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Posts Tagged ‘tradizione’

La luce del sapere

La luce del sapere – © Copyright 2011 Pega

Anche per chi si interessa di fotografia, la forma scritta è una delle vie più efficaci per la trasmissione del sapere. É così per tante discipline, almeno da quando l’uomo ha superato la sola “tradizione orale”.
I libri sono insomma uno dei sistemi più validi che abbiamo per imparare e mi chiedo quindi perché molti fotografi continuino a snobbare uno dei testi più importanti a loro disposizione. Si tratta di un volumetto che spesso si riduce a poche decine di pagine e che tanto li aiuterebbe a migliorare. Di cosa sto parlando? Del manuale della fotocamera.
C’è poco da fare: conoscere intimamente le caratteristiche della propria macchina fotografica è una condizione minima per riuscire a fare delle buone fotografie e la fonte più autorevole non sono gli amici o i conoscenti che usano lo stesso prodotto, ma chi l’ha progettata e costruita.
Riesci ad immaginare un Weston, un Bresson o un Adams alle prese con una fotocamera che non sapevano usare con sicurezza? Avrebbero saputo regolarla ugualmente, con perizia e precisione, magari senza nemmeno guardarla, sfruttandola al meglio per realizzare le loro fotografie?
Difficile.

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Crepa

Crepa. (IPholaroid project) – © Copyright 2010 Pega

Fermarsi ad inquadrare la piccola fessura aperta in un muro , incurante dello sguardo perplesso delle persone che ti circondano. Oppure tornare, dopo mesi o anni, a fotografare quella spaccatura nella parete, quasi con la sensazione di avere a che fare con qualcosa di vivo. Forse é proprio quest’ultima idea che ogni tanto mi spinge a far foto alle crepe e magari svilupparci un qualche progettino fotografico come il Crepa Project.
Per questo weekend assignment l’invito è quindi quello di cimentarsi proprio a su questo tema.
La crepa è il vuoto che inesorabilmente riconquista il suo spazio nel pieno. È il nulla che nel tempo fa breccia e vince sulla dura materia, troppo rigida per resistere veramente a lungo all’azione del caos.
In questo fine settimana seguimi in questa folle idea, scoprirai che le crepe sono fotogeniche nella loro lentissima ma inesorabile vitalità.
Com’è ormai tradizione di questo blog ti invito poi a condividere il risultato di questi “scatti a tema” in un commento qui sotto.
Buon divertimento!

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Clicca qui per visualizzare l’elenco di tutti i Weekend Assignment precedentemente proposti.

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20120518-004057.jpg

Oggi ti ammorbo con un po’ di vecchia tradizione popolare.
Sai chi è la santa protettrice dei fotografi?
È Santa Veronica, la donna che, secondo la tradizione cristiana, asciugò il volto di Cristo con un panno di lino su cui rimase impresso il ritratto di quest’ultimo.
A parte la chiara denotazione analogica del procedimento di generazione dell’immagine che in questo caso si verificò e che delinea la figura come prevalentemente portata ad aiutare chi fotografa a pellicola, è interessante notare che Santa Veronica è anche curiosamente considerata la patrona degli informatici, cosa che di conseguenza la rende protettrice anche dei poveri fotografi digitali.
Curioso anche che sia nota per essere patrona della Francia, nazione in cui la fotografia è stata inventata.
Le coincidenze finiscono qui. Il fatto che sia anche considerata protettrice delle lavandaie, forse, con la fotografia proprio non c’entra nulla.
🙂 🙂 🙂

P.s. In giro per il mondo si possono trovare inaspettate raffigurazioni di Santa Veronica, come ad esempio questa in un vicolo a New York, in cui appare mostrando l’effige dei temibili e perfidi Decepticons 🙂

20120518-005344.jpg

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Ian Ruther

Ian Ruhter è un fotografo di Los Angeles che ha trasformato il suo furgone in una fotocamera (gigante).
Sì, hai letto bene. Ian ha deciso di ripercorrere i passi dei pionieri della fotografia americana che, nell’ottocento, si muovevano con carri pieni di attrezzature enormi e pesanti, ad immortalare gli spazi incontaminati del nuovo continente.
Ian si sposta alla ricerca di immagini che cattura con la vecchia tecnica della lastra umida al collodio, usando come supporto enormi fogli metallici che prepara personalmente per l’esposizione con il classico bagno di sali d’argento.
Il furgone funge da corpo della fotocamera ed ogni scatto è complesso e costoso, sicuramente unico.
Nella foto sopra eccolo con una sua foto 90×60 realizzata sul lago Mammoth in California costata ben due anni di tentativi.
Se ti affascina l’argomento ti consiglio di dare un’occhiata all’interessante video sotto ed anche alla sua galleria di immagini.

