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Posts Tagged ‘ritratto’

Mamma Anastasia

Ci sono amore, vita, passione ed arte in questa foto di Anastasia Chernyavsky, la fotografa che con la Rollei al collo si é ritratta nuda insieme alle sue figlie ed ha postato lo scatto sul suo album Photodom. Qualcuno ha poi condiviso l’immagine su Facebook ed è successo il finimondo.
La censura che è scattata e le critiche di chi la accusa di volgarità dimostrano solo la gravità della situazione paradossale a cui siamo arrivati. Sul web si trovano in ogni dove immagini di violenza, razzismo e prevaricazione ma lo scandalo è una “mamma nuda con il seno sporco di latte”.
Forse è soltanto colpa di ipocrite policy di Facebook ma guardando le altre foto di Anastasia ho notato che mi ricordano lo stile di Winn Bullock ed ho ripensato a ciò che scrissi in un vecchio post a proposito degli scatti di questo grande artista che, osservati con gli occhi di oggi, dimostrano il percorso involutivo della nostra società.
Ebbene: quella di Anastasia è semplicemente una bellissima foto, punto.

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Non so se hai mai sentito parlare di long portrait, una forma di ritratto ibrida dove la fotografia si espande e subisce una sorta di mutazione.
Il classico ritratto fotografico congela un istante, il long portrait dilata questo istante in una sequenza video, in cui il soggetto rimane però confinato nella composizione che rimane costante.
E’ una tecnica non molto diffusa tra i fotografi e per niente facile, non per questo meno affascinante.
Il rapporto tra fotografo e soggetto diviene ancora più stretto, la fotocamera una sorta di “sonda” con emozioni (o imbarazzo) che possono anche andare velocemente fuori controllo.
Una specialità dove il confine tra capolavoro e banalità è molto labile, ma forse anche per questo, con grandi potenzialità.
Tempo fa avevo proposto un long portrait realizzato dal fotografo newyorkese Clayton Cubitt, oggi è la volta di un altro noto fotografo statunitense: Chase Jarvis. E’ suo il “long” qui sotto, con protagonista Ishmael Butler che si esprime in un ritratto da sessanta secondi.
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Steve McCurry

© Copyright Tim Mantoani

Ed eccoci al sesto appuntamento con un fotografo fotografato. Stavolta è il turno di un personaggio dei nostri giorni, il grande Steve McCurry, membro dell’agenzia Magnum ed importante interprete della fotografia di reportage con decenni di solida collaborazione con il National Geographic.
McCurry è ritratto con in mano il suo famosissimo scatto “ragazza afgana” reso celebre in tutto il mondo dalla pubblicazione sulla copertina della rivista nel 1985.
Questa immagine di McCurry è senz’altro particolare. Realizzata dal fotografo Tim Mantoani, fa parte del suo progetto “Behind Photographs” in cui Tim ha immortalato centocinquanta fotografi con in mano loro fotografie celebri. Nota molto distintiva di questo lavoro durato cinque anni, è il fatto che ogni immagine è stata scattata con una Polaroid di grande formato (20×24 pollici) con un costo stimato a scatto di almeno 200 dollari…
Dal progetto è nato un libro con cui Mantoani forse cerca anche di rientrare un po’ dei costi… 🙂
Qui il sito di Mantoani e sotto un interessante video a proposito del progetto.
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I precedenti “cortocircuiti fotografici”:

#1: Eugene Atget fotografato da Berenice Abbott
#2: Berenice Abbott fotografata da Hank O’Neal
#3: Edward Weston fotografato da Tina Modotti
#4: Tina Modotti fotografata da Edward Weston
#5: Alfred Stieglitz fotografato da Gertrude Käsebier

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Con questa foto qualcuno ha rischiato l’infarto, ma ne è valsa la pena 😀
A parte gli scherzi, quello di qualche giorno fa è stato un esperimento interessante.
TildaRiassumo per chi se l’è perso.
In un post pubblico un ritratto della famosa attrice Tilda Swinton, assorta nei suoi pensieri ed invito i lettori ad esaminarla bene, studiandola nei dettagli. Il fatto è che la foto non è un semplice ritratto. La versione in grande che si ottiene cliccando è in realtà un’immagine animata e dopo alcuni secondi gli occhi della donna si voltano verso l’osservatore.
L’effetto può essere notevole perché non si è preparati. La fotografia è infatti per tutti noi un oggetto fisso, immobile per definizione, senza sorprese, statico insomma. E quando, nonostante la nostra totale abitudine alle immagini in movimento, Tilda improvvisamente cambia posizione e ci guarda, noi sobbalziamo sulla sedia.
Ancora una volta la fotografia è meravigliosa, in questo caso per ciò che non è e non è mai stata, malgrado le inarrestabili evoluzioni tecniche da lei scaturite.

