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Posts Tagged ‘novecento’

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Il ritratto di un fotografo è una sorta di cortocircuito, un cerchio che si chiude. Quando poi il fotografo è un grande maestro, un protagonista della storia di questa forma d’arte, allora l’immagine assume un fascino tutto speciale, almeno per me.
É il caso di questo ritratto di Eugene Atget, il grande fotografo francese che visse a cavallo tra ottocento e novecento, considerato da molti come uno dei padri della fotografia moderna.
Fotografò per oltre trenta anni la sua Parigi, un lavoro immane di oltre 10.000 negativi (che per i tempi erano un’infinità) teso a documentare una città che si stava trasformando, modernizzando, e che Atget fissava non tanto con atteggiamento artistico quanto con un approccio che potrebbe essere definito come commerciale. Molti suoi scatti erano infatti realizzati per fornire materiale ai pittori ed agli illustratori di libri sulla città.
In questa sua ricerca Atget espanse le possibilità della fotografia e sviluppò un suo linguaggio fatto di poesia ed estetica formale che lo consacra tra i più importanti artisti della storia della fotografia.
Ed eccolo qui Eugene Atget, dopo quasi un secolo, qui sul tuo monitor.
Guardalo negli occhi, mentre si sta facendo fare un ritratto da Bernice Abbott in un bel pomeriggio del 1927.
Un cortocircuito con i fiocchi.

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Leaf Pattern Imogen Cunningham

Leaf Pattern, circa 1929 – Imogen Cunningham

Oggi voglio tornare a parlare di una grande fotografa, una figura importantissima che però non sempre viene considerata tra le più grandi. Imogen Cunningham aveva iniziato a fotografare da ragazzina, sul finire dell’ottocento, ma in breve aveva perso interesse per per dedicarsi agli studi di chimica. Poi la sua strada tornò ad incrociarsi con il mondo della produzione di immagini. Si laureò difatti proprio con una tesi sui processi chimici per lo sviluppo fotografico e fu proprio così che il suo talento trovò la via per sbocciare.
La passione per la ricerca tecnica volta al miglioramento della qualità delle immagini e delle stampe si sposò perfettamente con un gusto estetico fuori dal comune, facendone un’artista apprezzata già nella prima metà del novecento.
Negli anni quaranta Imogen entra a far parte del gruppo f/64 divenendo un componente di spicco del movimento della straight photography con  lavori che ricevono notevole apprezzamento e la accompagnano in una lunghissima carriera che la porta, quasi novantenne, fino all’esposizione presso il MOMA di new York negli anni ’70.
Una delle parti più affascinanti dell’opera di Imogen Cunningham è quella da lei svolta negli anni trenta, quando iniziò il suo approfondimento verso la fotografia botanica, intrapreso con una intrigante attrazione non tanto verso il vegetale in quanto tale ma più per quello che questo era in grado di trasmettere in fotografia.
La pianta diviene quasi un astratto, con tratti che si formano grazie all’incrocio tra linee naturali, ombre, sovrapposizioni di foglie e luce drammatica.
E’ quasi come se Imogen avesse creato un nuovo modo di vedere, in parte oggettivo ed in parte soggettivo, in ogni caso molto potente ed evocativo.
Un tratto distintivo di questa grande protagonista della fotografia del novecento.

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Walker Evans

Walker Evans

C’è un fotografo che rappresenta uno dei punti di riferimento più importanti nella storia del fotogiornalismo: è Walker Evans.
Nato a Saint Louis nel 1903, dopo gli studi ed alcuni tentativi di diventare scrittore, si dedicò alla fotografia ed in particolare al reportage.
Le sue immagini dei luoghi e delle persone colpite dalla Grande Depressione, che negli anni ’30 si abbattè sugli Stati Uniti, lo resero famoso come anche quelle che scattò a Cuba proprio durante la rivolta contro Machado nel 1933. Le espressioni e le atmosfere colte ne fecero uno dei maggiori interpreti della cosiddetta “straight photography”, il movimento di “fotografia diretta” che nella prima metà del novecento gettò le basi per lo sviluppo del fotogiornalismo e della fotografia di reportage.

