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Posts Tagged ‘ritratto’

Lucius Cyrano

Lucius/Cyrano – © Copyright 2008, Pega

Piccolo e delicato o grande ed importante, oppure dritto, storto, con gobba o narici dilatate, l’importante è che sia umano.
Sì, hai capito, il compito fotografico di questo fine settimana è facilissimo e piuttosto comune a trovarsi: è il naso.
Ma attenzione, non basta un semplice ritratto, bisogna che il naso sia il vero protagonista incontrastato della foto.
Puoi scegliere il tuo soggetto per strada o tra le persone che conosci, dichiara le tue intenzioni e mettili a proprio agio, spiega che stai eseguendo un compito assegnato, e poi, se i nasi che avrai trovato non dovessero soddisfarti, prova con qualche inquadratura strana o anche ad esagerare le linee sfruttando le caratteristiche di un’ottica grandangolare 🙂
Insomma, alla fine non è altro che un weekend assignment che vuole spingerti al ritratto, magari meglio se scherzoso o ironico ma comunque sempre con lo stesso spirito: cercare di fotografare seguendo una missione, un compito. È un esercizio per divertirsi un po’ ed avere una scusa per coltivare le nostre capacità creative.
Interpreta questo tema come più ti piace, poi se vuoi, condividi qui il tuo scatto mettendo il link in un commento.
Buon divertimento!

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Clicca qui per visualizzare l’elenco di tutti i Weekend Assignment precedentemente proposti.

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DaniAdoro chi si ingegna con il fai da te, specie chi fa sul serio. Tra questi c’è un certo Dani Diamond, un fotografo che si è costruito un enorme ring light.
Il ring light è un tipo di illuminatore fatto da un anello di fonti luminose costanti che, in genere, viene usato per applicazioni particolari.
Nato per la macro, è sfruttato nel campo della fotografia odontoiatrica ma anche più comunemente per il ritratto dato che regala una splendida diffusione della luce sul volto e magnifici riflessi circolari (catchlights) negli occhi.
Rispetto all’illuminazione con flash, il ring light aiuta a mettere maggiormente a proprio agio i soggetti evitando di inondarli di lampi, inoltre permette di operare con livelli di luce più bassi e quindi aperture maggiori con conseguenti profondità di campo ridotte.
Le normali dimensioni dei ring light in genere non superano qualche decina di centimetri di diametro, ma quello di Dani è veramente un gigante: quasi un metro e mezzo.
Una struttura in legno con ventisette lampade ad alta efficienza è un illuminatore a luce costante un po’ goffo ed utilizzabile solo in studio, ma i risultati sono notevoli, tanto che il progetto di questo fotografo è stato sponsorizzato dal produttore di lampade Sunlite.
Nel video sotto Dani ci racconta la sua idea e mostra sia le fasi di costruzione che alcuni scatti di esempio, davvero notevoli. Fai particolare attenzione ai riflessi negli occhi delle persone ritratte: sono fantastici.
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[Fonte: Fstoppers]

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Buzzer the catIl fotografo Arnold Genthe visse a cavallo tra ottocento e novecento. Divenne celebre per i suoi scatti che descrivevano la Chinatown di San Francisco ed anche il reportage sul devastante terremoto che colpì questa città nel 1906. Nella sua carriera si occupò anche di figure dello spettacolo e uomini politici, ma in pochi sanno della sua vera passione fotografica: il suo amato gatto Buzzer, che fotografò molte volte, da solo o in compagnia di persone più o meno importanti.
È proprio Buzzer quello ritratto nella foto sopra, anzi uno dei Buzzer. Sì, perchè in realtà Genthe ebbe vari gatti tutti chiamati con lo stesso nome!
🙂

BuzzerBuzzerBuzzer

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Robert Cornelius

Ed eccolo qua il primo selfie mai realizzato, il capostipite degli autoritratti.
Fu realizzato nell’Ottobre del 1839 da Robert Cornelius.
Robert era un esperto di chimica e metallurgia che lavorava al servizio di Joseph Saxton e Paul Beck Goddard, imprenditori americani nel neonato e promettente settore della fotografia.
Negli Stati Uniti si stava spandendo a macchia d’olio il metodo inventato dal francese Daguerre ed importato oltreoceano da Samuel Morse (sì, quello del codice telegrafico) ma uno dei maggiori limiti di questa nuova industria era la lentezza del processo. Il dagherrotipo infatti, oltre a richiedere una lunga e laboriosa preparazione della lastra ed una serie di attente operazioni per lo sviluppo, necessitava anche di esposizioni lunghissime. Ciò limitava le possibilità di sfruttamento dell’idea a fini ritrattistici perché era davvero difficile far stare perfettamente immobili i soggetti per decine di minuti.
Per questo, come molti altri in contemporanea, i datori di lavoro di Cornelius stavano cercando una strada per abbreviare questi tempi, sfruttando tecniche meccaniche, fisiche e chimiche.
Fu così che durante una serie di esperimenti che combinavano una particolare tecnica di lucidatura della lastra con l’uso di un accelerante chimico, Cornelius decise di effettuare un autoritratto.
Tolse il tappo all’obiettivo e si piazzò davanti alla fotocamera per poco più di un minuto.
Il risultato non fu niente male visto il brevissimo tempo di esposizione utilizzato e fu così che la sua tecnica fu perfezionata e contribuì significativamente allo sviluppo di questo settore.