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Avedon_instructions

Oggi ti ripropongo un vecchio post.
Lo scrissi subito dopo aver trovato questa immagine: uno splendido esempio di come si lavorava prima dell’avvento del digitale ed un interessante documento per chi spesso discute sul tema della postproduzione delle fotografie.
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Quante appassionate discussioni sull’opportunità o meno di intervenire sulle immagini digitali. Da una parte i puristi del “non si tocca nulla”, dall’altra gli smanettoni.
E’ curioso, ma secondo me, la diatriba non ha molto senso.
La postroduzione è sempre esistita e la questione eventualmente non sta negli aspetti tecnologici ma nella “misura”, nella capacità di trovare il giusto limite oltre il quale non andare.
A parte il fatto che anche in molte altre forme d’arte si può parlare tranquillamente di postproduzione, e senza problemi di tabù (pensiamo alla musica, al cinema ma anche alla stessa pittura), comunque la fotografia ha avuto fino dai suoi albori il processo dell’immagine tra le sue caratteristiche peculiari.
Non è forse postproduzione lo sviluppo del negativo?
E che dire della stampa? Della scelta della carta e del trattamento? Mai sentito parlare di “sviluppo selettivo”?
Quante variabili poteva controllare il fotografo in camera oscura e poi in fase di stampa? Molte, davvero molte.
Ansel Adams ci scrisse un intero libro “The Print”.

L’immagine sopra è un documento interessante.
Si tratta dello schizzo di istruzioni di esposizione con cui Richard Avedon istruiva il suo “stampatore”.
In inglese suona curioso e stranamente tecnologico: ”Avedon’s instructions to his printer”.

[Image from : http://claytoncubitt.tumblr.com/%5D

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Better stay informed

Better stay informed - © Copyright 2009 Pega

Quando nel post di un paio di giorni fa  raccontavo l’aneddoto di un ragazzino che mi chiedeva di vedere le foto  che avevo appena fatto con una macchina analogica non volevo assolutamente sottolineare il fatto che si è voltato andandosene in modo un po’ maleducato, senza aspettare una mia spiegazione.
Probabilmente io alla sua età avrei fatto in modo simile, non è certo una cosa grave e sopratutto non è questo il punto.

Quello che mi ha colpito dell’accaduto è stato che il ragazzino non solo aveva dato per scontato che io stessi scattando con una macchina digitale, ma che in pratica nel suo mondo le macchine a pellicola non esistono.

E c’è poco da meravigliarsi. In effetti per i nati in questo secolo la fotografia è solo digitale, è naturale.
Fotocamere compatte, telefonini, webcam e tutto il resto, il mondo dell’immagine analogica è ormai un ricordo ed è spesso riservato a chi ha qualche anno in più.

Alla fine la mia è solo una constatazione. Non c’è tristezza o nostalgia, personalmente trovo che il digitale sia un grande passo avanti che, nel mio caso, ha riacceso l’interesse per una vecchia passione.
Ma è anche importante non dimenticare quello che la fotografia analogica ha svelato ed insegnato, saperlo considerare e valorizzare senza che un “voltar pagina” voglia dire perdere tutte le meravigliose pagine precedenti…

Rispetto ed ammiro tutti coloro che continuano a scattare analogico. E’ anche grazie a loro che si potrà sempre “newtonianamente” attingere alle espereienze del passato per capire ed  imparare a sfruttare al meglio gli strumenti del presente e, chissà, anche quelli del futuro.

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Il Porcellino

Il Porcellino - © Copyright 2009 Pega

L’inizio di un nuovo anno è il momento giusto per un po’ di sana superstizione 🙂

La Fontana del Porcellino è un popolare monumento di Firenze, posto presso la Loggia del Mercato Nuovo.
Si tratta di una fusione in bronzo raffigurante un cinghiale all’erta e fu realizzata da Pietro Tacca nel 1633 dall’originale in marmo, visibile agli Uffizi, donato nel 1560 da papa Pio IV al Granduca Cosimo I.
Alcuni anni dopo la realizzazione, Ferdinando II de’ Medici decise di trasformare l’opera in una fontana che, oltre ad una funzione decorativa, serviva ad approvvigionare l’acqua ai mercanti di stoffe e sete che commerciavano sotto la loggia.
E’ antica superstizione che toccare il naso del porcellino porti fortuna. Da ciò deriva l’aspetto splendente dello stesso, accarezzato quotidianamente da centinaia di mani, la gran parte di turisti che a orde si accalcano intorno alla fontana.
Non molti sembrano però conoscere la vera procedura tradizionale per l’ottenimento del buon auspicio che consiste nel porre una moneta nella bocca del porcellino dopo averlo accarezzato.
Solo se la monetina cadendo si infila nella grata sottostante porterà fortuna.

