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Posts Tagged ‘pellicola’

Roberto è un lettore del blog oltre che scienziato, genio, inventore e sopratutto mio caro amico.
Mi scrive mandandomi un piccolo insieme di ricordi dei tempi della pellicola e di una macchina fotografica che “abitava” nel bauletto della sua vespa.
Ed io che faccio? Lo pubblico!
Grazie Bob!

La pellicola
Uno spot della Apple oggi recita…”La migliore macchina fotografica è quella che hai con te” e io giravo sempre con la mia fidata Canon AE1 Program, anche se era decisamente più ingombrante di un iPhone.
L’obiettivo che avevo sempre sulla macchina era un 50mm f 1:1.8 ma da appassionato di tele non potevo fare a meno del 135mm/2.8. Spesso era caricata con una Ilford HP5 che sviluppavo e stampavo rigorosamente da solo. Macchina e obiettivi trovavano sempre posto nel bauletto della mia Vespa P125X pronti per catturare una nuova emozione.

Bob

Roberto ai tempi della pellicola

Il corpo macchina era evolutissimo perché aveva il “Programma”, roba fantastica per il 1984, ma a quei tempi avevo tutto il tempo per fare uno scatto e usavo sempre la “M” con l’esposimetro che mi diceva tutto quello che serviva…ammesso che lo avessi regolato sugli ASA giusti. Quanti di voi hanno scattato 36 foto con l’esposimetro impostato su 400 per accorgersi poi che dentro c’era un 100? E come ti raccomandavi con il fotografo che lo doveva sviluppare “…si ricordi che l’ho tirata a 400!!” e lui con quello sguardo verso il basso a sopracciglia inarcate annuendo diceva”…si, si, ma non ti lamentare se ti vengono velate…”.
Pensare che la AE1 Program non aveva neanche quella utilissima finestrella sul dorso per vedere che rotolino c’era dentro. Magari la usavi dopo un po’ di giorni con qualche foto già scattata e non sapevi se era da 24 o 36. Ma quando arrivavi al fotogramma 37 ti veniva un atroce sospetto…al 39 ne avevi la certezza e cominciavi già a ripercorrere con la mente quali foto ti eri perso perché il rotolino non si era agganciato. Eh già, ora tutti direte che bastava guardare la manovellina di riavvolgimento mentre la ricaricavi (a mano ovviamente), ma gli occhi incredibilmente erano già passati dal mirino ad un altro soggetto.
Poi, passata la foga per ingranditore e bacinelle, si passa alle Dia! E quali se non le Kodachrome 64 ASA?
La macchina fotografica intanto era cambiata e avevo una più evoluta Contax 167 MT con obiettivo rigorosamente Carl Zeiss T* Vario-Sonnar 28-70/3.5-4.5. Qui il motore incorporato ed il sensore DX ti evitavano errori di caricamento e sovraesposizione. L’obiettivo era fatto di vetro e si sentiva bene, ma lo spettacolo che ti dava proiettare una diapositiva da 64 ASA, ripagava il mal di collo.
La Kodachrome la compravi con lo sviluppo che facevano solo in Germania e potevi scegliere se farla intelaiare dalla Kodak o farlo te a mano. La leggenda metropolitana del rotolino tutto intelaiato a metà fotogramma mi spinse ad optare l’acquisto dei primi rotolini per il solo sviluppo ma dopo i primi 3 capii che potevo correre il rischio, non avrei mai più passato 2 serate piene per l’intelaiatura a mano.
Che ansia aspettare il ritorno delle dia dopo un viaggio dall’altro capo del mondo. La paura di sbagliare esposizione a volte ti faceva usare il bracketing anche con lo scatto più banale, per poi scoprire che la dinamica di quella indimenticabile pellicola te ne aveva fatte fare 3 bene.
Questi ricordi che affiorano quando si apre un cassetto pieno di negative, sono la nostra storia, la nostra cultura, siamo noi.
Roberto

