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Walker Evans

Walker Evans

C’è un fotografo che rappresenta uno dei punti di riferimento più importanti nella storia del fotogiornalismo: è Walker Evans.
Nato a Saint Louis nel 1903, dopo gli studi ed alcuni tentativi di diventare scrittore, si dedicò alla fotografia ed in particolare al reportage.
Le sue immagini dei luoghi e delle persone colpite dalla Grande Depressione, che negli anni ’30 si abbattè sugli Stati Uniti, lo resero famoso come anche quelle che scattò a Cuba proprio durante la rivolta contro Machado nel 1933. Le espressioni e le atmosfere colte ne fecero uno dei maggiori interpreti della cosiddetta “straight photography”, il movimento di “fotografia diretta” che nella prima metà del novecento gettò le basi per lo sviluppo del fotogiornalismo e della fotografia di reportage.

Bud Fields and his family, Alabama

Bud Fields and his family, Alabama – Copyright 1935 Walker Evans

I sostenitori della straight photography si proponevano una rappresentazione della realtà che fosse il meno possibile manipolata da tecniche o artifici, questo al fine di creare immagini che fossero in grado di trasmettere con realismo ed efficacia tutta la realtà e la drammaticità dei soggetti ritratti.
E’ proprio questo l’atteggiamento rilevabile nei reportage realizzati da Evans nell’America della Grande Depressione. I luoghi e le persone sono ritratte con uno stile volutamente diretto, non mediato, spesso in un modo che non è difficile giudicare crudo e che per il tempo era assolutamente innovativo.
La visione di Walker Evans sta tutta in questi scatti, nella capacità di scegliere i soggetti e le inquadrature in un modo che trasmette con forza all’osservatore tutte le difficoltà di quel momento.

Io lo trovo assolutamente attuale.
Evans ha lasciato una traccia profonda e rimane tutt’oggi una costante fonte di ispirazione per tanti fotografi di reportage in attività.

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Daguerre

Louis Jacques Mande Daguerre

Erano gli albori della fotografia quando nel 1839 Louis Daguerre annunciò al mondo la sua invenzione denominata molto “modestamente” Dagherrotipo.

Si trattava in realtà del prodotto degli studi e delle prove che da alcuni anni stava conducendo insieme al suo socio Nicèphore Niepce, scienziato ed inventore, che però morì proprio poco prima del raggiungimento del successo finale: l’invenzione di una macchina che poteva catturare immagini.
Daguerre si prese tutto il merito ed anche tutti proventi di un brevetto che non esitò a registrare a suo nome.
In pochi mesi il manuale di istruzioni che accompagnava la macchina fu tradotto in ben 23 lingue ed il Dagherrotipo iniziò ad essere acquistato in ogni parte del globo da persone che volevano fare della fotografia la loro fonte di ricchezza. Sì ricchezza, perchè una vera e propria sete di ritratti di qualità divorava le borghesie e le piccole aristocrazie dei paesi che si stavano industrializzando, una gran quantità di persone poteva ora finalmente esaudire un desiderio che fino a pochi anni prima era riservato solo ai più facoltosi in grado di permettersi di pagare un bravo pittore.
DagherrotipoIl costo delle fotografie con il Dagherrotipo non era proprio alla portata di tutti ma questo non impedì il fiorire di questo business che faceva completamente capo a Daguerre, sia in termini di produzione delle macchine che di fornitura di tutto il necessario per utilizzarle.
Negli Stati Uniti il successo fu strepitoso e dagli archivi di Daguerre risulta che nel 1845 nel solo stato del Massachussets furono realizzate oltre 500.000 fotografie.
Sono numeri che oggi si consumano in un secondo ma che allora erano da capogiro, tanto che alla fine lo stesso Daguerre finì per andare in difficoltà e non riuscire più a gestire questo meccanismo vorticoso, scegliendo quindi di renderlo pubblico, donandolo allo stato francese che in cambio gli riconobbe un vitalizio.
Il funzionamento del Dagherrotipo era abbastanza complesso e si basava sulla preparazione di una lastra di rame su cui era steso un sottile strato di argento. Una volta perfettamente lucidata, la lastra veniva esposta a vapori di iodio che combinandosi con l’argento la rendevano sensibile alla luce e pronta per l’esposizione che tipicamente durava dai 3 ai 10 minuti.
Dopo si doveva passare subito alla fase di sviluppo che avveniva esponendo la lastra a dei vapori di mercurio.
Il prodotto finale era un’immagine positiva, quindi non riproducibile, ma di qualità altissima, talmente elevata da potersi considerare ancora insuperata.