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Sola

Sola (loneliness in crowd) - © Copyright 2009 Pega

Questa è la seconda parte di un breve aneddoto. Se non l’hai già fatto, ti consiglio vivamente di leggere la prima parte nel post “differenze e distanze” , prima di proseguire. E’ importante per apprezzare pienamente il senso di questo breve racconto.

L’esperienza con l’anziano signore in quel remoto villaggio della Cina era stata significativa.
Così il giorno seguente, dopo alcune ore di viaggio, quando Alby si trovò di fronte ad un’altra interessante opportunità fotografica, si ritenne preparato.

Il villaggio in cui si trovava adesso, si inerpicava per le pendici di una montagna con un’atmosfera pittoresca ed incredibilmente fotogenica.. come le due anziane signore che, incuriosite da questo straniero ma aperte e sorridenti, stavano su una porta proprio davanti a lui.

Alby, fiducioso dell’esperienza precedente, chiese alla sua interprete di parlare alle donne spiegando con cortesia le sue intenzioni di fotografo abituato a non chiedere alcun compenso.

Il sorridente rifiuto delle due anziane lo lasciò sbigottito, ma anche divertito.
“In questo villaggio è tradizione che gli anziani si facciano fare una foto quando sono in punto di morte, per lasciare un ultimo ricordo ai propri cari”, spiegò l’interprete.

Le signore non si sentivano ancora pronte.

🙂

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Vespa PX

Vespa PX - Copyright 2009 Pega

Piazza della Passera è una piccola piazza nel centro storico di Firenze.
Fino a pochi anni fa il nome ufficiale era “Canto ai Leoni” e fu creata nel primo novecento con l’abbattimento di un edificio pericolante adibito a bordello. E’ stata ribattezzata con questo  nomignolo popolare solo in tempi molto recenti con non poche polemiche relative all’opportunità di usare ufficialmente tale toponimo dato che a Firenze si indica comunemente con il termine passera l’organo genitale femminile.

Del resto questa non è l’unica denominazione un po’ sconveniente tra le vie e le piazze di Firenze visto che, rimanendo in tema, esistono “Via delle Belle Donne”, “Via dell’Amorino” ed altre strade come “Via Borgognona” che un tempo si chiamava “Via Vergognosa”. Sono tutte strade in qualche modo accomunate nel descrivere chiaramente, anche al viandante (o utilizzatore finale che dir si voglia) più sprovveduto, le principali attività che vi trovavano sviluppo.
In particolare il bordello di Piazza della Passera pare fosse di notevole livello e frequentato dallo stesso Granduca Cosimo I.

Esiste anche un’altra leggenda sul nome della piazza. Questa ipotizza il ritrovamento in questo luogo, nel 1348, di una piccola passerotta morente che alcuni bambini tentarono di curare innocentemente, senza sapere che si trattava della prima vittima della tremenda epidemia di peste descritta anche dal Boccaccio nel Decamerone.
In ogni caso, non so come la pensi tu, ma a me questa leggenda della passera morente non convince proprio.
🙂

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amore per un albero

La manutenzione… Un concetto decisamente fuori moda. 

Non sempre però. Mi affascinano i mondi dove il “trend” ed il “brand” non sempre la fanno da padrone, ed uno di questi è il mare.

Su una nave, come su una barca, manutenere e curare sono imperativi dettati non solo dall’ecomincità di esercizio. Da un piccolo pezzo potrebbe dipendere un giorno la sicurezza di chi affida a quella barca o nave la sua vita. E’ stato così per secoli ed ancora lo è.

E curando e manutenendo qualcosa per anni, magari per decenni,  si sviluppa un rapporto di intimità con le cose, fino a sentirle quasi parte di sè… quasi delle creature con cui si è sviluppato un’affinità o una parentela… 

Osserva la persona al centro. Guardando la sua espressione si può provare a condividerne i sentimenti e capire come un albero in legno con sessanta anni di mare possa ancora esistere, dando vita ed energia ad una meravigliosa barca a vela del dopoguerra.

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