Bud Fields and his family, Alabama

Bud Fields and his family, Alabama – Copyright 1935 Walker Evans

I sostenitori della straight photography si proponevano una rappresentazione della realtà che fosse il meno possibile manipolata da tecniche o artifici, questo al fine di creare immagini che fossero in grado di trasmettere con realismo ed efficacia tutta la realtà e la drammaticità dei soggetti ritratti.
E’ proprio questo l’atteggiamento rilevabile nei reportage realizzati da Evans nell’America della Grande Depressione. I luoghi e le persone sono ritratte con uno stile volutamente diretto, non mediato, spesso in un modo che non è difficile giudicare crudo e che per il tempo era assolutamente innovativo.
La visione di Walker Evans sta tutta in questi scatti, nella capacità di scegliere i soggetti e le inquadrature in un modo che trasmette con forza all’osservatore tutte le difficoltà di quel momento.

Io lo trovo assolutamente attuale.
Evans ha lasciato una traccia profonda e rimane tutt’oggi una costante fonte di ispirazione per tanti fotografi di reportage in attività.

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André Kertész è un mio mito. Nato nel 1894 può essere a buon titolo considerato tra i più importanti fotografi del novecento e sebbene il suo nome non sia spesso tra quelli citati quando si parla di maestri della fotografia, ha rappresentato un punto di riferimento e di ispirazione per molti “grandi”.
Di lui Henri Cartier-Bresson disse “Tutto quello che abbiamo fatto, Kertész l’ha fatto prima” e ciò dovrebbe bastare per rendere l’idea.
Definito come “inclassificabile”, era introverso e riservato, poco incline al protagonismo. Fotografava guidato principalmente dall’istinto e dal suo notevole talento, riuscendo sempre a dimostrare che qualsiasi aspetto del mondo, dal più banale al più importante, merita di essere fotografato.
André Kertész, dopo aver vissuto come soldato gli orrori nelle trincee del primo conflitto mondiale, documentando con una piccola fotocamera la vita dei suoi simili, si trasferì a Parigi per lavorare come fotografo, insegnando ad usare la macchina fotografica a personaggi del calibro di Brassai.
Sul finire degli anni ’30, insieme ad Henri Cartier-Bresson, iniziò a lavorare per la rivista Vu, il cui stile influenzò le testate americane Life e Look.
Prima della seconda guerra mondiale si trasferì negli Stati Uniti, dove rimase per il resto della sua vita, collaborando con importanti riviste ma anche sviluppando un suo filone artistico indipendente che, secondo me, lo rende uno dei personaggi più affascinanti della fotografia del XX secolo.
Se ne andò nel 1985 lasciando qualcosa come 100.000 negativi.
Il video che ti propongo qui sotto è un breve documentario girato nei primi anni ottanta, poco prima della morte del fotografo Ungherese. Mostra Kertész a Parigi ed è un bell’omaggio ad un anziano signore che si muove con modestia alla ricerca dei suoi scatti. Sembra timido, impacciato, sicuramente non è più il Kartész degli anni d’oro, ma le fotografie che scorrono tra una scena e l’altra parlano da sole, sono capolavori che hanno influenzato personaggi importantissimi.
L’audio del video è in francese, ottima occasione per capire come si pronuncia il suo cognome.
Ciao André.

(Se non visualizzi il video puoi trovarlo direttamente qui)

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Ruota multiexp

Ruota – © Copyright 2012 Pega

Agli albori della fotografia ogni tanto poteva succedere di fare un po’ di confusione, non ricordarsi se si era o meno sostituita la lastra, finendo per realizzare una seconda fotografia sullo stesso supporto.
E’ in questo modo, proprio come frutto di errori, che nacquero le prime esposizioni multiple. I fotografi del tempo si accorsero subito che si trattava di qualcosa utilizzabile anche in modo creativo ed iniziarono a sfruttarlo come una vera e propria tecnica.
Da allora l’esposizione multipla è stata usata in infiniti modi e, specie in tutta l’era pre-digitale, ha rappresentato una possibilità di manipolazione alla portata di tutti. Sì, perché realizzare più esposizioni sullo stesso negativo era qualcosa di molto semplice ed immediato, che non coinvolgeva il fotografo nelle più complesse fasi di sviluppo, elaborazione e stampa, tipiche del laboratorio con tutte le sue attrezzature e competenze necessarie.
Fare una multiesposizione può essere un vero e proprio atto creativo, qualcosa che è insieme realizzazione e postproduzione, che unisce in una sola immagine più momenti ed in essa li sintetizza.
Con l’avvento del digitale questa tecnica ha perso un po’ di adepti. Forse è a causa della facilità con cui si interviene a posteriori su questo tipo di immagini, dei tanti strumenti di manipolazione che oggi abbiamo a disposizione o forse anche solo perché stranamente molte fotocamere digitali non comprendono questa funzione (che nelle analogiche c’era sempre visto che bastava “non fare avanzare il rullino”).
Io ti invito a rispolverare questo modo di fotografare ed a provare qualche scatto multiplo, possono venire fuori cose davvero carine.

