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Posts Tagged ‘spazio’

NASA curiosity

Se in questi giorni davvero il mondo finisce c’è chi si godrà lo spettacolo.
La sonda NASA Curiosity è lì su Marte, bella tranquilla, piazzata a distanza di sicurezza. Sono pronto a scommettere che ha già rivolto le sue fotocamere verso la Terra in attesa del possibile evento.
Nei mesi scorsi ci ha già inviato un bel po’ di immagini della superficie del pianeta rosso ed anche della Terra ma tra le foto che più mi hanno affascinato c’è il fantastico e vanitoso autoritratto che puoi vedere sopra. E’ stato realizzato scattando 55 foto da angolazioni diverse usando la fotocamera posizionata sul braccio mobile estensibile e processata dalla NASA per ottenere un’unica immagine in cui il braccio non è più visibile, apparendo scattata come se il “vanesio” robot Curiosity avesse piazzato un treppiede per farsi un autoscatto.

Image credit www.nasa.gov

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Carl Zeiss Planar 50mm f0,7

In vari post precedenti mi è capitato di parlare di Stanley Kubrick.
Anche in questo.
Ne parlo di nuovo perchè mi è capitato di vedere la foto di un mitico obiettivo che il grande regista utilizzò per realizzare alcune tra le più belle immagini della storia del cinema. Mi riferisco alle scene di un film straordinario che, nonostante la lunghezza, ho visto diverse volte: Barry Lyndon.

Barry LyndonPer poter girare gli interni con solo luci di candela, senza illuminazione artificiale che avrebbe alterato l’atmosfera intima con cui voleva coinvolgere lo spettatore, Kubrick riuscì a mettere le mani su un’ottica davvero speciale: un obiettivo Carl Zeiss Planar da 50mm con apertura f/0.7 (zero virgola sette!) che la NASA aveva realizzato per le missioni lunari Apollo.
Questo “supercinquantino” fu adattato alla cinepresa ed utilizzato con grande maestria, sfruttandone le doti di incredibile luminosità e gestendo magistralmente la ridottissima profondità di campo.
Fu un lavoro complesso e di grande precisione che, con in suo leggendario perfezionismo, Kubrick richiese a tutto lo staff. A partire dai tecnici che modificarono la cinepresa e realizzarono per lui un meccanismo di messa a fuoco precisissimo, agli operatori ed anche agli attori, ai quali fu chiesto di fare moltissima attenzione alla posizione: un piccolo spostamento avrebbe in molti casi causato deleteri effetti di sfuocatura.
Il risultato è un capolavoro della cinematografia e sceneggiatura, che rimane tale per la capacità di coinvolgere emotivamente lo spettatore con immagini che hanno lasciato il segno. Un livello forse mai più raggiunto.
Un po’ come quei passi sulla Luna, mai più ripercorsi, per i quali era stato originariamente realizzato il “cinquantino spaziale”.

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Ah come invidio l’astronauta-fotografo Don Pettit.
E’ tornato sulla Terra da poco, dopo una bella missione sulla Stazione Spaziale Internazionale a far foto per vari mesi. Si, certo non era lì solo a fotografare ma comunque aveva a sua disposizione qualcosa come dieci (10!) macchine Nikon D3s con relativi obiettivi professionali ed accessori: un bel kit dal valore di oltre centomila euro, con cui si è sbizzarrito documentando le fasi della missione e creando documentazione tecnica importante per la NASA.
Il marchio Nikon è ben visibile in molti degli scatti backstage delle missioni spaziali e quella tra il marchio giapponese e l’ente spaziale americano è una collaborazione che risale alle missioni Apollo, pare infatti che proprio per soddisfare le necessità della NASA fu sviluppata la F4, la prima digitale Nikon.
E, anche per lo spazio, proprio come succede ai fotografi “terreni”, una volta scelto un produttore poi si tende a rimanergli fedeli, probabilmente non solo per abitudine ma anche per le questioni di compatibilità con costosi obiettivi professionali che rimangono validi anche con il trascorrere dei decenni.
Dunque un saluto a Don, che adesso dopo aver volato negli spazi siderali ed aver gestito un così ben allestito setup, dovrà forse sedersi davanti ad un computer e dedicarsi ad un bel lavoro di postproduzione dopo le migliaia di scatti effettuati.
O forse anche no.
🙂

