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Posts Tagged ‘istantanea’

SnapJetUno degli aspetti più controversi della fotografia digitale è che è immediata ma non istantanea.
Non pochi ricordano con nostalgia la piacevole esperienza di sfogliare, toccare, annusare, scambiare e regalare le fotografie stampate. Erano l’effettivo prodotto finale del processo fotografico ed avevano una tangibilità che le immagini di oggi, spesso relegate a rimanere solo dei pixel, non sempre hanno.
Il bisogno della foto stampata non è morto, come non è assolutamente morto il fascino della stampa istantanea. La geniale tecnica che Polaroid aveva introdotto rimane ancora oggi, nonostante qualche tentativo, uno dei metodi più validi per avere la foto in mano dopo solo qualche minuto dallo scatto.
Adesso qualcuno prova ad incrociare vecchio con nuovo. Ad esempio c’è Snapjet, una sorta di ibrido tra scanner e fotocamera istantanea, che con un’idea “open source” propone il trasferimento su supporto fotografico istantaneo delle immagini catturate con lo smartphone. Senza cavi, senza wifi o bluetooth: da digitale ad analogico in un click.
E’ un progetto che a breve sarà lanciato su Kickstarter, la nota piattaforma di crowfunding su cui è possibile sostenere il lancio di prodotti innovativi.
Chissà se torneremo ad abituarci alle “istantanee”.
🙂

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Polaroid 250

Polaroid Automatic 250 – Copyright 2013 Pega

Un vecchio detto recita che “la meraviglia è figlia dell’ignoranza e madre del sapere“. Ci penso spesso quando sento le esclamazioni che accompagnano lo svelarsi di una stampa Polaroid poco dopo lo scatto.
È vero che il digitale ci ha portato un’immediatezza senza precedenti, eppure le immagini che siamo abituati a vedere subito sul piccolo display della fotocamera digitale, mancano di qualcosa: sono come incomplete, immateriali, non “maneggiabili”.
La fotografia stampata, quel piccolo oggetto che puoi tenere tra le dita, avvicinare, annusare, appendere o passare ad un’altra persona, continua ad essere qualcosa di differente, delicato e prezioso, anche nell’era digitale.
Nonostante esistano da tempo piccole stampanti digitali portatili, nessuno le usa ed in genere sono state dei flop commerciali. E così capita che lo “sbucciare” un’istantanea fatta con la vecchia Zietta Polaroid, divenga un piccolo evento, un’esperienza che molti nativi digitali hanno solo sentito raccontare.
“Così veloce?”, “come funziona?”, “ma è bellissima!”, “dentro c’è una stampante ad inchiostro?”, “davvero esistono ancora?”, il repertorio è lunghissimo.
La Polaroid, con la sua totale immediatezza, continua a rappresentare una cosa a sé, quasi una tecnologia ferma in una bolla temporale e culturale, ed in qualche caso è bello sentirsi raccontare gli sforzi fatti per entrare in possesso ed imparare a conoscere queste meravigliose macchinette dopo averne vista una all’opera.
🙂

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Minutero - Afghan CameraE’ facile tirar fuori lo smartphone, inquadrare al volo, scattare e vedere subito il risultato, tutto facilmente e senza fatica. L’immediatezza del digitale è fantastica: un sogno inseguito per tutta la storia della fotografia.
Il bisogno di un risultato in tempi rapidi è esistito fin dai primordi e fu Frederick Scott Archer nel 1853 il primo a realizzare una fotocamera “istantanea”. Da allora (quindi ben prima della parentesi rappresentata dal costoso e complesso mondo Polaroid) sono sempre esistiti fotografi specializzati in risultati immediati “sul campo”. E’ emblematico il caso della tradizione dei fotografi ambulanti in Afghanistan, dove per generazioni è stata mantenuta viva una tecnica ritrattistica basata su macchine-laboratorio completamente autonome.
Afghan cameraQueste fotocamere, chiamate kamra-e-faoree (che più o meno significa macchina fotografica istantanea), sono grosse scatole in legno e tutto il processo avviene all’interno: dall’esposizione allo sviluppo, fino alla stampa finale.
Dopo la messa a fuoco, effettuata sotto una cappa nera in modo simile a come avviene con il grande formato, la fotocamera viene caricata con un foglio di carta fotosensibile che il fotografo, infilando una mano attraverso un manicotto a tenuta di luce, estrae “alla cieca” da una scatola posta all’interno della macchina stessa.
Una volta piazzato il foglio sul piano focale, viene effettuata l’esposizione. Si passa quindi allo sviluppo, che il fotografo effettua immergendo il foglio in vaschette con normali reagenti, poste sempre all’interno della fotocamera.
Si arriva così al risultato intermedio: un’immagine negativa che, a questo punto, viene estratta dalla macchina e ri-fotografata piazzandola su un apposito sostegno. Ripetendo una seconda volta l’intero processo si arriva quindi al prodotto finale: una Fotografia.
La tradizione delle Afghan Camera e di altre fotocamere a sviluppo istantaneo simili, come le Minutero spagnole, è esistita in molte parti del mondo ma adesso è in prevedibile declino. Esistono però alcuni eroici appassionati decisi a tener vivo questo bellissimo modo di fotografare, così semplice ed affascinante.
Tra di loro c’è un signore che seguo da tempo: si chiama Pier Giorgio Cadeddu. Ha chiamato “Sardinian Camera” la sua stupenda macchina fotografica a sviluppo istantaneo costruita a Càbras e sul suo sito puoi trovare molte informazioni al riguardo, comprese spiegazioni di funzionamento, costruzione e “filosofia fotografica”. Un gran bel lavoro.

