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Posts Tagged ‘regista’

Kubrick's chair
Sarà perché in un recente weekend assignment ti invitavo a fotografare sedie, oppure perché è ormai un bel pezzo che lavoro ad un mio progettino fotografico incentrato sull'”assenza”; forse invece sono i dettagli e l’atmosfera di questo scatto, il punto è che ogni tanto torno a guardare questa immagine.
È una fotografia realizzata nel 1986 da Mattew Modine, l’attore protagonista del film “Full Metal Jacket“, in cui interpretò il ruolo del fotogiornalista militare “Joker” in servizio durante la guerra del Vietnam.
Modine era egli stesso un appassionato di fotografia ed in una pausa delle riprese in esterna a Bassingbourn Barracks, immortalò la particolare sedia del regista Stanley Kubrick, scomparso poi nel 1999.
La sedia è dotata di capienti contenitori laterali che gli permettevano di avere sempre a portata di mano tutta la documentazione e i dettagli delle scene, è inoltre installata su una grossa pietra, probabilmente per ottenere una postazione ben stabile ed un po’ rialzata.
Non è difficile immaginarsi Kubrick seduto su questo scranno a dirigere quello che è poi risultato uno dei suoi più grandi capolavori.

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Kubrick's chair
Sarà perché è da un po’ che lavoro ad un mio progettino fotografico incentrato sull'”assenza” o forse per i dettagli e l’atmosfera di questo scatto, il punto è che sono rimasto affascinato da questa immagine.
È una fotografia realizzata nel 1986 da Mattew Modine, l’attore protagonista del film “Full Metal Jacket“, in cui interpretò il ruolo del fotogiornalista militare “Joker” in servizio durante la guerra del Vietnam.
Modine era egli stesso un appassionato di fotografia ed in una pausa delle riprese in esterna a Bassingbourn Barracks, immortalò la particolare sedia del regista Stanley Kubrick, scomparso poi nel 1999.
La sedia è dotata di capienti contenitori laterali che gli permettevano di avere sempre a portata di mano tutta la documentazione e i dettagli delle scene, è inoltre installata su una grossa pietra, probabilmente per ottenere una postazione ben stabile ed un po’ rialzata.
Non è difficile immaginarsi Kubrick seduto su questo scranno a dirigere quello che è poi risultato uno dei suoi più grandi capolavori.

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Carl Zeiss Planar 50mm f0,7

In vari post precedenti mi è capitato di parlare di Stanley Kubrick.
Anche in questo.
Ne parlo di nuovo perchè mi sono imbattuto nella foto di un mitico obiettivo che il grande regista utilizzò per realizzare alcune tra le più belle immagini della storia del cinema. Mi riferisco alle scene di un film straordinario che, nonostante la lunghezza, credo di aver visto una decina di volte: Barry Lyndon.

Barry LyndonPer poter girare gli interni con solo luci di candela, senza dover utilizzare illuminazione artificiale che secondo lui avrebbe distrutto l’atmosfera intima con cui voleva coinvolgere lo spettatore, Kubrick riuscì a mettere le mani su un’ottica davvero speciale: un obiettivo Carl Zeiss Planar da 50mm con apertura f/0.7 (!!) che la NASA aveva realizzato per le missioni lunari Apollo.
Questo “supercinquantino” fu adattato alla cinepresa ed utilizzato con grande maestria, sfruttandone le doti di incredibile luminosità e gestendo magistralmente la ridottissima profondità di campo data dalla enorme apertura.
Fu un lavoro complesso e di grande precisione che, con in suo leggendario perfezionismo, Kubrick richiese a tutto lo staff. A partire dai tecnici che modificarono la cinepresa e realizzarono per lui un meccanismo di messa a fuoco precisissimo, agli operatori ed anche agli attori, ai quali fu chiesto di fare moltissima attenzione alla posizione: un piccolo spostamento avrebbe in molti casi causato deleteri effetti di sfuocatura.
Il risultato è un capolavoro della cinematografia e sceneggiatura, che rimane tale per la capacità di coinvolgere emotivamente lo spettatore con immagini che hanno lasciato il segno, un livello forse mai più raggiunto.
Un po’ come quei passi sulla Luna, mai più ripercorsi, per i quali era stato originariamente realizzato il “cinquantino spaziale”.