Ma quel che forse più conta è che questo fu sicuramente il primo autoritratto della storia della fotografia, il primo “selfie”.
E’ un’immagine in cui appare  un giovane un po’ scapigliato ma molto attento e concentrato sul suo lavoro. Alcuni studiosi considerano questa lastra addirittura come il primo vero ritratto ravvicinato di una persona eseguito con una tecnica fotografica.
Il “self” di Robert Cornelius fa parte dell’archivio Daguerreotype collection della Library of Congress, consultabile anche online.

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migrant_mother_Dorothea_Lange

Migrant mother, 1936 – Dorothea Lange

Dorothea Lange realizzò Migrant Mother nel 1936. E’ una foto molto importante, emblematica ed attualissima, che segna l’intera carriera di questa fotografa e descrive in modo profondo il dramma delle famiglie che furono colpite dalla Grande Depressione.
Per approfondire la storia di questo scatto, si può partire dalle parole della stessa Lange, osservando anche le altre foto che realizzò in quel giorno, per provare a ripercorrere il flusso creativo che portò all’immagine più famosa.
Dorothea Lange parlò molti anni dopo di come nacque quella foto e, nel 1960, a tal proposito disse:
“I saw and approached the hungry and desperate mother, as if drawn by a magnet. I do not remember how I explained my presence or my camera to her, but I do remember she asked me no questions. I made five exposures,working closer and closer from the same direction. I did not ask her name or her history. She told me her age, that she was thirty-two. She said that they had been living on frozen vegetables from the surrounding fields, and birds that the children killed. She had just sold the tires from her car to buy food. There she sat in that lean-to tent with her children huddled around her, and seemed to know that my pictures might help  her, and so she helped me. There was a sort of equality about it.”

Quella che è diventata una tra le immagini più importanti della fotografia del novecento, descritta in un’infinità di libri, esposta al MOMA e poi acquisita da Getty Images, è l’ultimo di una breve serie di scatti che la Lange fece quasi di getto, senza preliminari o spiegazioni, quasi ad evitare cinicamente di alterare quel momento drammatico e disperato.
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migrant-mother-2bEcco le altre foto, molto meno note.
In questo primo scatto, realizzato da una certa distanza, si vede la tenda e la sistuazione di estrema precarietà. La foto non va bene: è sconclusionata ed appare anche mossa o sfuocata.
Il viso della donna non è ben inquadrato, dato che è voltata verso il bambino.

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migrant-mother-1Nella seconda immagine c’è una maggiore  organizzazione. La fotografa ha probabilmente chiesto alle persone di guardare verso l’obiettivo e dato alcune disposizioni di posizionamento.
La foto è interessante ma la Lange cerca qualcos’altro.

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migrant-mother-23 Qui la fotografa si è concentrata sulla donna. Ha forse trovato la chiave dello scatto in questo soggetto così carico di drammaticità. Nella seconda immagine la Lange ha evidentemente chiesto ad una delle bambine di posare dietro alla madre.

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migrant-mother-5Siamo molto vicini al risultato finale. L’atmosfera è quella severa che pervade anche lo scatto divenuto famoso. Lo sguardo della donna si perde all’infinito, quasi a sfuggire l’amarezza ed il peso della situazione, oltre alla difficoltà di farsi ritrarre in una condizione così disagiata.

Queste foto non sono solo  un piccolo pezzo di storia, hanno sopratutto contribuito a cambiare la situazione di un grosso numero persone che in quel momento vivevano un forte momento di difficoltà.
Anche grazie agli scatti della Lange che lavorava per l’FSA, poche settimane dopo la pubblicazione delle foto, la comunità fu raggiunta da un aiuto economico governativo che servì a superare quei mesi così difficili e aiutare concretamente quelle famiglie.