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Ho trovato questo interessante video. E’ stato realizzato mettendo insieme immagini provenienti dalla Library of Congress degli Stati Uniti che nel suo sconfinato archivio conserva anche gli scatti di un giovanissimo Stanley Kubrick ai tempi in cui lavorava come fotografo per la rivista Look.

E’ il 1949 e Stanley viene inviato a Chicago per realizzare un servizio sulla “città dei contrasti”, per raccontare con le sue immagini l’atmosfera e la vita della capitale dell’Illinois.

Si tratta di un lavoro fotografico di reportage in linea con quello che era lo stile di una delle più importanti riviste del tempo. Look insieme a Life rappresentava infatti un punto di riferimento assoluto ed il suo tipico modo di raccontare luoghi e persone attraverso gli scatti dei suoi fotografi, rimane un’icona nella storia della fotografia.

Trovo sia affascinante ammirare questo lavoro di Kubrick, ancora molto giovane ma già così bravo nel cercare e trovare soggetti e spunti sempre significativi, con uno stile che poi ha saputo sviluppare e rendere così personale nella successiva ed assoluta carriera di regista cinematografico.
Buona visione.

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Jana by Dmitry Gudkov

BikeNYC Portrait: Jana - © Copyright 2010 Dmitry Gudkov

Su Flickr mi sono imbattuto in questa foto. Un ritratto ambientato di una bella ragazza e della sua minimale bici verde marchiata “Fuji” in una strada di New York.
Di questa immagine mi piace moltissimo la spontaneità, con questa posa e l’espressione fiera, quasi di intrigante sfida, della protagonista, ma anche il contesto ed il modo con cui il fotografo ha saputo gestire lo sfondo urbano con uno splendido sfuocato.

E’ uno scatto di Dmitry Gudkov ed appartiene ad un suo progetto intitolato BikeNYC dedicato alle persone che si muovono in bicicletta nella Grande Mela. Iniziato nel Febbraio del 2010 conta ormai oltre un centinaio di scatti accompagnati da brevi note su ogni soggetto fotografato.
Puoi trovare BikeNYC sul sito personale di Dmitry o nell’apposito set sul suo album Flickr.

Credo proprio che potrebbe essere interessante cimentarsi in un bel progetto del genere: così semplice nella sua concezione ma anche ricco di potenzialità.

Complimenti Dmitry.

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Robert Frank

Robert Frank

Avere qualche difficoltà perchè si sta fotografando, o anche solo si ha in mano una fotocamera, non è un problema solo dei nostri (paranoici) tempi.
Nel 1955 il famoso fotografo Robert Frank stava viaggiando in auto nell’Arkansas, lavorando a quella che sarebbe poi divenuta la sua grande e storica opera: il libro “The Americans”.
Non aveva violato alcuna legge ma fu fermato da una pattuglia della polizia che lo considerò sospetto, anzi particolarmente sospetto, dopo aver notato nella sua auto un certo numero di “macchine fotografiche”.
Gli agenti decisero così di arrestarlo e detenerlo per un interrogatorio.
La disavventura in cella non fu di lunga durata e fortunatamente  non impedì a Robert Frank di continuare il suo magnifico lavoro che uscì circa tre anni dopo.

Per chi fosse interessato ai dettagli, ecco il testo del rapporto dell’agente che effettuò l’arresto. Curioso notare come il fatto che il bagagliaio fosse pieno di macchine fotografiche sia stato considerato dall’agente come fattore sospetto.

Department of
ARKANSAS STATE POLICE
Little Rock, Arkansas

December 19, 1955

Alan R. Templeton, Captain
Criminal Investigations Division
Arkansas State Police
Little Rock, Arkansas

Dear Captain Templeton:

On or about November 7, I was enroute to Dermott to attend to some business and about 2 o’clock I observed a 1950 or 1951 Ford with New York license, driven by a subject later identified as Robert Frank of New York City.

After stopping the car I noticed that he was shabbily dressed, needed a shave and a haircut, also a bath. Subject talked with a foreign accent. I talked to the subject a few minutes and looked into the car where I noticed it was heavily loaded with suitcases, trunks and a number of cameras.

Due to the fact that it was necessary for me to report to Dermott immediately, I placed the subject in the City Jail in McGehee until such time that I could return and check him out.

