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Posts Tagged ‘fotografo’

Steiglitz
Quinto appuntamento con un fotografo fotografato. È il turno del grande Alfred Stieglitz, immortalato nel 1902 da Gertrude Käsebier.
Il suo è un nome assoluto: vissuto a cavallo tra ottocento e novecento è l’uomo a cui la fotografia deve il suo riconoscimento di forma d’arte vera e propria. Prima di lui il ruolo del fotografo era essenzialmente legato ad una funzione informativa e documentativa ma nei primi anni del novecento il movimento Photo-Secession, creato da Stieglitz, contribuì molto a dare corpo artistico all’opera Fotografica, regalandole piena libertà di espressione ed un posto importante nell’arte moderna.
Prometto che parlerò più approfonditamente di questo grande fotografo in qualche futuro post, nel frattempo facciamone la conoscenza gustando questo intenso ritratto realizzato dalla Käsebier, fotografa non famosissima ma comunque importante. Fu paladina dei diritti civili dei nativi americani e tra le prime a capire le grandi possibilità di carriera in ambito fotografico anche per le donne.

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I precedenti cortocircuiti fotografici:

#1: Eugene Atget fotografato da Berenice Abbott
#2: Berenice Abbott fotografata da Hank O’Neal
#3: Edward Weston fotografato da Tina Modotti
#4: Tina Modotti fotografata da Edward Weston

 

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Kate Moss

Kate Moss – Copyright 1993 Albert Watson

Kate Moss la considera una delle più belle foto che le siano mai state scattate. Fu realizzata dal fotografo di moda Albert Watson nel 1993 sulla spiaggia di Marrakech, alla fine di una sessione di scatti per la rivista di moda Vogue.
Era il diciottesimo compleanno di Kate e dopo tre estenuanti ore di foto e continui cambi di abiti Watson si rivolse alla modella e le disse: “adesso che abbiamo finito con il lavoro, perché non ti spogli?”.
Il risultato furono alcune immagini tra cui quella qui a fianco, divenuta un’icona e battuta all’asta da Bonhans pochi anni dopo a Londra dove se la aggiudicò un acquirente anonimo per venticinquemila dollari. Successivamente altre stampe originali di questa foto hanno raggiunto valori da capogiro, come nel caso di una di grande formato battuta da Christie’s nel 2007 a 108.000 dollari.

Alfred Hitchcock

A. Hitchcock – Copyright 1973 Albert Watson

Le foto di Albert Watson sono apparse su oltre duecento copertine di Vogue ma anche altre importanti riviste come Rolling Stone.
Non vedente da un occhio, Watson studiò arte e design in Scozia per poi trasferirsi a Los Angeles negli anni settanta.
Tra le sue foto più note c’è il famoso ritratto di Alfred Hitchcock che mostra un’oca spennata. Watson lo realizzò nel 1973 per il numero di Natale di Harper’s Bazaaar in cui il famoso regista, presentando in un articolo la sua ricetta per l’oca, rivelava al pubblico la sua seconda grande passione: la cucina.
Come riconoscimento ad una notevole carriera che si è sviluppata nell’arco di oltre trentacinque anni, nel 2010 a Watson è stato assegnato uno dei riconoscimenti più ambiti della Royal Photographic Society’s: il “lifetime achievement award” Centenary Medal.
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Fretta di crescere

Fretta di crescere (the IPholaroid project) © Copyright 2010 Pega

C’è una frase che Cartier Bresson disse a proposito del suo approccio alla fotografia: “Una volta che la foto è scattata non sono tanto interessato a cosa succede dopo. Del resto non tutti i cacciatori sono cuochi”.

