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Posts Tagged ‘analogico’

Ruota multiexp

Ruota – © Copyright 2012 Pega


Ai tempi della pellicola e delle fotocamere giocattolo, capitava spesso: ci si dimenticava di far avanzare il rullino e si facevano due (o più) esposizioni sullo stesso fotogramma. In genere il risultato era una foto sovraesposta, da buttare, ma a volte si poteva sfruttare questa idea per inventare immagini creative e giocare, anche con più esposizioni multiple.
Con il digitale questa tecnica è un po’ passata, forse perché molte fotocamere di oggi non la prevedono, o magari è la facilità della post produzione digitale che ha aperto tante altre possibilità.
Il fatto è che l’esposizione multipla, realizzata in fase di scatto o in post, rimane una forma espressiva potente, molto più interessante di quanto non si potrebbe pensare in prima battuta. E’ un terreno dove tecnica e creatività si possono incrociare con notevoli risultati ed io ti invito a provare qualcosa del genere proprio per questo weekend assignment; sappi che possono venire fuori cose davvero carine.
Dai provaci, specie se non hai mai sperimentato questo modo di fotografare che permette di sintetizzare in un’unica immagine, più istanti o situazioni diverse. Fai qualche esperimento in questo fine settimana, poi, come al solito, ti invito a condividere il tuo scatto in un commento, con il link alla tua immagine.

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Clicca qui per visualizzare l’elenco di tutti i Weekend Assignment precedentemente proposti.

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Camera oscuraEra il 1990 e due fratelli, Thomas e John Knoll, decisero di realizzare un programma per aiutare il padre fotografo nel suo lavoro in camera oscura. Nasceva così uno dei simboli dell’elaborazione digitale delle immagini: Adobe Photoshop.
Per commemorare un quarto di secolo di fotoritocco c’è chi ha voluto evocare le radici di questo prodotto, con i gesti che i fotografi “analogici” eseguivano in camera oscura e che il software non fece altro che emulare.
Nell’interessante video sotto, realizzato da Lynda.com, famoso sito di tutorial on line, si vede in che modo venivano abitualmente effettuate le azioni di mascheratura e bruciatura (dodge and burn in Photoshop) che l’operatore decideva di applicare in fase di stampa, ottenendo l’aumento di dinamica che rendeva così particolari gli scatti dei grandi fotografi.
Sono tecniche che gli stampatori professionali applicavano con maestria basandosi sull’esperienza ma anche sull’iterazione di prove e tentativi, metodi tutt’ora usati dai puristi della camera oscura e ben descritti nel famoso testo “The Print” di Ansel Adams, un punto di riferimento per tutta la questione.
E adesso, spegni la luce e… buona visione.
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Foto di gruppo by Livietta