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Diane Arbus by M.E.Mark

Diane Arbus – Copyright 1969, Mary Ellen Mark


Eccola Diane Arbus, fotografata a New York nel 1969 da Mary Ellen Mark.
La Arbus è stata una delle più originali ed influenti fotografe del novecento. Nata nel 1923 a New York, studiò con Berenice Abbott e per alcuni anni si occupò di fotografia commerciale insieme al marito. La pubblicità e la moda non facevano per lei e tra il 1957 ed il 1960 iniziò a frequentare un baraccone situato tra la 42esima e Broadway, dove si esibivano figure bizzarre. Iniziò così un percorso che la portò sempre più ad occuparsi dei “diversi”, di quell’umanità atipica e disprezzata descritta nel film cult di Tod Browning “Freaks” (1932) che la Arbus considerava una sua fonte di ispirazione.
Definita superficialmente come la “fotografa dei mostri”, la Arbus non esitava ad entrare in contatto con figure grottesche ed emarginate. Fotografò prostitute, reduci dal Vietnam, fenomeni da circo ed ermafroditi. Insomma, una moltitudine di personaggi difficili e controversi, che la Arbus ritrasse sempre con uno stile personale molto intenso.
Tra i suoi scatti più famosi ci sono il bambino con la bomba a mano “Child with Toy Hand Grenade in Central Park, New York” (1962) e “Identical Twins”, del 1967: uno scatto inquietante che ritrae due bimbe gemelle a cui pare si sia direttamente ispirato Stanley Kubrick per i personaggi delle gemelle Grady in Shining.
È proprio guardando immagini come quest’ultima che si intuisce il disagio della fotografa. Diane Arbus soffriva di depressione e forse di un disturbo bipolare che la portò fino alle estreme conseguenze. Si tolse la vita due anni dopo questo scatto, tagliandosi le vene il 26 luglio del 1971 dopo aver assunto una forte dose di barbiturici.
Rimane impressa una delle sue affermazioni più famose:

La cosa che preferisco è andare dove non sono mai stata“.

Mary Ellen Mark, come la Arbus, è una fotografa impegnata nella documentazione sociale. In questo suo ritratto la Arbus sembra uno dei suoi “strani” personaggi emarginati. Le mani e la testa sono sproporzionati, è deformata, l’espressione tesa con lo sguardo nell’obiettivo, proprio come anche lei chiedeva ai suoi soggetti.

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I precedenti cortocircuiti fotografici:

#1: Eugene Atget fotografato da Berenice Abbott
#2: Berenice Abbott fotografata da Hank O’Neal
#3: Edward Weston fotografato da Tina Modotti
#4: Tina Modotti fotografata da Edward Weston
#5: Alfred Stieglitz fotografato da Gertrude Käsebier
#6: Steve McCurry fotografato da Tim Mantoani
#7: Robert Capa fotografato da Gerda Taro
#8: Gerda Taro fotografata da Robert Capa
#9: Robert Mapplethorpe (con Patti Smith) fotografati da Norman Seef
#10: Szarkowski fotografato da Winogrand fotografato da Friedlander
#11: Andy Warhol fotografato da Robert Mapplethorpe
#12: Henri Cartier-Bresson fotografato da René Burri
#13: Dennis Stock fotografato da Andreas Feininger

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Billy the KidQuando si parla di storia del crimine, il nome di Billy the Kid ha sempre il suo posto. Henry McCarty, alias Henry Antrim, alias William H. Bonney, alias Billy the Kid, visse nella seconda metà dell’ottocento e la leggenda narra che avesse assassinato ventuno uomini, iniziando la sua carriera da adolescente e divenendo un pistolero straordinario. Fu ucciso il 14 luglio 1881 dallo sceriffo Pat Garrett che lo inseguiva da tempo ed aveva messo una taglia sulla sua testa.
Come per molte altre figure del vecchio West, forse anche nel suo caso la fama superò il reale andamento dei fatti, e così il suo nome è rimasto nella storia ispirando anche un certo numero di pellicole cinematografiche.

Questo è l’unico ritratto di Billy the Kid riconosciuto come autentico. Fu realizzato tra il 1879 ed il 1880 a Fort Sumner in New Mexico.
Una singola vecchia fotografia invecchiata dal tempo.
E’ curioso il contrasto tra questo piccolo documento, unico ma vero, e la discreta quantità di materiale creato a posteriori.
Una sola, vecchia fotografia, che alla fine parla del personaggio forse più di una dozzina di film.