E’ il punto di vista di un grande maestro, sicuramente rispettabile ma che personalmente trovo troppo “predatorio”, innaturale da condividere.
Di sicuro l’attimo dello scatto, “l’istante decisivo”, come lo chiamava Bresson, è un elemento portante di molte fotografie… ma non sempre.
A volte la “creatura” viene solo concepita in quel momento. Poi deve svilupparsi, modificarsi, crescere e maturare, nelle fasi che seguono.
Secondo me, dalla scelta del taglio al trattamento di sviluppo, sia dentro alla tradizionale camera oscura o davanti al computer nei processi digitali, il fotografo, nella veste di cuoco e non più di cacciatore, continua ad esercitare la sua spinta creativa, fino a tirar fuori l’opera finale.
Certo, è il mio punto di vista, ed è solo un esempio di come si possa affrontare la fotografia in modi diversi, secondo diverse filosofie ed approcci.
Il bello è che nessuno di questi deve per forza escluderne un altro e si può tranquillamente, ed anche contemporaneamente, esplorare terreni differenti, crescendo e divertendosi.
E tu come ti senti? Cacciatore o cuoco?

🙂

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Erdal Inci

© Copyright Erdal Inci

Erdal Inci è un fotografo di Istambul che ho scoperto grazie all’amico Salvatore Ambrosi, che qualche tempo fa mi ha inviato il link al suo sito.
Erdal gioca con il concetto di sequenza realizzando serie di immagini in cui si ritrae in movimento, combinandole poi in modo da creare un “evento senza fine”: un loop fotografico.
A volte sfruttando semplicemente la sua figura, altre con l’ausilio di luci, il fotografo crea la sensazione di un istante che si perpetua all’infinito, catturando l’attenzione dell’osservatore in modo quasi ipnotico, forse ossessivo.
Sul sito ci sono parecchi esempi realizzati da Erdal, alcuni decisamente belli. Non so bene come faccia Erdal ad ottenere questo risultato ma, sebbene non credo sia tecnicamente difficile, devo dire che la trovo una bella prova di creatività e capacità di saper elaborare cose interessanti anche partendo da idee semplici.
Di questo suo talento ne è prova un altro suo lavoro presente sul sito, qualcosa di un po’ diverso dal loop ma sempre basato sull’idea di sequenza: il breve video qui sotto intitolato Tuf Tuf.
Buona visione
🙂

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Il ritratto di un fotografo è una sorta di cortocircuito, un cerchio che si chiude. Quando poi il fotografo è un grande maestro, un protagonista della storia di questa forma d’arte, allora l’immagine assume un fascino tutto speciale, almeno per me.
É il caso di questo ritratto di Eugene Atget, il grande fotografo francese che visse a cavallo tra ottocento e novecento, considerato da molti come uno dei padri della fotografia moderna.
Fotografò per oltre trenta anni la sua Parigi, un lavoro immane di oltre 10.000 negativi (che per i tempi erano un’infinità) teso a documentare una città che si stava trasformando, modernizzando, e che Atget fissava non tanto con atteggiamento artistico quanto con un approccio che potrebbe essere definito come commerciale. Molti suoi scatti erano infatti realizzati per fornire materiale ai pittori ed agli illustratori di libri sulla città.
In questa sua ricerca Atget espanse le possibilità della fotografia e sviluppò un suo linguaggio fatto di poesia ed estetica formale che lo consacra tra i più importanti artisti della storia della fotografia.
Ed eccolo qui Eugene Atget, dopo quasi un secolo, qui sul tuo monitor.
Guardalo negli occhi, mentre si sta facendo fare un ritratto da Bernice Abbott in un bel pomeriggio del 1927.
Un cortocircuito con i fiocchi.