Foto di gruppo – @ Copyright 2013 Livietta

Ebbene sì, mi trovo da tempo nel tunnel della Polaroid a strappo e devo metterti in guardia visto che più passano i mesi e più mi convinco che si tratti di una cosa pericolosa e da sconsigliare perché dà dipendenza 🙂
Il fatto è che con la Polaroid si entra di colpo in un universo parallelo. La fotografia istantanea è un po’ passato ma anche presente, forse anche futuro, il tutto arricchito dalla percezione che ogni foto è un pezzo unico, un po’ imprevedibile, di sicuro irripetibile.
Anche il costo vivo (circa 1,2€) di ogni scatto diviene un elemento del gioco, secondo me addirittura un valore aggiunto che, oltre a far meglio percepire il “peso” della foto che alla fine si ha in mano, porta il fotografo a valutare con maggior attenzione ogni click e lo costringe a fare considerazioni che con il digitale sono spesso ormai dimenticate.
Specie con il formato “peel apart”, in cui mi sono imbattuto, si tratta poi di fotografare su negativi di notevoli dimensioni. Il fotogramma del Pack 100 è infatti 3,25×4,25 pollici, non un grande formato a tutti gli effetti ma sicuramente una dimensione notevole rispetto ai sensori APC ed anche al 35mm. Questo si lega con il fascino classico ed immutabile della stampa a contatto che avviene proprio nelle nostre mani, quando si estrae la busta dalla fotocamera ed inizia il processo di sviluppo e stampa, seguito poi dalla gustosa operazione di separazione della fotografia finale dal suo negativo.
Ed è proprio in queste fasi, dopo l’esposizione, che ci si trova con in mano un mini laboratorio fotografico mobile. Qui il fotografo è ancora parte del processo, interagisce e può influire con le sue decisioni sui tempi di sviluppo o anche intervenire con un suo contributo creativo, alterando o addirittura stravolgendo il risultato finale. Mi riferisco, ad esempio, alla possibilità data dalla pellicola “peel apart”, di completare la stampa su un supporto diverso dalla sua carta, trasferendo l’immagine su cartoncino, legno o stoffa.
E non è tutto: anche il negativo è sfruttabile. Non è il caso di buttarlo come indicato nelle istruzioni, ci si può divertire a recuperarlo sciogliendo con la candeggina la patina nera che lo copre sul retro della busta.
Insomma: un piccolo universo di possibilità creative
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Digital film conceptI dorsi digitali non sono una novità. Già un decennio fa rappresentavano un promettente campo di sviluppo, poi il veloce successo delle fotocamere digitali li ha relegati ad un ambito specialistico di altissima fascia.
Eppure l’idea di rendere digitale qualunque macchina fotografica analogica non è per niente tramontata, ed anzi pare proprio che questo sia un progetto su cui lavorano in parecchi nel mondo.
Io aspetto con fiducia chi si deciderà a realizzare un dorso digitale universale, sarebbe un’occasione di rinascita per tante 35mm dimenticate nei cassetti ed anche un modo per riscoprire la qualità di alcuni gloriosi vecchi corpi macchina, che sovente non hanno nulla da invidiare alle fotocamere di ultima generazione.
Per il momento la questione rimane a livello di concept e, specie dopo la burla della RE35 risultata poi un fake, c’è sempre prudenza ogni volta che qualcuno si fa avanti con l’annuncio di un prodotto del genere.
So che un giorno o l’altro spunterà su Kickstarter un progetto degno di fiducia, ma per ora non resta che ammirare i vari prototipi che ogni tanto spuntano, come questo realizzato dagli studenti della coreana Hongik University.
Concept dorso digitale 35mm

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Fuji impianto produttivoHai qualche milioncino da parte e vuoi entrare nel business della fotografia analogica? Fujifilm ha messo in vendita un suo impianto di produzione di pellicole e carta per la stampa. E’ una fabbrica che si trova a Tilburg in Olanda. fu inaugurata nel 1982 ed impiegava quasi mille addetti, tanto che rappresentava uno dei più importanti siti produttivi di Fujifilm al di fuori del Giappone.
Dopo aver sfornato rotolini al ritmo di circa 200 milioni di pezzi all’anno, è stata chiusa nel 2006 ed ora messa in vendita. L’annuncio, completo di foto degli interni dello stabilimento, è visibile sul sito del servizio di aste industriali Troostwijk.
Per le offerte d’acquisto la data di scadenza è il 10 febbraio 2015 quindi, se intendi cogliere l’affare, non perdere tempo 🙂
Chissà se anche gli audaci di Impossible non ci stiano facendo un pensierino…