After returning from Dermott I questioned this subject. He was very uncooperative and had a tendency to be “smart-elecky” in answering questions. Present during the questioning was Trooper Buren Jackson and Officer Ernest Crook of the McGehee Police Department.

We were advised that a Mr. Mercer Woolf of McGehee, who had some experience in counter-intelligence work during World War II and could read and speak several foreign languages, would be available to assist us in checking out this subject. Subject had numerous papers in foreign langauges, including a passport that did not include his picture.

This officer investigated this subject due to the man’s appearance, the fact that he was a foreigner and had in his possession cameras and felt that the subject should be checked out as we are continually being advised to watch out for any persons illegally in this country possibly in the emply of some unfriendly foreign power and the possibility of Communist affiliations.

Subject was fingerprinted in the normal routine of police investigation; one card being sent to Arkansas State Police Headquarters and one card to the Federal Bureau of Investigation in Washington.

Respectfully submitted,
Lieutenant R.E. Brown, Lieutenant
Comanding
Troop #5
ARKANSAS STATE POLICE
Warren, Arkansas

REB:dlg

[fonte: Thomas Hawk]

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È bello farsi ispirare dai capolavori di qualcuno che si ammira ed è per questo che ti propongo una splendida raccolta di immagini.
E’ un video realizzato con gli scatti di un’artista che ha un posto molto importante nella storia della fotografia del novecento e della quale ho anche parlato di recente : Dorothea Lange.
L’ho scovato in rete rimanendone semplicemente affascinato, anche perchè contiene diverse foto che non mi era mai capitato di vedere.
Siediti e mettiti comodo, assicurati di avere qualche minuto di tranquillità e, se puoi, alza un po’ il volume perchè anche l’accompagnamento musicale è apprezzabile.

Dorothea Lange un giorno disse : “La macchina fotografica è uno strumento che insegna a vedere senza una macchina fotografica”.
Credo sia una gran verità.

Buona Visione
.

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dorothea_lange

Dorothea Lange

Durante la grande crisi economica che sconvolse gli Stati uniti negli anni trenta, il governo americano finanziò alcuni progetti di documentazione e, aattraverso la FSA (ente per il monitoraggio della crisi del settore agricolo), coinvolse un piccolo gruppo di fotografi perchè realizzassero immagini della situazione in cui vivevano i contadini colpiti dalla Grande Depressione.
Tra questi fotografi c’era una donna, una giovane artista che si era fatta notare nell’ambiente della fotografia documentaristica come aderente al movimento della straight photography: si chiamava Dorothea Lange.

Dorothea già aveva un piccolo studio fotografico a San Francisco, aperto dopo aver lavorato come apprendista presso studi molto famosi come quello di Clarence White (il fondatore della cosiddetta photo secession) ed Arnold Genthe.

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Toward Los Angeles, California - 1937 Dorothea Lange

Le sue foto, a differenza di quelle che uscivano da molti studi fotografici della città, non erano ritratti di ricchi signori o famiglie felici ma ritraevano spesso le situazioni difficili dei sobborghi, dei quartieri poveri, le file dei disoccupati in cerca d’impiego.
Erano scatti intensi ed impegnati, privi di formalismi o compiacimenti esteriori.
Era fotografia di denuncia.

Il lavoro commissionatole dalla FSA la portò a lungo in giro per l’america, al seguito di quelle tante persone che si spostavano verso ovest in una migrazione mossa dalla speranza di trovare fortuna o anche solo un lavoro nelle piantagioni di mais o cotone.
Fu nel 1936 che realizzò una delle sue immagini più famose: il ritratto di una madre migrante, una donna di trentadue anni con sette figli che la Lange avvicinò e fotografò in California, in un campo di “raccoglitori di piselli” o per meglio dire di disperati alla ricerca di un modo per sopravvivere.

migrant_mother_Dorothea_Lange

Migrant mother, 1936 - Dorothea Lange

Il ritratto, con quello sguardo dove la disperazione si perde nel vuoto, fu pubblicato e fece il giro degli Stati Uniti, tanto che la FSA decise di inviare degli immediati aiuti sul posto.
La fotografia, con la sua carica emotiva e la sua drammaticità, aveva sortito un qualche risultato.

Superato il periodo della Grande Depressione, Dorothea Lange continuò a fotografare secondo quello che era il suo istinto, sempre alla ricerca di situazioni da far emergere e denunciare.