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André Kertész è un mio mito. Nato nel 1894 può essere a buon titolo considerato tra i più importanti fotografi del novecento e sebbene il suo nome non sia spesso tra quelli citati quando si parla di maestri della fotografia, ha rappresentato un punto di riferimento e di ispirazione per molti “grandi”.
Di lui Henri Cartier-Bresson disse “Tutto quello che abbiamo fatto, Kertész l’ha fatto prima” e ciò dovrebbe bastare per rendere l’idea.
Definito come “inclassificabile”, era introverso e riservato, poco incline al protagonismo. Fotografava guidato principalmente dall’istinto e dal suo notevole talento, riuscendo sempre a dimostrare che qualsiasi aspetto del mondo, dal più banale al più importante, merita di essere fotografato.
André Kertész, dopo aver vissuto come soldato gli orrori nelle trincee del primo conflitto mondiale, documentando con una piccola fotocamera la vita dei suoi simili, si trasferì a Parigi per lavorare come fotografo, insegnando ad usare la macchina fotografica a personaggi del calibro di Brassai.
Sul finire degli anni ’30, insieme ad Henri Cartier-Bresson, iniziò a lavorare per la rivista Vu, il cui stile influenzò le testate americane Life e Look.
Prima della seconda guerra mondiale si trasferì negli Stati Uniti, dove rimase per il resto della sua vita, collaborando con importanti riviste ma anche sviluppando un suo filone artistico indipendente che, secondo me, lo rende uno dei personaggi più affascinanti della fotografia del XX secolo.
Se ne andò nel 1985 lasciando qualcosa come 100.000 negativi.
Il video che ti propongo qui sotto è un breve documentario girato nei primi anni ottanta, poco prima della morte del fotografo Ungherese. Mostra Kertész a Parigi ed è un bell’omaggio ad un anziano signore che si muove con modestia alla ricerca dei suoi scatti. Sembra timido, impacciato, sicuramente non è più il Kartész degli anni d’oro, ma le fotografie che scorrono tra una scena e l’altra parlano da sole, sono capolavori che hanno influenzato personaggi importantissimi.
L’audio del video è in francese, ottima occasione per capire come si pronuncia il suo cognome.
Ciao André.

(Se non visualizzi il video puoi trovarlo direttamente qui)

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Araki Yakuza 1994

Yakuza – © Copyright 1994 Nobuyoshi Araki

Nobuyoshi Araki è uno dei più conosciuti e controversi fotografi giapponesi viventi. La sua fotografia si insinua nei vicoli malfamati di Tokyo per documentare il vuoto emotivo dei quartieri a luci rosse, l’oscenità di luoghi e situazioni ai bordi della legalità con scatti carichi di grande energia.
E’ un fotografo borderline ed è per questo che lo trovo interessante.
Per il contenuto delle sue immagini è stato più volte arrestato per violazione delle leggi giapponesi sull’oscenità ed indicato come misogino, in particolare per alcuni suoi scatti degli anni ’80 riguardanti l’industria del sesso nel distretto di Kabukicho, poi pubblicati nel libro “Tokyo Lucky Hole”.
Sebbene anche il curatore di un museo ospitante le sue opere sia stato arrestato per averle esposte, Araki in realtà non ha mai subito condanne ed il suo inquietante lavoro alla fine è sempre stato riconosciuto come di notevole valore artistico.

Incredibilmente prolifico, Araki ha al suo attivo oltre 350 pubblicazioni ed è considerato il più produttivo artista Giapponese mai esistito.
Tra le persone che ne sostengono il lavoro c’è Björk, l’eclettica musicista islandese che ha scelto Araki per le copertine di alcuni suoi album.
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Guitar 2 by PPP

Guitar 2 – © Copyright 2008 Pega

Un tipo dalla carnagione chiara alza il volume dello stereo mentre guida la macchina. Forti note ed un bel suono di chitarra rock emergono dagli altoparlanti.
“Hey! Che roba è?” chiede l’amico afroamericano dal sedile posteriore.
“È Jimi Hendrix”
“No, lo so chi è, ma perchè tu metti Jimi?”
“Mi piace ascoltarlo”
“Oh, ti piace ascoltarlo. Ecco, è qui che sta il problema. Voi lo ascoltate”
“Che cosa dovrei fare? Mangiarlo?” chiede il tipo alla guida.
“No, no. Dovresti provare a sentirlo” insiste il passeggero.
“Ma sei scemo? Ti ho appena detto che mi piace ascoltarlo!”
“Lo so, ma c’è una bella differenza tra sentire ed ascoltare. Voi bianchi non lo potete sentire Jimi. Voi lo potete soltanto ascoltare“.

