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Guitar 2 by PPP

Guitar 2 – © Copyright 2008 Pega

Nel film “Chi non salta bianco è” del 1992 ad un certo punto il protagonista mette una cassetta nello stereo della macchina ed alza il volume di un pezzo rock.
“Hey! Che roba è?” chiede l’amico afroamericano dal sedile posteriore.
“È Jimi Hendrix”
“No, lo so chi è, ma perchè tu metti Jimi?”
“Mi piace ascoltarlo”
“Oh, ti piace ascoltarlo. Ecco, è qui che sta il problema. Voi lo ascoltate”
“Che cosa dovrei fare? Mangiarlo?”
“No, no. Dovresti provare a sentirlo” insiste il passeggero.
“Ma sei scemo? Ti ho appena detto che mi piace ascoltarlo!”
“Lo so, ma c’è una bella differenza tra sentire ed ascoltare. Voi bianchi non lo potete sentire Jimi. Voi lo potete soltanto ascoltare“.

Mi capita spesso di pensare a quanto la stessa “sottile” differenza possa esistere anche in fotografia e quanto sia frequente rischiare di limitarsi a guardare un’immagine senza però vederla.
Ovvio, come per la musica, non è una questione di etnia ma di atteggiamento.
Con certe fotografie è solo provando ad entrarci in sintonia, “cambiando pelle”, immedesimandosi con il fotografo ed il suo soggetto che si può andare oltre ed iniziare a vederle davvero, arrivando magari fino a sentirle.
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La fotografia non è forse un’arte perenne ma non si può nemmeno considerare un’arte temporanea: si fa una foto ed essa rimane. Una fotografia può tranquillamente sopravvivere al suo creatore ed esistere per un lunghissimo periodo, forse per sempre, specie adesso che siamo nell’era digitale.
Le arti temporanee sono invece quelle forme espressive dove le opere sono, per definizione, di breve o brevissima durata, momentanee, fruibili solo all’istante oppure per poco o pochissimo tempo, temporanee appunto.

Marilyn by Craig Alan

Marylin – Copyright Craig Alan

Sono arti temporanee la musica dal vivo o il teatro, ma ci sono anche moltissime altre forme d’arte di questo tipo, come ad esempio quella sperimentata da Craig Alan, artista californiano che realizza enormi ritratti di celebrità usando centinaia di comparse. Sono opere di grandi dimensioni, fruibili solo da una certa distanza e soprattutto… solo per brevi momenti.
È qui che può entrare in gioco la fotografia, una seconda forma espressiva che si aggancia alla prima, modificandola e rendendola forse una cosa diversa, ma anche fruibile a molte più persone. È un caso in cui due arti si intersecano, formando una sorta di simbiosi.
E tu hai mai provato a fotografare un’arte temporanea? Vuoi un suggerimento? Ce n’è una meravigliosa che abbiamo tutti i giorni davanti agli occhi. Un’arte che ha il grande pregio di permettere ai suoi artisti di produrre un flusso di opere senza la preoccupazione che queste si accumulino senza limiti.
Quest’arte è la cucina! 🙂
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(Burp)

Cena Ominide

Cena per Ominide (RIP) – © Copyright 2013, Pega

p.s. Ciao Ominide!

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In attesa del suo titolo

In attesa del suo titolo – © Copyright 2017, Pega

Una foto senza titolo è come una frase incompleta, può avere senso ma anche no. A qualcuno può trasmettere moltissimo, lasciando spazio alle sue proiezioni, mentre altri potrebbero esserne ingannati ed attribuirle un significato lontano da quello concepito in origine dall’autore.
Non è mia intenzione togliere valore alle foto senza titolo, ho il massimo rispetto per chi afferma che le immagini ben riuscite non devono aver bisogno di parole ed adoro quei rari scatti “assoluti” che comunicano in modo perfetto ed universale senza bisogno di nient’altro. La mia personale opinione però è che foto e parole siano un connubio meraviglioso, un po’ come succede con la musica.
Di questo tema mi è capitato di scrivere più volte, come in questo vecchio post, ma oggi voglio proporti un esperimento, una sorta di esercizio se vuoi, qui sul blog.
Inizio io, proponendoti una mia foto a cui, ancora, non ho saputo dare un titolo. E’ un’immagine che attende di essere completata da una o più parole, quelle che che rappresenteranno “il suo titolo”
Un po’ come quando un musicista sottopone la sua idea ad un paroliere (ed a volte ne viene fuori qualcosa di bello a quattro mani) oggi sono a chiederti un contributo: prova a proporre un titolo.
Non dobbiamo per forza fare un capolavoro, è solo un esercizio. Poi magari mi proponi qualcosa di tuo e sarà il mio turno.
🙂

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Large format camera by Imre Becsi