P.s. Per chi volesse approfondire il funzionamento delle Afghan Camera, ecco qui un interessante video.
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Eclissi_analogica_live

Eclissi Analogica by Pega, Copyright 2014 – Courtesy Stefano Benvenuti

Dalla Torre di San Niccolò si osserva uno splendido ed esclusivo panorama di Firenze, e così non mi sono perso l’invito degli amici “analogici” di Visiva che avevano prenotato una visita.
La torre, recentemente restaurata e riaperta al pubblico per visite guidate, è alta quarantacinque metri ed è una delle antiche porte fortificate della città.
Avevo con me la Zia, la mia Polaroid 250 pieghevole e quando, una volta in cima, mi son trovato davanti Firenze in pieno controluce non ho resistito. Da una parte il Cupolone, dall’altra Ponte vecchio, in alto il sole pieno che si stagliava nel tardo pomeriggio: un’inquadratura azzardata che avrebbe messo alla prova anche il più sofisticato dei moderni esposimetri, figuriamoci quello della “Zietta” che è roba di fine anni sessanta, per di più riparato “alla buona” dal sottoscritto.
Scatto lo stesso… vediamo che viene“.
Dopo classico strappo e la breve attesa per lo sviluppo, è uscita la foto sopra. Il sole super-sovraesposto, ha come “forato” la pellicola istantanea ed appare simile ad un buco nero. Un Sole Nero che riverbera nell’Arno che sembra ghiacciato.
Un risultato che ha sorpreso anche gli esperti “fotografi a pellicola” che avevo intorno, tra i quali nessuno ha saputo dare una spiegazione chiara del fenomeno.
Misteri analogici 🙂

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LandIn questi giorni ricorre l’anniversario della nascita di Mr. Land, il padre della fotografia istantanea.
Nato nel Connecticut il 7 Maggio del 1909, Edwin Herbert Land presentò la sua curiosa ed innovativa scatoletta magica al congresso della Optical Society of America nel 1947. Si trattava della prima macchina fotografica istantanea della storia: la Polaroid Land camera.
Mr. Land era un inventore vecchia maniera, esperto in ottica aveva già prodotto parecchie cose interessanti tra cui alcuni filtri oggi comunemente noti come polarizzatori. La fotocamera istantanea nacque quasi per gioco, inizialmente concepita per soddisfare un capriccio di sua figlia Jennifer che si lamentava di non poter vedere subito le fotografie scattate.
Land aveva fondato la sua azienda Polaroid Corporation nel 1937 iniziando a sfornare numerosi prodotti interessanti: dai mirini militari agli occhiali da sole, ma fu la fotocamera istantanea a portare il grande successo. Nel primo giorno di lancio furono venduti quasi tutti gli esemplari (la mitica Model 95) sebbene il prezzo non fosse dei più abbordabili: 89 dollari del 1948.
Sessantacinque anni non sono tanti per la quasi bi-centenaria storia della fotografia ma senza dubbio Polaroid ha lasciato un segno importante.
Schiacciata dall’arrivo del digitale e dall’avvento di questa nuova tecnologia istantanea che le ha tolto proprio il primato su cui si era basato il suo successo, ha subito un progressivo ma inesorabile calo delle vendite, fino ad arrivare nel 2007 all’inevitabile pensionamento del settore fotocamere istantanee e la conseguente chiusura degli stabilimenti di produzione delle pellicole.
Ma la storia di questa affascinante invenzione non sembra giunta al termine e continua su due strade distinte. Da un lato il manipolo di “eroi analogici” dell’Impossible Project che dal 2008 hanno intrapreso, fondando una nuova azienda, la difficile strada del riavvio della produzione e commercializzazione delle pellicole, dall’altro il nuovo impulso digitale di casa “madre” Polaroid.
Chissà chi riuscirà davvero a raccogliere l’eredità sostanziale di Mr. Land.