È uno scambio di battute tratto dal film “Chi non salta bianco è” del 1992. Ricordando questo dialogo non ho potuto fare a meno di pensare a quanto possa esistere lo stesso anche per la fotografia, perche anche con alcune immagini si può rischiare la stessa cosa: ci si può limitare a vederle.
Ovvio, non è una questione di razza ma di atteggiamento.
Con certe fotografie è solo provando ad entrarci in sintonia, “cambiando pelle”, immedesimandosi con il fotografo ed il suo soggetto che si può andare oltre ed iniziare a guardarle davvero, arrivando magari fino a sentirle.

Sarebbe un peccato rimanere nei panni dei bianchi che, nel video sotto sembrano proprio ascoltare senza assolutamente “sentire” la musica di Jimi Hendrix, non trovi?
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nuclear blast by Pega

Nuclear blast – © Copyright 2008 Pega

Esattamente cinquantotto anni fa.

E’ il 19 luglio del 1957, nel pieno della guerra fredda. Negli Stati Uniti la popolazione vive nel terrore di possibili attacchi nucleari.
Tra esperimenti atomici sopra e sotto il suolo viene deciso che l’opinione pubblica ha bisogno di essere un po’ tranquillizzata.
Vengono trovati cinque volontari. Sono ufficiali dell’aviazione disposti a beccarsi in pieno un’esplosione nucleare. Rimangono in piedi e senza protezioni sul terreno del deserto del Nevada mentre un (modesto) ordigno atomico da 2 kiloton viene fatto esplodere a 10 mila piedi (circa 3,3Km) sopra di loro.

Nessuno sa che fine abbiano fatto quei poveretti. Se siano sopravvissuti a lungo a quell’esperienza o morti poco dopo di cancro, come successe a tanti membri di troupes cinematografiche che in quei luoghi girarono film western poco tempo dopo.
Erano cinque volontari.
Ma con loro c’era una sesta persona: il fotografo che scattò immagini e realizzò il breve filmato che puoi vedere qui sotto.
Lui non era un volontario, era lì per lavoro.

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Picasso

Pablo Picasso – Painting the writer

Proprio come quelle fisiche, anche le foto mentali avrebbero bisogno di essere fissate, trasferite su carta e stampate.
Quando parlo di foto mentale mi riferisco a ciò che più o meno istintivamente tutti facciamo, immagazzinando immagini nel nostro cervello, una cosa che può appassionare chi ama la fotografia e di cui mi capitò di parlare in questo vecchio post.
Visto che se non riusciamo a “stamparle”, queste foto non solo rischiano l’oblio ma nemmeno possono essere condivise con altri, ecco che nasce l’esigenza di provare a fissarle in qualche maniera, ed ovviamente il modo più semplice e naturale per farlo è scrivere.
Hai mai provato a scrivere, anzi descrivere, una tua foto mentale? Vanno trovate le parole giuste, bisogna essere sintetici ma non tralasciare niente. La foto non va bruciata con eccesso di parole ma “esposta” correttamente, cercando di non perdere l’equilibrio, non alterare la composizione e riportando al meglio i colori se ci sono.
Non è detto che sia facile e alla fine stampare una foto mentale è davvero molto simile al processo di stampa delle fotografie. È un’arte.
Vuoi provarci? Potrebbe risultare così bello da cedere poi alla tentazione di incorniciarne ed appenderne qualcuna.
Nel frattempo ti propongo un esempio, invitandoti a leggere questa splendida stampa, pubblicata da Livietta sul suo blog.

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