Copyright Imre Becsi

Imre Becsi è un fotografo e cineasta Ungherese che costruisce fotocamere assemblandole con parti eterogenee.
Imre recupera pezzi di varia natura, non solo di origine fotografica e li monta con sapienza per farne oggetti affascinanti, vere e proprie creature a metà tra il classico e lo steampunk che trovo originali e molto belle.
Homemade pinhole camera by Imre BecsiAlcune di queste macchine fotografiche sono studiate per il grande formato, con tanto di slitte per il basculaggio, ottiche ed otturatori di alta qualità, ma c’è anche posto per oggetti più semplici come le fotocamere stenopeiche.
Ne è un esempio il gioiellino qui a fianco: una fotocamera pinhole basata su un portavaso in legno made in IKEA a cui Becsi ha aggiunto un dorso modulare, paraluce, un mirino Mamiya ed altri componenti autocostruiti.
Il risultato è un pezzo unico, una macchina da 85mm con un foro stenopeico da 0.35 ed un diaframma risultante di f/243 che usata con pellicola in bianco e nero produce immagini decisamente ricche di fascino, come quelle che puoi trovare in questo set di Imre.
Io mi sono ispirato un po’ anche a lui quando ho costruito la mia amata Pinloaroid, ma i risultati non sono paragonabili.
😀

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Oggi voglio riproporti alcune considerazioni di Jay Maisel, leggenda vivente della Fotografia e vincitore di un’infinità di riconoscimenti:

“Ci sono solo due tipi di fotografie:
quelle che scatti a ciò che che vedi per poterlo condividere,
e quelle che fai per tenerle solo per te”

Se si accetta questa classificazione, si realizza che nel primo caso tutto ruota intorno al soggetto, all’importanza che il fotografo gli assegna ed alle sensazioni che questi confida possano nascere nell’osservatore. C’entrano poco tecnica ed attrezzature, le emozioni dominano.
Nel secondo caso lo scenario cambia, o meglio può cambiare. Le fotografie che scattiamo solo per noi possono contenere anche elementi diversi. In effetti, se la destinazione è solo personale, si è liberi di andare alla ricerca di aspetti particolari che sappiamo potrebbero non avere senso per altri. Cose che non vogliamo o possiamo condividere e che sentiamo non destinate ad essere fruite o capite da osservatori terzi.
E le tue foto? Quanto ricadono nell’una o l’altra categoria?
Comunque sia, eccoti uno splendido breve documentario su Jay Maisel. Gustatelo, sono sette minuti ben spesi.
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Kubrick simmetry
Dato che sono un fan sfegatato di Stanley Kubrick e lo considero il più grande maestro del cinema, sono convinto che rimarrò di questa opinione per un bel po’. Forse ho questa idea perché Kubrick non è stato solo un grande regista; prima di dedicarsi al grande schermo, lavorò a lungo come fotografo e quando passò a dedicarsi ai film, portò con sé tutto lo stile costruito in anni da inviato per la famosa rivista “Look”.
C’è qualcosa che lega tutte le opere cinematografiche di Kubrick: è la perfezione delle inquadrature. Il suo lavoro è caratterizzato da una ricerca costante e profonda, che lo portò a livelli di attenzione al dettaglio definibili come maniacali. In particolare questa attenzione si concentrava sulla composizione prospettica che, specie nelle scene più intense e drammatiche dei suoi film, risulta rigorosamente simmetrica.
Tempo fa ho trovato un video molto interessante a questo proposito ed oggi te lo ripropongo. È un montaggio che evidenzia in modo efficace questa caratteristica comune a molte scene dei film di Stanley Kubrick.
Insomma: dal labirinto di “Shining” ai wc di “Full metal jacket”, passando per i corridoi dell’astronave di “2001 odissea nello spazio”, è evidente quanto la ricerca di prospettiva e simmetria compositiva fossero importanti per questo grande regista, i cui film tuttora ipnotizzano lo spettatore con un gusto fotografico che rimane difficile da eguagliare.
Buona visione e… Al diavolo la regola dei terzi!
🙂 🙂 🙂
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Maternal Line

Maternal Line by Justine Varga

Alcuni giorni fa, un concorso australiano di ritratto fotografico ha assegnato un premio di ventimila dollari ad una foto fatta di graffi e sputo.
Non sto scherzando: il 2017 Olive Cotton Award è andato alla foto che vedi sopra, intitolata “Maternal Line”, di Justine Varga che l’ha realizzata facendo scarabocchiare sua nonna su un negativo 4×5 e chiedendole poi di sputarci sopra per lasciare tracce di saliva.
E’ un curioso caso di opera non fotografica che vince un concorso fotografico. Tu cosa ne pensi?
Prima che tu esprima un giudizio, ti invito a leggere lo “statement d’artista” dell’autrice, qualora possa aiutarti a formare una tua opinione.