 

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Pinolaroid by Pega

Pinolaroid – © Copyright 2013, Pega

L’idea era di cercare una sorta di sintesi tra la semplicità della fotografia stenopeica e l’immediatezza di quella istantanea. Nasce così un aggeggio che avevo in mente da un po’ di tempo: la Pinolaroid.
La Pinolaroid non è altro che una fotocamera pinhole montata su un dorso Polaroid a strappo, quindi utilizzabile con pellicole Fuji serie FP.
Non ci sono complicazioni particolari: il foro l’ho fatto bucando un pezzetto di alluminio ricavato da una lattina (esattamente come per la Pinola), mentre il corpo macchina è costituito da una scatola in legno trovata all’Ikea.
Per il momento non c’è otturatore. Il dorso Polaroid, reperito su Ebay, è dotato di una paratia mobile di protezione del fotogramma e, dato che le esposizioni con questa rudimentale fotocamera sono quasi sempre piuttosto lunghe (con un foro di 0.6mm risulta un diaframma f/67), sfilare e reinfilare la paratia non è un problema.
La Pinolaroid non è dotata di mirino, così per aiutare il posizionamento ho messo una piccola livella a bolla e l’indispensabile dado per l’attacco al treppiede. Ho poi aggiunto un porta filtri per poterla utilizzare con filtri Neutral Density, molto utili quando le condizioni di maggiore luminosità porterebbero a tempi troppo veloci per essere gestiti senza un otturatore vero e proprio.

Alcune pinolaroids scattate con amici fotografi

Flickeriani visti con la Pinolaroid

Il progetto è in divenire e non la considero completa, ho comunque iniziato a fare i primi scatti, trovando subito conferma del fascino che può avere la fotografia istantanea attraverso il foro stenopeico.
Qualche grattacapo lo trovo nel calcolo dei tempi, alterato dal rilevante difetto di reciprocità manifestato dalle pellicole Fuji FP. Sono le stesse con cui mi ero abituato a scattare usando le mie Polaroid “normali” ma, con i lunghi tempi a cui costringe il foro stenopeico, le cose sono molto diverse. Esposizioni teoriche di secondi divengono di minuti quando correttamente compensate per il fattore di reciprocità e, se la luce è scarsa, è facile trovarsi a tempi che superano intere mezz’ore o anche molto di più.

Fantasmi - pinolaroid

Fantasmi – Copyright 2013, Pega

Insomma, mi sto proprio divertendo con questo aggeggio, in particolare a fare interni e ritratti.
I primi sfruttando le peculiarità della macchina stenopeica, che in pratica si comporta come se fosse dotata di un’ottica grandangolare spinta, ma senza alcuna curvatura delle linee.
I secondi mi affascinano specie per l’effetto, un po’ misterioso e “antico”, introdotto dai lunghi tempi di esposizione, che costringono i soggetti ad assumere e mantenere pose interminabili che la fotografia moderna ha dimenticato. Ma di questo credo che non mancherò di raccontarti con maggiore dettaglio in qualche prossimo post.

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New Classic Mini 90 Instax FujifilmLa Instax Mini 90 Neo Classic è la nuova creatura di Fujifilm, una piccola fotocamera analogica istantanea che il marchio giapponese lancia sul mercato ad inseguire una nicchia, sempre più rilevante: i fotografi nostalgici.
Il suo look è decisamente retrò, con dettagli che ricordano apertamente le fotocamere di un po’ di tempo fa.
Come le ben più colorate e coccolose sorelle della serie Instax, la Mini 90 produce piccole istantanee della dimensione di un biglietto da visita, ma insieme al suo stile vintage porta anche alcune funzioni che strizzano l’occhio ai fotografi un po’ più esigenti, tra cui la doppia esposizione e la modalità “bulb”.
Per me non c’è dubbio: in questi tempi di digitale usa e getta, il retrò avanza e si fa strada. Eccome.
E per la Fotografia non è per niente un male.

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Polaroid candeggina

© Copyright 2013, Pega+M|art

Mi sembra la copertina dell’album di un gruppo musicale un po’ underground, con questi toni vintage, la cantante in primo piano ed i membri della band a fare da sfondo. Ed invece è la versione “chimicamente manipolata” di una foto che ho fatto con la mia zietta Polaroid a strappo in occasione di una recente uscita “film gang“, insieme ad amici appassionati di fotografia analogica.
Dopo lo scatto, ho estratto la busta dalla macchina ed atteso i classici due minuti necessari a questo tipo di pellicola per lo sviluppo istantaneo, quindi ho separato la stampa finale dal resto della busta. Invece di buttare questo’ultimo elemento di scarto, tipico delle pellicole a strappo, l’ho consegnato al mitico Martino, insieme ad un po’ di indicazioni su come divertirsi a manipolarlo. Sì, perché la parte restante della busta Fuji FP-100 è solo apparentemente da buttare e ci si può divertire a trattarla con candeggina per estrarne il negativo.
Martino si è dato da fare e con maestria ha “lavorato” di varechina e pennello su alcuni miei negativi prodotti nella serata, pubblicandoli poi sul suo album Flickr nel set Eau de Javel, dove puoi trovarli e tra cui c’è anche uno scatto simile a quello sopra ma con i “membri della band” del tutto mossi.
Bravo Martino.