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sunny F16 ruleOggi che qualunque fotocamera è in grado di decidere autonomamente le migliori impostazioni per l’esposizione, è buffo ripensare a quando gli esposimetri erano cosa rara e costosa, tipicamente riservati ai professionisti o comunque solo a chi faceva fotografia “sul serio”.
Ma basta ricordare ciò che comunemente si usava fino a poco prima dell’avvento del digitale, per rendersi però conto che a quel tempo il calcolo della corretta esposizione stava tutto al fotografo.
Sembra anacronistico, ma credo che conoscere la “regola del nonno” possa essere molto utile anche oggi, quantomeno per sperimentare il terreno del “tutto manuale”, così affascinante ed intrigante anche per chi è nativo digitale.
Ebbene dunque, come si faceva? La regola era denominata “diaframma f/16 in pieno sole″ (o variazioni simili) ed in genere era puntualmente stampigliata all’interno della confezione del rullino fotografico. È una regola semplice, tranquillamente utilizzabile anche oggi e facilmente sintetizzata nell’immagine qui sopra.
Si parte sempre impostando un tempo “simile” al reciproco degli ISO (es: 1/125 se ISO 100; 1/200 se ISO 200; 1/400 se ISO 400, etc…) e poi si sceglie il diaframma di conseguenza. La regola dice che in pieno sole, con 1/125 ed ISO 100, il diaframma corretto è f/16. Un tempo la pellicola che normalmente si usava era quasi sempre ISO 100, da cui la regola mnemonica f/16 in pieno sole, appunto.
Partendo da questo riferimento basta ricordarsi che, se il sole è velato, l’esposizione corretta si ottiene con f/11, se un po’ nuvoloso f/8, se coperto di nuvole scure f/5,6.
In caso di ISO diversi basta cambiare il tempo. Se si desidera usare tempi diversi, ad esempio doppi, basta dimezzare tutti i diaframmi.
Naturalmente il tutto va preso con un po’ di elasticità e la regola costringe il fotografo non solo a fare delle stime, ma anche ad applicare un suo criterio soggettivo: tutt’altra cosa rispetto alla fredda dipendenza dagli automatismi dell’elettronica.
Ecco fatto, ora conosci la regola del nonno. Che ne dici adesso di uscire e, per oggi, fare solo foto (va benissimo anche la tua digitale) esclusivamente seguendo questa regola?
🙂

Kodacolor Vr100

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New Classic Mini 90 Instax FujifilmLa Instax Mini 90 Neo Classic è la nuova creatura di Fujifilm, una piccola fotocamera analogica istantanea che il marchio giapponese lancia sul mercato ad inseguire una nicchia, sempre più rilevante: i fotografi nostalgici.
Il suo look è decisamente retrò, con dettagli che ricordano apertamente le fotocamere di un po’ di tempo fa.
Come le ben più colorate e coccolose sorelle della serie Instax, la Mini 90 produce piccole istantanee della dimensione di un biglietto da visita, ma insieme al suo stile vintage porta anche alcune funzioni che strizzano l’occhio ai fotografi un po’ più esigenti, tra cui la doppia esposizione e la modalità “bulb”.
Per me non c’è dubbio: in questi tempi di digitale usa e getta, il retrò avanza e si fa strada. Eccome.
E per la Fotografia non è per niente un male.

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A true classicLa stagione è finalmente quella giusta e così rieccoci all’appuntamento con una serata totalmente dedicata alla pellicola.
Sì, sì. L’idea è quella di trovarsi con quelle scatolette in cui si mette il rotolino e che fino a qualche tempo fa erano il normale strumento con cui si realizzavano le fotografie.
Se non hai una fotocamera a pellicola puoi fartela prestare o magari acquistarne una usa e getta per l’occasione, poco importa.
Seguendo la proposta dell’amico Martino, ci trovermo Mercoledì 10 Luglio per una passeggiata fotografica analogica nel centro di Firenze con la luce del tramonto e della prima serata.
Come i precedenti, si tratta di un incontro aperto a tutti ma prevalentemente dedicato a chi si presenterà munito di fotocamera a pellicola e voglia, anche soltanto per una sera, di lasciare da parte il digitale e catturare immagini analogiche.
L’appuntamento è per le 19 sul ponte S.Trinita.

Da lì ci muoveremo guidati dal nostro innato istinto analogico, che ci porterà a vagare per scorci ameni e concludere la serata quando la luce mancherà e la fame ci chiamerà, tutti insieme, verso una frugale e finale piadina.