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Dennis_Stock_by_Andreas_Feininger

Dennis_Stock_by_Andreas_Feininger

Rieccomi con un altro fotografo fotografato, forse con uno dei più straordinari ritratti di questo genere.
Il personaggio immortalato è Dennis Stock, importante firma dell’Agenzia Magnum e fotografo che divenne celebre per le sue immagini di grandi nomi dello spettacolo, da James Dean a Louis Armstrong.
L’autore dello scatto è invece Andreas Feininger, fotografo ma anche studioso di architettura e scrittore di testi sulla tecnica fotografica che lo resero tra i più influenti autori di fotografia moderna. Feininger era appassionato alla natura ed alla struttura delle cose, solo raramente si dedicava ai ritratti che non considerava come sua specialità, ma questo a Stock era straordinario e divenne subito celebre.
Fu realizzato nel 1955 per la rivista Life, subito dopo l’assegnazione a Stock di un premio per giovani fotografi. Il volto è un tutt’uno con la Leica e crea un’immagine dai tratti futuristi dove gli occhi sono quelli della macchina fotografica. La luce e la posa sono costruite a comporre un’entità nuova, quasi non umana, una sorta di cyborg.
Un cortocircuito razionalista che lascia il segno e che rimane un’opera passata alla storia.

I precedenti cortocircuiti fotografici:

#1: Eugene Atget fotografato da Berenice Abbott
#2: Berenice Abbott fotografata da Hank O’Neal
#3: Edward Weston fotografato da Tina Modotti
#4: Tina Modotti fotografata da Edward Weston
#5: Alfred Stieglitz fotografato da Gertrude Käsebier
#6: Steve McCurry fotografato da Tim Mantoani
#7: Robert Capa fotografato da Gerda Taro
#8: Gerda Taro fotografata da Robert Capa
#9: Robert Mapplethorpe (con Patti Smith) fotografati da Norman Seef
#10: Szarkowski fotografato da Winogrand fotografato da Friedlander
#11: Andy Warhol fotografato da Robert Mapplethorpe
#12: Henri Cartier-Bresson fotografato da René Burri
#13: Dennis Stock fotografato da Andreas Feininger

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Albert EinsteinQual è la storia di questo scatto? Albert Einstein. Lo scienziato padre della fisica moderna e premio Nobel, nacque ad Ulma, Germania, il 14 marzo 1879 e tutti conosciamo questa immagine iconica e dissacrante del “professore” che fa la linguaccia. Ma da chi e come fu realizzata?
Il 14 marzo del 1951, proprio il giorno del compleanno di Einstein, all’Università di Princeton, più precisamente all’Istituto di Matematica di cui Einstein era direttore, era stata organizzata una festa per il suo settantaduesimo compleanno.
L’evento si svolse tra ringraziamenti e brindisi finchè, un po’ stanco, Einstein decise di rientrare a casa accompagnato in macchina dal Dr.Frank Aydelotte, preside dell’Institute for Advanced Study, e sua moglie.
Ma ad attendere l’auto al cancello c’era un gruppo di fotografi tra cui Arthur Sasse, reporter della United Press International. Da bravo paparazzo Sasse esclamò: “Ehi professore, sorrida per la foto del suo compleanno!”. Einstein, che aveva passato l’intera giornata a sorridere ai fotografi, forse non ne poteva più e rispose con una bella linguaccia. Il fotografo, velocissimo, lo beccò.
L’editor dell’International News Photos Network valutò a lungo l’opportunità di pubblicare o meno questa foto. Einstein, al contrario, la apprezzò molto ed in seguito chiese di poterne avere alcune stampe ritagliate in modo da escludere le altre due persone dall’immagine. Pare che Einstein usò poi queste stampe con la linguaccia per farci biglietti di auguri.

Einstein by Sasse

Albert Einstein – Copyright 1951, Arthur Sasse

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Chained Pyrmids - Copyright 2008 Pega


Da un paio di giorni Alby era in giro per piccoli villaggi di una zona rurale del nord della Cina. La sua passione per la fotografia lo aveva condotto in questi luoghi fuori dalle rotte turistiche. Era ciò che cercava.
Un anziano uscì silenziosamente da una vecchia casa, un soggetto magnifico per un bel ritratto ed Alby chiese alla sua interprete di parlare con l’uomo per avere il permesso di fotografarlo. La giovane donna si avvicinò al vecchio e dopo essersi inchinata, gli si rivolse con rispetto.
L’anziano studiò i due, rimase in silenzio per alcuni attimi, poi scosse la testa in modo inequivocabile.
Peccato, un vero peccato. Alby era deluso, ma anche curioso e chiese all’interprete di provare a capire, se possibile, il motivo del rifiuto.
Lei parlò di nuovo al vecchio, fu un breve dialogo. L’uomo disse che aveva rifiutato perché essendo molto povero non aveva denaro per potersi pagare delle fotografie.
Alby spiegò che non avrebbe chiesto un compenso dato che fotografava per passione.
Il vecchio lo guardò con attenzione, forse meraviglia, poi sorrise ed acconsentì con grande entusiasmo.

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