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Il lancio di Kittinger

Nel 1960 un uomo effettuò un’impresa ai limiti dell’incredibile: salì con un pallone alla quota di 31.333 metri (102.799 piedi) e da lì si lanciò col paracadute.
Il protagonista di questa follia era un certo Joe Kittinger, Capitano dell’USAF, coinvolto in un programma di ricerca militare per trovare la soluzione al problema dell’evacuazione d’emergenza degli aerei stratosferici.
A quell’altezza tutto è estremo: le temperature sono oltre i cinquanta sotto zero e serve una tuta pressurizzata per sopravvivere perchè la pressione atmosferica è così bassa che il sangue va in ebollizione.
Kittinger era uno di quelli con “la stoffa giusta” ed effettuò ben tre lanci di questo tipo, trovandosi ogni volta vicino alla morte. Nel primo la corda del paracadute gli si arrotolò intorno al collo facendogli perdere i sensi, nel terzo ed ultimo, quello che stabilì un record tuttora imbattuto, ebbe un problema di tenuta ad un guanto della sua tuta e la mano iniziò a fargli così male da rendergli difficile reprimere le urla che avrebbero fatto abortire la missione.
Ma ascese comunque per un’ora e mezzo e poi si lanciò. Durante la caduta libera sfiorò la velocità del suono, stabilendo un record ancora imbattuto.
Con lui naturalmente c’era una compagna immancabile: la macchina fotografica.
E’ grazie ad un’attrezzatura che per quel tempo era avveniristica che Kittinger fu ripreso mentre si lanciava dal pallone e poi fu lui stesso operatore con una fotocamera agganciata alla tuta. La qualità non era delle migliori ma è un caso perfetto per la famosa frase “la miglior macchina fotografica è quella che hai con te”.

Ad oltre cinquant’anni da quell’impresa, qualcuno ci riprova. Proprio in questi giorni un progetto chiamato Red Bull Stratos tenterà di superare il record di Kittinger, con un lancio umano da 120.000 piedi.
Naturalmente non mancherà un’adeguata copertura videofotografica, che comprende anche fotocamere reflex comunemente in commercio, destinate a volare molto in alto, sopportando le condizioni estreme della stratosfera.
Se una normale reflex vola ad oltre 36.000 metri senza particolari problemi, penso che la possiamo anche portare allegramente al mare o in montagna, col vento o con la pioggia, senza tante preoccupazioni 🙂

Per chi è interessato, ecco qui sotto due interessanti video: il primo è un filmato d’epoca sull’impresa di Kittinger, mentre il secondo è la presentazione del progetto Red Bull. Buona visione!
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Downhill riders

Downhill riders – © Copyright 2009 Pega

Per la missione fotografica di questo fine settimana ti propongo qualcosa di non facile, una sfida che però potrebbe saper regalare discrete soddisfazioni.
Ti invito ad esplorare fotograficamente quello che nella cultura orientale è il concetto dello “Yohaku-no-bi” ovvero la “bellezza di ciò che manca” , il gusto di esprimere il bello attraverso il togliere o il nascondere.
Per questo weekend assignment ti invito a fotografare lo spazio negativo.

A differenza di altre arti, della musica per esempio, dove per togliere si ricorre al “non mettere”, in fotografia si ha la possibilità di esplorare questo aspetto in due modi.
Il primo è quello di cui parlavo nel post “l’arte del levare” di qualche tempo fa, il secondo è invece quello di creare uno spazio negativo nelle nostre immagini.
Lo spazio negativo può essere ciò che circonda il nostro soggetto e lo esalta, crea drammaticità ed intensità nell’immagine, oppure può essere il soggetto stesso della nostra fotografia.

In questo fine settimana prova ad affrontare liberamente questo tema ed a realizzare qualche scatto. Dopo, se vuoi, condividi le tue immagini inserendole in un commento qui sotto. È divertente confrontarsi e può portare a vedere la tua foto visitatori che la apprezzeranno.
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Clicca qui per visualizzare l’elenco di tutti i Weekend Assignment precedentemente proposti.

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Hubble Deep Field

Ci sono immagini che vanno oltre la fotografia, come questa sopra che mi ha letteralmente rapito. Per un tempo che non saprei ben definire mi sono trovato a sbirciarla tutta, ingrandita fin nei dettagli più piccoli che in realtà sono porzioni di spazio enormi, molto difficili da descrivere a parole e forse anche con i numeri.
Insomma mi sono sorpreso a pensare a ciò che abbiamo davanti guardando una foto come questa.

E’ nota come Hubble Ultra Deep Field  ed è una fotografia digitale che il telescopio spaziale ha scattato alla porzione di universo inquadrata dal suo sensore.
I puntini più piccoli sono galassie, le galassie più antiche e quindi anche più lontane. Dall’inizio del tempo viaggiano allontanandosi dal centro dell’universo a velocità elevatissime. Guardandole vediamo ciò che di più antico i nostri occhi possono vedere, e lo vediamo com’era circa 13 miliardi di anni fa: il tempo che la luce ha impiegato per arrivare all’Hubble.
La fotografia è una macchina del tempo molto potente in questo caso.

Alcuni di questi puntini non sono singole galassie ma addirittura gruppi di decine o centinaia di galassie, così lontane da apparire come una singola entità ma in realtà in allontanamento anche tra loro, in una dinamica dove la forza di gravità non riesce a vincere le enormi distanze che si sono create tra questi corpi celesti.

Noi ce ne stiamo su un piccolo ed insignificante corpuscolo blu su un rametto secondario della Via Lattea. Anche noi ci allontaniamo a grande velocità da tutto il resto dell’universo che quindi pian piano diviene sempre più rarefatto e “vuoto”.
Si, vuoto proprio come lo è l’infinitamente piccolo, quello che definisce la materia solida che possiamo toccare, che in realtà è fatta di enormi distanze vuote tra i suoi atomici elementi compositivi.