Per chi fosse interessato ad approfondire il processo di “liberazione” del negativo, rimando ad un mio vecchio post sull’argomento, in cui c’è anche un link ad un video tutorial.

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Polaroid 250

Polaroid Automatic 250 – Copyright 2013 Pega

Dopo l’incauto acquisto della Colorpack, ho fatto la scemenza di continuare a curiosare su Ebay in cerca di altre Polaroid. Del resto non è difficile trovare fotocamere “a strappo” di classe superiore, qualitativamente migliori, più belle e pratiche da portare in giro poiché pieghevoli: i modelli che furono definiti “folding”, appunto. E così è andata a finire che non ho saputo resistere al fascino di una di queste e mi sono aggiudicato una splendida Polaroid Land Automatic 250.
È arrivata dagli Stati Uniti, dove si scovano con una certa facilità ed in buone condizioni. La 250 è un modello che ai suoi tempi era considerato top di gamma: lenti in vetro, chassis in metallo e telemetro Zeiss, insomma un gioiellino.
Trattandosi di un oggetto del 1968, non mancano i grattacapi e la mia non ne era esente. La batteria originale da 4,5v è introvabile ed ho dovuto fare una piccola modifica per alloggiarci tre pile mini stilo, un lavoretto senza intoppi. Di ben altro impegno invece é stato “il doppio intervento a cuore aperto” per risaldare una pista interrotta nel circuito dell’otturatore (che non funzionava) e procedere poi a ricalibrare l’esposizione automatica usando dettagliate istruzioni trovate su un manuale tecnico US Army dedicato a questa macchina fotografica.
Adesso la Zietta è in piena forma, si apre e si chiude allegramente, la qualità delle immagini è splendida ed è un piacere usarla in giro per fare qualche scatto a strappo che assecondi la mia Polaroid Addiction.
Credo che non potrò fare a meno di metterla in borsa e portarmela dietro in occasione della prossima Film Gang.

🙂

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Foto di gruppo by Livietta

Foto di gruppo – @ Copyright 2013 Livietta

Ebbene sì, mi trovo da tempo nel tunnel della la Polaroid a strappo e devo metterti in guardia visto che più passano i mesi e più mi convinco che si tratti di una cosa pericolosa e da sconsigliare perché dà dipendenza 🙂
Il fatto è che con la Polaroid si entra di colpo in un universo parallelo. La fotografia istantanea è un po’ passato ma anche presente, forse anche futuro, il tutto arricchito dalla percezione che ogni foto è un pezzo unico, un po’ imprevedibile, di sicuro irripetibile.
Anche il costo vivo (circa 1,2€) di ogni scatto diviene un elemento del gioco, secondo me addirittura un valore aggiunto che, oltre a far meglio percepire il “peso” della foto che alla fine si ha in mano, porta il fotografo a valutare con maggior attenzione ogni click e lo costringe a fare considerazioni che con il digitale sono spesso ormai dimenticate.
Specie con il formato “peel apart”, in cui mi sono imbattuto, si tratta poi di fotografare su negativi di notevoli dimensioni. Il fotogramma del Pack 100 è infatti 3,25×4,25 pollici, non un grande formato a tutti gli effetti ma sicuramente una dimensione notevole rispetto ai sensori APC ed anche al 35mm. Questo si lega con il fascino classico ed immutabile della stampa a contatto che avviene proprio nelle nostre mani, quando si estrae la busta dalla fotocamera ed inizia il processo di sviluppo e stampa, seguito poi dalla gustosa operazione di separazione della fotografia finale dal suo negativo.
Ed è proprio in queste fasi, dopo l’esposizione, che ci si trova con in mano un mini laboratorio fotografico mobile. Qui il fotografo è ancora parte del processo, interagisce e può influire con le sue decisioni sui tempi di sviluppo o anche intervenire con un suo contributo creativo, alterando o addirittura stravolgendo il risultato finale. Mi riferisco, ad esempio, alla possibilità data dalla pellicola “peel apart”, di completare la stampa su un supporto diverso dalla sua carta, trasferendo l’immagine su cartoncino, legno o stoffa.
E non è tutto: anche il negativo è sfruttabile. Non è il caso di buttarlo come indicato nelle istruzioni, ci si può divertire a recuperarlo sciogliendo con la candeggina la patina nera che lo copre sul retro della busta.
Insomma: un piccolo universo di possibilità creative
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