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Proprio in questi giorni ricorre l’anniversario della morte di James Dean, un’icona del novecento ormai un po’ dimenticata ma sempre affascinante. Questa sua famosa immagine fu realizzata nel 1955 in Times Square da Dennis Stock, fotografo personale di Dean e membro dell’agenzia Magnum.
L’attore cammina nella pioggia, sigaretta in bocca, i chiaroscuri della New York degli anni cinquanta sono espressi in modo magistrale con un bianco e nero stupendo, impreziosito dall’atmosfera nebbiosa. Una foto emblematica che è stata definita come “L’indimenticabile immagine di James Dean, curvo nel suo soprabito scuro, come quasi avesse il peso di una intera generazione sulle spalle.
Un grande scatto, un gran soggetto, composizione perfetta, atmosfera ideale… o forse… quasi.
Non tutti sanno, in particolare non lo sanno i tanti profeti del “Io la postproduzione mai“, che in realtà ben prima dell’avvento del digitale, tutti i grandi fotografi lavoravano insieme ad una figura che era in pratica la loro metà: lo stampatore.
Come nel caso che citavo in un vecchio post, anche qui la foto famosa beneficiò del lavoro di colui che spesso restava nell’ombra, in questo caso Pablo Inirio, uno dei più grandi maestri di camera oscura della storia della fotografia.
Ecco qui sotto il bozzetto con le istruzioni di stampa, un trattamento che adesso possiamo facilmente fare su Photoshop o deleghiamo agli automatismi elettronici della nostra fotocamera (quando scattiamo in jpg). Con la pellicola ci voleva gran manualità ed esperienza, così si lavorava prima dell’avvento del digitale. Un bel documento per chi spesso discute sul tema della postproduzione, che fa capire come la questione stia tutta nel gusto e nella misura, non nel principio o nella tecnica.
Pensaci la prossima volta che giudichi i tuoi scatti senza prima averli “processati”.

James Dean by Dennis Stock - Printing notations by Pablo Inirio

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sunny F16 ruleOggi che qualunque fotocamera è in grado di decidere autonomamente le migliori impostazioni per l’esposizione, è buffo ripensare a quando gli esposimetri erano cosa rara e costosa, tipicamente riservati ai professionisti o comunque solo a chi faceva fotografia “sul serio”.
Ma basta ricordare ciò che comunemente si usava fino a poco prima dell’avvento del digitale, per rendersi però conto che a quel tempo il calcolo della corretta esposizione stava tutto al fotografo.
Sembra anacronistico, ma credo che conoscere la “regola del nonno” possa essere molto utile anche oggi, quantomeno per sperimentare il terreno del “tutto manuale”, così affascinante ed intrigante anche per chi è nativo digitale.
Ebbene dunque, come si faceva? La regola era denominata “diaframma f/16 in pieno sole″ (o variazioni simili) ed in genere era puntualmente stampigliata all’interno della confezione del rullino fotografico. È una regola semplice, tranquillamente utilizzabile anche oggi e facilmente sintetizzata nell’immagine qui sopra.
Si parte sempre impostando un tempo “simile” al reciproco degli ISO (es: 1/125 se ISO 100; 1/200 se ISO 200; 1/400 se ISO 400, etc…) e poi si sceglie il diaframma di conseguenza. La regola dice che in pieno sole, con 1/125 ed ISO 100, il diaframma corretto è f/16. Un tempo la pellicola che normalmente si usava era quasi sempre ISO 100, da cui la regola mnemonica f/16 in pieno sole, appunto.
Partendo da questo riferimento basta ricordarsi che, se il sole è velato, l’esposizione corretta si ottiene con f/11, se un po’ nuvoloso f/8, se coperto di nuvole scure f/5,6.
In caso di ISO diversi basta cambiare il tempo. Se si desidera usare tempi diversi, ad esempio doppi, basta dimezzare tutti i diaframmi.
Naturalmente il tutto va preso con un po’ di elasticità e la regola costringe il fotografo non solo a fare delle stime, ma anche ad applicare un suo criterio soggettivo: tutt’altra cosa rispetto alla fredda dipendenza dagli automatismi dell’elettronica.
Ecco fatto, ora conosci la regola del nonno. Che ne dici adesso di uscire e, per oggi, fare solo foto (va benissimo anche la tua digitale) esclusivamente seguendo questa regola?
🙂