Bambini Giapponesi-Americani promettono fedeltà alla bandiera Americana - Dorothea Lange 1942

Molto importante ed all’epoca molto criticato, fu il suo lavoro fotografico teso a denunciare la situazione dei Giapponesi-Americani che, dopo l’attacco di Pearl Harbour, furono raccolti ed internati in campi di prigionia. Migliaia di persone, bambini compresi, che d’un colpo si trovarono reclusi senza colpe nè prove, apparvero negli scatti della Lange colpendo come un pugno nello stomaco le patriottiche coscienze d’america.

Nel 1945 fu invitata da Ansel Adams ad entrare a far parte della California School of Fine Arts, nel 1947 collaborò alla fondazione dell’agenzia Magnum e nel 1951 fu tra i fondatori della prestigiosa rivista Aperture.
La sua carriera continuò attraverso importanti collaborazioni con riviste come Life e la stessa Aperture nonostante condizioni di salute sempre più difficili dovute anche alle conseguenze di una poliomelite contratta in giovanissima età.
Morì nel 1965, a 70 anni, poco dopo aver scherzato con le persone al suo capezzale e, naturalmente, dopo averle fotografate.

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Ansel Adams

Ansel Adams

Tempo fa è rimbalzata in rete una notizia che sicuramente ha incuriosito chi è appassionato di fotografia. Pare che una decina di anni fa un tipo di nome Rick Norsigian avesse scovato in un mercatino delle pulci in California, un paio di scatole piene di vecchi negativi su lastra di vetro acquistandoli per 45 dollari dopo un po’ di trattativa col venditore che ne chiedeva ben settanta.

Poi, consigliato da un amico fotografo, Rick decise di far studiare la calligrafia delle scritte sui contenitori e sulle scatole arrivando a scoprire e far “certificare” che si tratta di foto del grande Ansel Adams.

La cosa ha avuto una notevole econ nella comunità fotografica perchè questi lavori apparterrebbero ad un periodo di Adams di cui si è perso tutto perchè la sua camera oscura bruciò in un incendio negli anni ’40, portandosi via 5000 scatti : gran parte del suo lavoro giovanile.

Sembra che questi 65 negativi si siano salvati perchè portati da Ansel ad un corso di fotografia che stava tenendo a Pasadena nel 1940 e visto l’immenso interesse che suscitano, pare possano essere oggetto di una agguerritissima lotta per l’aggiudicazione da parte di collezionisti e musei. Si è parlato di un valore totale che sfiora i 200 milioni di dollari e quindi la notizia ha fatto capolino anche sulla stampa non specializzata.
Non male per un acquisto da 45$ al mercatino eh ?

Beh, ora però pare stiano spuntando dei dubbi.
Alcuni fotografi hanno provato a studiare alcuni di questi scatti, scoprendo che invece potrebbe trattarsi del frutto di una fotocamera che non era quella di adams ma quella di suo zio, col quale Ansel andava a fotografare in quel periodo.
Qualcuno addirittura comincia a sostenere che sia tutta una bufala…

Un bell’enigma eh… Di sicuro ne sentiremo riparlare…

In ogni caso… se ancora avevi dubbi non ti resta che iniziare davvero la tua collezione di “lavori” di altri fotografi, proprio come dicevo in un post di qualche giorno fa…
Chissà che quelle stampe non possano diventare un giorno di notevole valore ! 🙂

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Più che di una foto-passeggiata qui si tratta di una vera e propria impresa.
Mike ha composto questo video con circa 2.700 foto che si è scattato mentre attraversava a piedi gli Stati uniti, da New York a San Francisco. 

Ne è venuto fuori questa sorta di “time lapse” realizzato con maestria. Veramente carino.
Assolutamente da vedere.

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Adams_Chelly

Canyon de Chelly Arizona - Copyright National Archives, Ansel Adams

Per chi ancora non avesse avuto occasione di vederle, segnalo le foto inedite di Ansel Adams che l’Interior Department Statunitense ha pubblicato di recente sul suo sito, dedicando alcune pagine ad un lavoro che nel 1941 fu commissionato al famoso fotografo che decise di intitolarlo “The Mural Project 1941-1942“.

Si tratta di 26 scatti eseguiti nel miglior stile di Adams, mostrati solo ora al pubblico in una esposizione visibile dal vivo nei corridoi del Dipartimento o, più facilmente cliccando qui .

Per chi volesse approfondire c’è anche un interessante video a questo indirizzo.

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