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Dennis Hopper

© Dennis Hopper - Autoritratto

Sen’è andato ormai da qualche tempo, ma ogni volta che mi capita di rivederne le gesta non posso che ricordarlo con una particolare forma di affetto: è l’attore e regista americano Dennis Hopper.
In molti lo associano a mitici film come “Gioventù bruciata” con James Dean o “Easy rider” che interpretò e diresse. E’ stato un personaggio un po’ fuori dalle righe nella Hollywood dello scorso secolo ed è forse per questo che a me è sempre piaciuto.
Lo ricordo però anche per un’altra sua passione, che forse non tutti sanno, la fotografia.
Fu lo stesso James Dean a regalargli una macchina fotografica, quasi anticipando quel fantastico ruolo di fotografo un po’ folle che poi avrebbe avuto in Apocalypse Now. Da quel momento lo scattare foto nelle tante situazioni che gli capitavano accompagnò sempre Hopper, rivelandone un talento visuale tutt’altro che ordinario.

Paul Newman

Paul Newman -© Copyright Dennis Hopper

Non molto tempo fa mi ero imbatutto in una pubblicazione edita da Taschen (ma dal prezzo inarrivabile) dal titolo: “Dennis Hopper: Photographs 1961-1967” e fogliandola ne ero rimasto proprio ammirato.
Ho ritrovato sul web molti di quegli splendidi scatti in bianco e nero. E’ molto facile vederli come risultato di una ricerca con “Dennis Hopper photographer”. Sono foto ricche di fascino, ma lo stesso tempo grezze: ritratti intensi e particolari, come quello di Paul Newman qui accanto ed anche scene dai set hollywoodiani o dalle sale di registrazione, oltre a qualche autoritratto.
Con lo sbocciare della pop-art Hopper esplorò anche la pittura e la poesia, rivelando un discreto talento anche in questi campi e dimostrando quindi una grande ecletticità riconosciuta anche recentemente quando, negli scorsi mesi, era stato selezionato tra gli artisti partecipanti alla mostra inaugurale del MOCA (Museum of Contemporary Art) di Los Angeles.

Ciao Dennis.
Have an easy ride.

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Lusetti Family -  Paul Strand

The Lusetti Family, Luzzara, Italy 1953 - Paul Strand - Copyright ©Aperture Foundation, Paul Strand Archive

Adoro questa foto. Paul Strand la scattò durante un suo periodo di permanenza in Italia.
Erano gli anni del dopoguerra e Strand stava lavorando con Cesare Zavattini ad un progetto che sarebbe diventato il libro “Un Paese”.
L’immagine è apparentemente semplice, ma fin dalla prima volta che l’ho vista mi è apparsa come un capolavoro di intensità e composizione, un ritratto fotografico straordinario anche per la storia che racconta.
La scena ritrae un gruppo di persone che stanno nei pressi di quella che si intuisce essere la loro casa.
Dalle condizioni dell’edificio e dai tanti particolari che si possono notare nell’aspetto e nell’abbigliamento, non è difficile dedurre che si tratta di persone povere. L’Italia usciva dall’abisso della seconda guerra mondiale e questa era una condizione molto comune in quel periodo.
Anche se aiutati dal titolo dell’opera, è intensa la sensazione che i cinque uomini ritratti siano fratelli e l’anziana donna la loro madre, figura molto forte accentuata dalla posizione quasi centrale nella composizione.
La matriarca è vestita in modo austero, è abbastanza immediato pensare che si tratti di una vedova. Sono passati già alcuni anni, ma la probabile perdita del marito durante la guerra è una tragedia che sembra quasi permeare il bianco e nero di questa immagine.
Accanto a lei quello che, almeno a me, appare come il maggiore dei fratelli, colui che in qualche modo ha preso il posto del padre nella vita della famiglia. E’ l’unico del gruppo ad essere messo di fianco, appoggiato allo stipite, la testa leggermente piegata in avanti, quasi ad esprimere impercettibilmente il peso delle responsabilità della sua posizione nella famiglia.
La composizione è magistrale.
Il modulo circolare raggiato della ruota della bicicletta è ripreso dall’elemento posto sopra la porta e da quello che probabilmente è un mobile con specchio semicircolare posto nello scuro della stanza all’interno.
Le teste delle persone si trovano tutte su livelli diversi ed i loro sguardi, non indirizzati all’obiettivo, danno vita a piccoli rivoli di curiosità nell’osservatore. Cosa starà guardando per esempio l’uomo in piedi all’estrema sinistra? E suo fratello seduto accanto che guarda deciso verso destra?

E’ facile farsi trasportare da una foto come questa ed appassionarsi, chiedersi com’era la vita di questi Italiani del primo dopoguerra; immaginare, guardandoli in questa foto, i caratteri e le relazioni tra questi fratelli.

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