Che ne dici?
Vieni, sarà divertente!

p.s. Ringrazio chi vorrà confermare la propria partecipazione in un commento a questo post o scrivendo a pegaphotography@gmail.com

p.p.s Sei lontano da Firenze e ti è davvero difficile partecipare? Prova a chiamare i tuoi amici appassionati di fotografia ed organizzare la stessa cosa nella tua città. Faccelo sapere che poi ci scambiamo le foto! 🙂

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Pinhole flickerians

Pinholed Flickerians – © Copyright 2013 Pega

Ed eccolo qua il primo scatto riuscito con la “Pinola”, la rossa fotocamera a foro stenopeico che ho realizzato alcune settimane orsono.
I bei tipi, immortalati con questa esposizione durata qualche decina di secondi, sono quattro amici fotografi flickeriani fiorentini incontrati una sera poco prima dell’imbrunire. Sono molto contento che siano proprio loro i protagonisti di quello che è in assoluto il primo fotogramma decente uscito da questa essenziale e basica fotocamera senza lenti autocostruita.
Ad oggi ho scattato un paio di rullini 120, distruggendo buona parte del primo tra scatti sovrapposti ed una precoce apertura della macchinetta dovuta all’avvolgimento della pellicola che sembrava inceppato. Il secondo è andato meglio, specie con alcune foto in interni.
Usare la Pinola richiede solo un po’ di attenzione. Innanzitutto bisogna sempre ricordarsi di far avanzare la pellicola (sembra banale ma me ne sono dimenticato più volte 🙂 ), poi non ci vuole troppa luce altrimenti i tempi di esposizione risultano eccessivamente brevi per poter essere rispettati con l’otturatore “manuale”, inoltre l’inquadratura va stimata bene ma “a occhio” visto che non c’è mirino.
Alla fine comunque non è difficile, basta stare attenti a come piazzarla tenendo conto del notevole effetto grandangolare e calcolare precisamente i tempi aiutandosi con un esposimetro.
Prossimi passi e perfezionamenti del progetto prima di procedere con altri rullini: allargare il buco frontale vista la vignettatura presente, sistemare un problema di avvolgimento della pellicola ed infine provare a migliorare il foro stenopeico perchè, come si vede, la nitidezza non è un granché…
🙂

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PinolaEccola qua la Pinola. Aggiunti i perni per gestire il rotolino, realizzato un semplicissimo otturatore pivotante e verniciato di nero l’interno, la macchinetta stenopeica è pronta. È compatta, rossa fiammante e leggerissima 🙂
A seguito di alcune valutazioni e consigli, ho deciso di lasciar perdere il 35mm e scegliere i vantaggi di un formato più grande: il 6×6. La pellicola 120 permette infatti, oltre ad una maggiore superficie impressionabile, anche una costruzione più semplice con meno complicazioni.
Adesso non resta che provarla. Se verranno fuori foto in cui distinguere qualcosa non mancherò di pubblicarle.

E tu hai iniziato la tua stenopeica-fai-da-te?

P.S. Continua qui.

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dirkonNiente sensore, niente elettronica, niente parti meccaniche, niente ottica… costo praticamente zero.
Basta un po’ di carta ed una discreta dose di pazienza: la Dirkon è davvero una fotocamera alla portata di tutti.
Nata alla fine degli anni ’70 sulle pagine di una rivista dell’allora Cecoslovacchia, è una macchina fotografica stenopeica fai-da-te realizzabile interamente in cartoncino.
Puoi stampare il progetto che vedi qui sotto, ritagliare le parti, incollarle ed avrai una fotocamera pinhole utilizzabile con pellicola 35mm. Una vera sfida che potrebbe essere anche lo spunto per un evento in cui trovarci tra appassionati e provare a realizzarne una a testa per vedere come ce la caviamo.

Dirkon progetto

Puoi trovare altre informazioni ed istruzioni per la realizzazione sul sito www.pinhole.cz
La Dirkon non è l’unica fotocamera stenopeica in cartoncino. Una sua “concorrente” è la Rubicon, leggermente più complessa e sofisticata, probabilmente più efficace, che puoi assemblare partendo da un PDF con piani ed istruzioni, scaricabile gratuitamente qui.
Buon divertimento!