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Cartier Bresson - L'Immaginario dal vero

Difficile essere appassionati di fotografia senza conoscere Henri Cartier Bresson.
Che tu lo conosca già bene o meno, ti consiglio di leggere “L’immaginario dal vero”, un piccolo libretto in cui Bresson descrive il suo approccio alla fotografia e traccia alcuni profili di artisti amici, con un punto di vista che aiuta molto a capire la visione di questo grande protagonista della fotografia del XX secolo.

Ecco un brevissimo estratto:

“Fotografare è trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà di percezione convergono davanti alla realtà che fugge: in quell’istante, la cattura dell’immagine si rivela un grande piacere fisico e intellettuale. Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore. Per me fotografare è un modo di capire che non differisce dalle altre forme di espressione visuale. È un grido, una liberazione. Non si tratta di affermare la propria originalità; è un modo di vivere”.

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È passato un po’ di tempo da quando scrissi un breve articolo su quella che, personalmente, considero una tra le più belle foto mai realizzate. E così oggi ti ripropongo quel vecchio post e ti invito a gustare, anzi ri-gustare questa splendida immagine che è parte integrante della storia della fotografia

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Pepper number 30 – Copyright 1930 Edward Weston

“Peperone numero trenta” di Edward Weston.
Forse una tra le opere più famose di un grande maestro della fotografia del novecento.
Ogni volta che osservo questa immagine non posso fare a meno di rimanere ammirato ed è forse per questo che è una tra le mie foto preferite in assoluto.
Non è solo la perfezione del bianco e nero, la sensualità delle forme cercate e trovate dal fotografo, non è solo la luce perfetta con quel buio dietro ed i dettagli che risaltano sulla superficie morbida.
C’è qualcosa che mi affascina in particolare…
E’ quel “numero trenta”.
Il numero racconta la storia di questa foto, dei vari tentativi dell’artista di trovare lo scatto perfetto.
Peperone numero trenta significa che ci sono almeno altri ventinove peperoni che Weston fotografò nel percorso che portò a questo capolavoro.
Insomma, l’opera non è frutto di un isolato colpo di genio o di uno scatto fortunato. E’ il risultato di un lavoro di ricerca e tentativi, è impegno e fatica.
Mi diverte provare ad immaginare Edward Weston che nel 1930 si concentra su questo progetto di still life e magari incassa anche qualche battuta ironica di qualcuno che lo deride scherzando su un fotografo che si ostina ad immortalare ortaggi… Ma Weston sa cosa vuole e continua a fotografare peperoni…
Il numero trenta è per me il tassello chiave di quest’opera.
E’ uno dei tanti casi in cui il titolo integra e completa un capolavoro, raccontando una storia che aiuta ad avvicinarci all’autore e a capire la passione, il talento ed anche la determinazione di un grande artista.

Ed ora… non ci resta che fare un salto al mercato, a vedere che cosa c’è di interessante e sensuale tra i prodotti di stagione…

🙂

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Il venti febbraio del 1902, esattamente 110 anni fa nasceva un grande fotografo, uno che forse più di altri ha lasciato il segno della sua passione nella storia della fotografia: Ansel Adams.
E’ stato scritto moltissimo sul lavoro di questo artista ma c’è un aspetto che che, a mio vedere, veramente differenzia Adams da molti altre figure importanti: è la sua forte voglia di condividere, trasmettere e lasciare agli altri quello che aveva imparato.
Ansel Adams è stato un grande maestro, nel vero senso della parola, uno che ha vissuto cercando di produrre non solo delle opere importanti ma anche insegnando molto ad allievi ed assistenti. Ha in sostanza contribuito a creare quello che è il moderno concetto di workshop fotografico e realizzato documenti che tutt’ora rimangono come punti di riferimento per chi vuole approfondire la fotografia: i suoi libri con tutto il contenuto didattico e di condivisione tecnica e creativa che li caratterizzano.

