi cosa ti dicono le persone che fotografi “mentre le fotografi”? Scrivilo in un commento che poi pubblicherò una bella lista completa.

Evidentemente comunque non sono il solo ad aver notato questo aspetto. Dai un’occhiata al video qui sotto, lo trovo fantastico ed esattamente sul tema di cui sto parlando.
(E’ in inglese ma credo che valga comunque la pena vederlo anche per chi non lo comprende, perchè in molti casi il senso di quello che viene detto si capisce benissimo!)  🙂
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Ieri si parlava di “comfort zone”, cioè di quell’ambito in cui a volte ci limitiamo ad agire per non spingerci verso situazioni in cui non ci troviamo a proprio agio, ma che potrebbero invece essere apprezzabili.
Una delle difficoltà che so di condividere con altri è quella di trovare un giusto modo per approcciare le persone per proporre di scattare dei ritratti.

Fare dei ritratti fotografici, sia per strada che in altri ambienti, è sicuramente interessante, probabilmente di gran lunga più soddisfacente (e direi anche più corretto) di limitarsi a rubare qualche immagine di soggetti inconsapevoli.

Il non farsi tanti problemi e sempicemente presentarsi chiedendo con gentilezza, è forse già sufficiente nella maggior parte dei casi… o no…

Rick Sammon la fa un po’ facile…. 🙂

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Lusetti Family -  Paul Strand

The Lusetti Family, Luzzara, Italy 1953 - Paul Strand - Copyright ©Aperture Foundation, Paul Strand Archive

Adoro questa foto. Paul Strand la scattò durante un suo periodo di permanenza in Italia.
Erano gli anni del dopoguerra e Strand stava lavorando con Cesare Zavattini ad un progetto che sarebbe diventato il libro “Un Paese”.
L’immagine è apparentemente semplice, ma fin dalla prima volta che l’ho vista mi è apparsa come un capolavoro di intensità e composizione, un ritratto fotografico straordinario anche per la storia che racconta.
La scena ritrae un gruppo di persone che stanno nei pressi di quella che si intuisce essere la loro casa.
Dalle condizioni dell’edificio e dai tanti particolari che si possono notare nell’aspetto e nell’abbigliamento, non è difficile dedurre che si tratta di persone povere. L’Italia usciva dall’abisso della seconda guerra mondiale e questa era una condizione molto comune in quel periodo.
Anche se aiutati dal titolo dell’opera, è intensa la sensazione che i cinque uomini ritratti siano fratelli e l’anziana donna la loro madre, figura molto forte accentuata dalla posizione quasi centrale nella composizione.
La matriarca è vestita in modo austero, è abbastanza immediato pensare che si tratti di una vedova. Sono passati già alcuni anni, ma la probabile perdita del marito durante la guerra è una tragedia che sembra quasi permeare il bianco e nero di questa immagine.
Accanto a lei quello che, almeno a me, appare come il maggiore dei fratelli, colui che in qualche modo ha preso il posto del padre nella vita della famiglia. E’ l’unico del gruppo ad essere messo di fianco, appoggiato allo stipite, la testa leggermente piegata in avanti, quasi ad esprimere impercettibilmente il peso delle responsabilità della sua posizione nella famiglia.
La composizione è magistrale.
Il modulo circolare raggiato della ruota della bicicletta è ripreso dall’elemento posto sopra la porta e da quello che probabilmente è un mobile con specchio semicircolare posto nello scuro della stanza all’interno.
Le teste delle persone si trovano tutte su livelli diversi ed i loro sguardi, non indirizzati all’obiettivo, danno vita a piccoli rivoli di curiosità nell’osservatore. Cosa starà guardando per esempio l’uomo in piedi all’estrema sinistra? E suo fratello seduto accanto che guarda deciso verso destra?

E’ facile farsi trasportare da una foto come questa ed appassionarsi, chiedersi com’era la vita di questi Italiani del primo dopoguerra; immaginare, guardandoli in questa foto, i caratteri e le relazioni tra questi fratelli.

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relativismo

Lo notò, quasi con la coda dell’occhio, passeggiare nella piazza. La sensazione di conoscere quell’uomo era forte ma non riusciva a ricordare. Osservò con attenzione.
Era un signore sui cinquantacinque, capelli bianchi e cappello… si aggirava guardandosi intorno ed ammirando le meraviglie del centro, come tanti altri turisti.
D’un tratto ricordò. Ma sì! Marco del liceo! Stessa sezione ma una o due classi avanti. Incredibile com’era diventato brutto, rugoso e vecchio. Incredibilmente vecchio.
Era comunque sicura che fosse lui, gli si avvicinò chiamandolo per nome… ma aggiungendo per prudenza un’inflessione interrogativa.
Giunta vicino si sorprese a provare quasi una sorta di disgusto nel notare come il tempo avesse alterato quello che nei suoi ricordi era un ragazzo fantastico, che decisamente le piaceva… ora le provocava una leggera repulsione.
“Ma certo lo sapevo che eri tu! Incredibile quanto tempo è passato eh… Ti ricordi, proprio qui ad Urbino una volta venimmo in gita con tutte le classi della nostra sezione. Fu bellissimo! Ma… tu ti ricordi di me?”
“Beh, signora… sinceramente… così sulle prime…. ma… ma lei… che materia insegnava?”

🙂

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