Kodacolor Vr100

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Acc... By Pega

Acc… – © Copyright 2009, Pega

In molti mi accusano di essere un integralista del digitale.
Ebbene sì confermo le mie convinzioni: la fotografia quantistica non permette più ciò che prima si faceva così bene in digitale. Il digitale, con le sue pixelature ed il fascino del rumore agli alti ISO è stata la vetta più alta toccata dalla Fotografia e rimane insuperabile, non c’è confronto con il freddo e sterile dettaglio microscopico delle immagini a neutroni.
È vero, le nuove tecnologie hanno espanso molto le possibilità, dato strumenti prima impensabili ed ampliato il numero di esseri viventi che oggi possono fare fotografie, ma io sono affezionato al digitale. Credo che le vecchie tecniche di postproduzione con Photoshop e il fascino vintage dell’HDR, rappresentino a tutt’oggi livelli mai più raggiunti.
Ora chiunque può realizzare fotografie così tecnicamente perfette da poter essere confuse con la realtà, e tutto questo senza alcun bisogno di doverle correggere in Lightroom. Oggi si possono condividere le immagini proiettandole nel cervello dei propri amici senza tutta quella vecchia ma sana faticaccia di postarle su Flickr o Facebook.
Che nostalgia…

😀 😀 😀

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MagicubeSe non li ricordi meglio per te, vuol dire che sei ancora abbastanza giovane 🙂
I cubi flash furono introdotti negli anni settanta e rappresentarono una vera innovazione. Prima si dovevano inserire lampadine al magnesio direttamente sui contatti del flash: una lampadina per ogni foto. Erano delicate ed avevano continui problemi elettrici che causavano cilecche e scatti rovinati: una vera noia. Con il cubo tutto divenne più semplice: conteneva quattro lampadine con relativo riflettore e si inseriva in un apposito alloggiamento sulla fotocamera. Dopo ogni foto ruotava per presentare la nuova lampadina pronta per l’esposizione successiva. Quattro foto senza pensieri, poi il cubo si buttava e ce ne voleva un altro. Anche se un po’ costosi, per quei tempi erano una meraviglia.
Ma la vera rivoluzione commerciale furono i Magicube, che funzionavano senza contatti elettrici grazie ad un comando meccanico che innescava un piccolo fulminante contenuto nel cubo stesso. Erano contrassegnati da una X e divennero lo standard per nuove fotocamere popolari più semplici ed economiche, non dotate di batteria e circuiti elettrici.
In quegli anni è così che si andava ad una festa: la Kodak Instamatic e tre cubi flash. Dodici scatti da centellinare.
I Magicube sono ormai un ricordo, la produzione è più o meno cessata verso la fine degli anni ottanta, anche se non è impossibile trovarne ancora qualcuno.
Se un giorno te ne dovesse capitare un esemplare tra le mani, trova una vecchia macchinetta in grado di scattare con questi flash e non perderti l’emozione antica di un bel lampo al magnesio.

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New Classic Mini 90 Instax FujifilmLa Instax Mini 90 Neo Classic è la nuova creatura di Fujifilm, una piccola fotocamera analogica istantanea che il marchio giapponese lancia sul mercato ad inseguire una nicchia, sempre più rilevante: i fotografi nostalgici.
Il suo look è decisamente retrò, con dettagli che ricordano apertamente le fotocamere di un po’ di tempo fa.
Come le ben più colorate e coccolose sorelle della serie Instax, la Mini 90 produce piccole istantanee della dimensione di un biglietto da visita, ma insieme al suo stile vintage porta anche alcune funzioni che strizzano l’occhio ai fotografi un po’ più esigenti, tra cui la doppia esposizione e la modalità “bulb”.
Per me non c’è dubbio: in questi tempi di digitale usa e getta, il retrò avanza e si fa strada. Eccome.
E per la Fotografia non è per niente un male.

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