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ilford disposable

Non ci sono dubbi: la pellicola non è morta, anzi è viva e vegeta. Lo provano le tante iniziative che rifioriscono attorno a questa tecnologia fino a poco tempo fa data per spacciata, ma che negli ultimi tempi manifesta segni di grande vitalità. Lo dimostrano il successo di imprese come Impossible Project o la recente contesa di alcuni brevetti Kodak da parte di Apple e Google.
Un altro esempio di questa tendenza è anche il lancio sul mercato di prodotti che a modo loro sono innovativi, come queste due macchine fotografiche “usa e getta bianco e nero” create da Ilford attorno a pellicole di qualità come HP5 e XP2. Una scommessa che la dice lunga su quelle che sono le prospettive che alcuni produttori intravedono ancora in questo settore.
agfa optimaChe Ilford abbia successo o meno credo che non si possa che rallegrarsi di fronte a questo fenomeno che dimostra come la fotografia sia sempre fonte di sfide e rielaborazioni interessanti.
Quel che è sicuro è che non sembra all’orizzonte la scomparsa della pellicola, un supporto che resiste nonostante tutto, continuando ad affascinare vecchi e nuovi appassionati.
Ed io allora che faccio?
Ma certo: un investimento natalizio.
Ecco qui a fianco un mio nuovo gioiellino analogico arrivato oggi: una fiammante Agfa Optima del 1960 acquistata su Ebay alla roboante cifra di 3 sterline e mezzo.
🙂

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Sarà perché è estate, fa un po’ caldo e si tende a volersi alleggerire, il fatto è che in questi giorni ho una lieve tendenza minimalista, anche per ciò che riguarda la fotografia.
Oggi però non mi riferisco alle immagini che realizziamo, già lo feci in un vecchio post, ora voglio solo fare una breve riflessione sull’attrezzatura.
La fotografia è un’attività strettamente connessa con l’attrezzatura. Non ci sono dubbi: a parte situazioni davvero particolari “senza fotocamera è impossibile realizzare delle fotografie” ed avere quindi con sè questo oggetto è condizione necessaria per poter fotografare. Ma ci sono momenti in cui l’attrezzatura diviene al tempo stesso necessità ed ostacolo. La tecnica con le relative scelte e decisioni che ci chiede, frena ed imbriglia la nostra creatività, limitando il nostro raggio di azione.
E allora perché ogni tanto non fare una scelta minimalista semplificando al massimo l’attrezzatura per focalizzarsi solo sulle immagini ed i messaggi?
L’esempio più classico di questo passo, che a seconda dei punti di vista può essere considerato in avanti o indietro, è l’uso di una vecchia fotocamera analogica economica a focale fissa.
Scegliendo di andare a far foto con un’attrezzatura di questo tipo ci liberiamo, oltre che dal peso, anche da un sacco di decisioni che qualche volta rischiano di assorbire parte delle nostre energie creative. La focale fissa e le poche o assenti regolazioni ci permetteranno di concentrarci sul vero soggetto della fotografia. Il suo scarso valore ci libererà dalla preoccupazione di perderla o farcela sottrarre, la fotografia su pellicola limiterà in modo naturale il numero di scatti ed azzererà il tempo speso in scelte di postproduzione.
Quasi sempre “meno è di più” ed in genere anche “meglio”.
Ogni tanto vale la pena di ricordarcelo.
🙂

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Blow up - Michelangelo Antonioni

Di recente è passato in TV un film che avevo visto parecchi anni fa, trovandolo al tempo non molto interessante e forse un po’ “vecchio”…
Blow-Up è una famosa pellicola girata da Michelangelo Antonioni nel 1966 in cui il protagonista, un fotografo di moda interpretato da David Hemmings, scatta per caso delle foto ad una coppia in un parco, accorgendosi poi di un dettaglio misterioso osservando gli ingrandimenti. La storia si sviluppa in un intreccio a tratti inquietante, con il taglio tipico, vagamente psichedelico, del cinema di quegli anni.
Riguardandolo con un occhio un po’ più attento, da fotografo diciamo, ho trovato molti aspetti degni di nota, a partire dal personaggio centrale, evidentemente ispirato ai famosi fotografi fashion degli anni sessanta come Brian Duffy o David Bailey, ma anche i particolari delle tecniche ed attrezzature usate.
Nella storia del cinema ci sono molti film dove la fotografia riveste un ruolo importante, quando capita mi piace molto scoprirli o riscoprirli, rivedendoli con curiosità e a tal proposito voglio dire che mi farà molto piacere se vorrai segnalarmi qualche pellicola degna di essere riscoperta sotto questa luce.
Nel frattempo ti propongo un breve video tratto da Blow-up, in cui si sviluppa un momento di forte “connessione” tra fotografo e modella. Una scena molto famosa che al tempo fu bollata come “troppo esplicita” 🙂
Buona visione.

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