“One day, not so long ago, I came upon my maternal grandmother hunched over a table, vigorously testing a series of pens by scribbling with each of them in turn on a piece of paper. Captivated by this busy repetition of gestures, so reminiscent of her character, I asked her to continue her task, but on a piece of 4 x 5 inch negative film. Having left these traces of her hand on this light-sensitive surface, she also, at my request, rubbed some of her saliva on the film, doubling her bodily inscription there. I then processed the film and printed it at large scale. A collaboration across generations, with her born in Hungary and me in Australia, the resulting image looks abstract but couldn’t be more realist; no perspectival artifice mediates her portrayal of herself or our genetic link, with both now manifested in the form of a photograph.”

Per me è un “No comment”.

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Pursuit

Pursuit by Mike OlbinskyBeh, io sono fissato con i time lapse ma ho anche una passione particolare per i fenomeni meteorologici, un interesse che va oltre la questione fotografica.
Per questo, quando mi trovo davanti qualcosa come Pursuit, rimango incantato, stacco tutto e non posso fare a meno di dedicarmi ad ammirare, poi condividere.
Questo fantastico video è frutto del lavoro di Mike Olbinski, fotografo di matrimoni ma sopratutto notevole realizzatore di time-lapse, insomma uno di quelli che vengono chiamati “storm chaser”, cioè i cacciatori di tornado. Mike, negli scorsi mesi, ha viaggiato per oltre 30.000Km attraverso 10 stati americani all’inseguimento di temporali e supercelle minacciose, scattando quasi centomila fotografie. Il risultato è un capolavoro.
Non si tratta di un’impresa facile, e nemmeno di un’attività molto sicura data la violenza di alcune di queste manifestazioni naturali.
Muoversi inseguendo fenomeni di questo tipo richiede notevoli capacità di interpretazione meteorologica ed a questo si somma l’importanza di un grande e completo controllo dello strumento fotografico.
Dopo averlo visto e rivisto parecchie volte, lo confesso, per me è un netto 10 e lode.
Grande Mike!

p.s. Guardatelo bello grande e con l’audio a palla 🙂

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Photochallenge Girl Power
Photochallenge è un concorso universitario basato sulla Fotografia come linguaggio per promuovere il dibattito e la riflessione su temi sociali.
Nell’edizione 2017, una giuria internazionale di fotografi ed artisti sceglierà il miglior risultato su un tema decisamente attuale e molto stimolante per un fotografo: la questione dell’uguaglianza tra i generi ed il diritto delle donne di tutto il mondo a partecipare ad ogni aspetto della società; in sintesi il Girl Power.
Il concorso premierà con 2700€ l’autore della fotografia che meglio rappresenta il tema, devolvendone altrettanti ad una ONG, scelta dal vincitore tra quelle che lottano per questa causa.

Tra i soggetti promotori dell’iniziativa ci sono l’Università di Bologna e molti istituti internazionali.
Per tutte le informazioni e l’iscrizione puoi visitare il sito del concorso.

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Gian Paolo IervolinoOggi ti propongo un libro, un libro fotografico che l’amico Gian Paolo Iervolino mi ha proposto di sfogliare dopo averlo realizzato e pubblicato.
Scegliere oggi il libro come supporto di diffusione delle proprie opere fotografiche non è una scelta facile, l’immediatezza e la potenza pervasiva dei contenitori online è tale da aver portato gran parte degli autori a preferire internet come principale mezzo di presentazione dei propri lavori. Su internet è facile e rapido raggiungere centinaia di nuovi potenziali ammiratori e gli orizzonti si ampliano a dismisura.
Eppure, nonostante le maggiori difficoltà sia tecniche che economiche, la carta resta il supporto più naturale per alcune fotografie, specie quelle di un certo tipo, in particolare i bianchi e neri notturni e meditati, come quelli di Gian Paolo.
Il suo libro è una breve ma intensa raccolta di fotografie notturne, tutte scattate a Roma in un’atmosfera quasi sospesa che l’autore descrive molto bene nella prefazione. Piazze e scorci di luoghi dalla bellezza millenaria, spesso affollatissimi di turisti che, una volta scesa la sera, si diradano lasciando spazio a figure silenziose, soggetti in lento movimento che Iervolino dipinge attraverso scatti a lunga esposizione che raccolgono scie ed ombre in lento movimento.
Sono immagini che esprimono emozioni non gridate, difficilmente descrivibili a parole, una sorta di quel “niente” con cui a volte si risponde quando ci chiedono a cosa stiamo pensando ma che, a dispetto della parola, sottintende un universo di sensazioni.
Mi è piaciuto molto questo libro, l’ho guardato e riguardato, una sera mi sono poi messo a sfogliarlo ascoltando musica in cuffia, un accompagnamento delicato ma intenso per questa splendida serie di immagini notturne.
Complimenti Gian Paolo.
Puoi trovare altre informazioni sull’autore e sulle sue opere sul sito Esperanto Photolab.

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