E così oggi propongo questo breve video, come piccolo omaggio ad uno straordinario protagonista della fotografia del ventesimo secolo… e chissà, forse anche del ventunesimo.

Buon Compleanno Ansel.

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Piccolo omaggio a Man Ray

P.O.A.M.R. – © Copyright 2011 Pega

Man Ray Dead Leaf

Dead leaf, 1942 – @ Man Ray

In testa ad un post di qualche tempo fa avevo messo una mia foto intitolata POAMR (Piccolo omaggio a Man Ray); è la foto di una foglia secca mezza accartocciata.
Mi è stato chiesto di spiegare meglio in cosa consiste questo omaggio.
E’ davvero semplice: si tratta del  timido tentativo di fare uno scatto che in qualche modo richiami la famosa fotografia di Man Ray “Dead Leaf” del 1942.

La “Foglia Secca” di Man Ray apparve insieme ad altre quattro foto dell’autore nel numero di Ottobre del 1943 della rivista Minicam Photography .
Lo stesso Man Ray aveva preparato le didascalie e per questa immagine si poteva leggere “the dying leaf would be completely gone tomorrow” un tentativo di proiettare un forte sentimento di malinconia che l’artista nutriva dopo il suo rientro in America dove non era riuscito a ritrovare il successo che aveva lasciato (insieme a molte delle sue opere per le quali nutriva la forte preoccupazione che venissero distrutte) nella Francia ormai travolta dalla guerra.

La mia POAMR è una foto che ho fatto dopo aver trovato, un piena estate Mediterranea, una solitaria foglia secca con una forma che mi ha subito ricordato quella di Man Ray.
Ho scattato quasi d’istinto, proiettandoci un mio significato tutto personale, sicuramente però influenzato dalla recente lettura a cui facevo riferimento nel post.

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Piccolo omaggio a Man Ray

POAMR (Piccolo omaggio a Man Ray) - © Copyright 2011 Pega

È un sacco di tempo che non scrivo un post su un libro, ma oggi ho proprio voglia di condividere una lettura che ho fatto in questi giorni: Man Ray – Sulla fotografia.

Man Ray è una figura che non ha bisogno di presentazioni. Personaggio importante ed eclettico si mosse costantemente in una ricerca senza fine che lo portò tra pittura e fotografia attraverso filoni artistici tra i più importanti del novecento.

ManRay_sulla_fotografiaNato a Philadelphia il 27 agosto del 1890 (guarda caso l’anniversario della sua nascita ricade proprio in questi giorni) da una famiglia di emigranti dell’est europeo di origini ebree, Man Ray crebbe negli ambienti artistici anarchici di New York, studiando prima pittura ma poi anche fotografia nello studio di Steiglitz, che sempre continuerà a considerare suo grande maestro.
La sua irrequietezza unita ad uno spirito di continua necessità di cambiamento e ricerca lo portarono poi a trasferirsi in Europa, a Parigi, dove Man Ray si stabilì per venti anni prima del rientro negli Stati Uniti a causa delle leggi razziali.

A Parigi sviluppò gran parte del suo lavoro, sperimentando e producendo idee come i suoi famosi Rayogrammi, ma anche più semplicemente lavorando come fotografo ritrattista.
Ed è proprio il riferimento a questa sua attività, che lo portò in contatto con moltissime figure spicco del mondo artistico di quegli anni, che mi è piaciuto molto in questo volumetto.

Il libro infatti, oltre a riportare appunti e riflessioni dello stesso Man Ray che ne tracciano una figura affascinante e complessa, contiene una serie di ritratti fotografici che questi realizzò per soggetti come Picasso, Ezra Pound, un giovanissimo Dalì, Bunuel, Virginia Wolf, Mirò, Matisse e molti altri.
Si tratta di foto scattate su commissione, da un fotografo il cui studio era divenuto meta di personaggi desiderosi di ottenere una propria immagine fotografica ricca di personalità e spessore.
Ogni ritratto è accompagnato da brevi note sulle impressioni scambiate con la persona fotografata. Davvero molto interessante.
Te lo consiglio proprio.

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