E’ una fotografia straordinaria. Assoluta.
Lo è per quello che rappresenta ma sopratutto, come tutte le grandi foto, anche per ciò che ti spinge a pensare.

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NASA Astronauts Photography ManualBeh, si lo confesso: volevo fare l’astronauta.
Mi andava a genio l’idea di essere sparato su un missile e farmi qualche giro in orbita per guardare il nostro pianetucolo da un punto di vista parecchio esclusivo…
Ma adesso che ho trovato questo, rimpiango proprio di non averci provato con più impegno! Si tratta del manuale preparato appositamente per insegnare agli astronauti a fotografare.
Accidenti: volare nello spazio e fotografare allo stesso tempo… sublime.

A parte le battute, eccoti un interessante documento che puoi scaricare qui in PDF. E’ un breve manualetto di sole 40 pagine con cui la NASA, insieme al fornitore ufficiale di fotocamere spaziali Hasselblad, insegna come si usa una macchina fotografica.
Il fatto che si tratti di fare foto nello spazio è quasi secondario, qui vengono insegnati i concetti di base (che poi sono tutto ciò che serve) e poco più, con una sintesi ed un’efficacia che solo la NASA sa avere…

In attesa di future opportunità di fare turismo spaziale è comunque una lettura preziosa per tutti: esperti e non esperti.

[fonte Universe Today]

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Crepa!

Crepa! (the Ipholaroid project) - © Copyright 2009 Pega

Fermarsi a inquadrare un muro, magari accorgendosi dello sguardo perplesso delle persone che ti circondano.
Oppure tornare, dopo mesi o anni, a fotografare quella spaccatura nella parete, quasi con la sensazione di aver a che fare con qualcosa di vivo.
È forse proprio quest’ultima idea che mi porta spesso a far foto alle crepe.

La crepa è il vuoto che inesorabilmente riconquista il suo spazio nel pieno.
È il nulla che nel tempo fa breccia e vince sulla dura materia, troppo rigida per resistere veramente a lungo all’azione del caos.

Trovo sempre affascinanti le fessure, le spaccature piccole o grandi che possiamo trovare con facilità in ogni opera muraria, ma anche in natura. Sono fotogeniche nella loro lentissima ma inesorabile vitalità.
E così ho iniziato un piccolo progetto fotografico tutto dedicato alle crepe. Vedremo cosa ne viene fuori.

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Space photographer

In queste sere di “Luna Rossa” e di cielo stellato, non posso fare a meno di pensare che ai bordi della nostra atmosfera è stato perpetrato una sorta di piccolo delitto fotografico.
Beh, niente di veramente grave ma chi è appassionato in particolare a fotocamere e obiettivi deve sapere che in questi giorni, subito prima del rientro in atmosfera, l’astronauta Italiano Paolo Nespoli ha abbandonato ad un brutto destino un bel po’ di preziosa attrezzatura fotografica.
Nespoli è infatti rientrato dalla sua missione sulla IIS con la Soyuz russa, composta dalla capsula che riporta a terra gli astronauti e dal modulo orbitale, che viene abbandonato e si disintegra al rientro nell’atmosfera.
Tutto il materiale “non strettamente indispensabile” viene lasciato in questo modulo orbitale “a perdere” e così è stato anche per una coppia di magnifiche fotocamere professionali Nikon (una D3s ed una D3x) oltre ad almeno un obiettivo Nikkor 24-120.
Stringe il cuore pensare a tutto quel ben di dio che si vaporizza mentre il modulo russo brucia al rientro e qualcuno ha anche calcolato che lo “spreco fotografico” dovrebbe essere nell’ordine dei 13/14.000 euro.
Si tratta certamente di una bazzecola rispetto ai costi enormi delle missioni spaziali, dove portare un chilogrammo in orbita costa molto caro: almeno 5.300 dollari con la Soyuz usata da Nespoli.
Facendo due conti quindi i 4,3kg di attrezzatura di cui stiamo parlando hanno avuto un costo di messa in orbita ben maggiore del loro valore.

Beh comunque, se ti dovesse capitare di trovare un pezzo di paraluce bruciacchiato in giardino… Saprai da dove viene.
🙂

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rivista Hyde Park

In questi giorni ho avuto modo di scoprire uno spazio online ed una rivista ad esso collegata che non conoscevo.
Si tratta di Hyde Park, un progetto che ho trovato interessante ed a cui ti invito a dare un’occhiata. E’ uno spazio web aperto alla condivisione di idee e progetti, con particolare attenzione alle espressioni artistiche come fotografia e poesia, ma anche all’ambiente ed all’attualità.
La volontà dei creatori di questa iniziativa è quella di creare una sorta di “speaker’s corner”  come quello del famoso parco londinese che dà appunto il nome alla rivista.

Chiunque può sottoporre i propri lavori alla redazione che poi provvede a selezionarli e pubblicarli in una veste che li valorizza sotto forma di rivista cartacea ma anche in versione PDF che rimane sempre e gratuitamente disponibile per la lettura in rete.

Una bella idea, realizzata in modo intelligente ed aperto,

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