Per chi me l’ha chiesto, il ritratto di Tilda Swinton è un fotogramma del film “Orlando” del 1992, sceneggiatura e regia di Sally Potter, tratto da un soggetto di Virginia Woolf.

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Studia attentamente questa foto. Osserva il volto, i tratti, lo sguardo perso nel vuoto. A che cosa starà pensando?
Clicca sull’immagine per guardarla in versione grande, è importante per vedere tutti i dettagli. Fallo con calma. Esamina i particolari, l’espressione, quella luce negli occhi. Cerca qualcosa in questo volto. Qualcosa che non si vede subito.
Poi dimmi che impressione ti ha fatto.
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Test image

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Herbert Hoffmann

Herbert Hoffmann – © Copyright 2009 Pega (all rights reserved)

Sono affezionato a questo ritratto ed ogni tanto torno a guardarlo, in questo caso anche a postarlo sul blog.
Prima di fotografarlo non sapevo chi fosse questo simpatico signore. Lo incontrai all’edizione 2009 del Florence Tatoo Convention, mi affascinò ed incuriosì molto, così iniziai a cercare informazioni.
Conoscevo poco del mondo dei tatuaggi ma in rete non fu difficile trovare notizie perchè si trattava di Herbert Hoffman, il più anziano maestro tatuatore al mondo allora ancora in attivià.
Le sue opere ed il suo approccio sono stati il punto di riferimento di moltissimi artisti ed anche ora che il mondo della body art si è così trasformato, è sempre amato e rispettato.
Se n’è andato da qualche tempo, ad oltre novanta anni, mantenendo fino all’ultimo una visione semplice e genuina del mondo dei tatuaggi, che ho trovato sintetizzata in modo saggio e sincero in alcune sue parole:

Chi è estraneo al tatuaggio spesso vede solo corpi deturpati o raramente abbelliti da tatuaggi incancellabili che evocano sofferenze fisiche e rischi di infezioni…ma per chi si tatua non è così. Nessuno si tatua per diventare più brutto,nè per masochismo!Chiunque si tatua, lo fa per dare a se stesso qualcosa di più:per essere più bello, per sentirsi e apparire più forte,più sexy,per dare sfogo a un dolore, un lutto,una gioia,un amore,per scongiurare una paura,un pericolo o per gioco…Ci si tatua per esprimere i sentimenti più seri e profondi e per quelli più superficiali e frivolie…perchè no?,per rivendicare il proprio diritto al gioco. Non ho mai incontrato qualcuno che si tatuasse per farsi del male!Spesso i tatuaggi che vediamo per strada non sono proprio bellissimi,questo però dipende dalla disinformazione a dal cattivo gusto dilagante,non da un intento autolesionista.Oggi sono brutti i vestiti,la moda,le automobili,le case,la pittura..e sono brutti molti tatuaggi…solo un’informazione corretta e libera da pregiudizi e luoghi comuni può insegnare a distinguere quelli belli da quelli brutti e aiutare a capire che un bel tatuaggio è un tatuaggio che ti rende più bello.

Parole dove l’arte, la passione e l’esperienza di una vita si fondono.
Cosa c’entra con la fotografia? Chissà, forse niente. O forse… molto…
Comunque sia, ciao Herbert.

🙂

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Il ritratto di un fotografo è una sorta di cortocircuito, un cerchio che si chiude. Quando poi il fotografo è un grande maestro, un protagonista della storia di questa forma d’arte, allora l’immagine assume un fascino tutto speciale, almeno per me.
É il caso di questo ritratto di Eugene Atget, il grande fotografo francese che visse a cavallo tra ottocento e novecento, considerato da molti come uno dei padri della fotografia moderna.
Fotografò per oltre trenta anni la sua Parigi, un lavoro immane di oltre 10.000 negativi (che per i tempi erano un’infinità) teso a documentare una città che si stava trasformando, modernizzando, e che Atget fissava non tanto con atteggiamento artistico quanto con un approccio che potrebbe essere definito come commerciale. Molti suoi scatti erano infatti realizzati per fornire materiale ai pittori ed agli illustratori di libri sulla città.
In questa sua ricerca Atget espanse le possibilità della fotografia e sviluppò un suo linguaggio fatto di poesia ed estetica formale che lo consacra tra i più importanti artisti della storia della fotografia.
Ed eccolo qui Eugene Atget, dopo quasi un secolo, qui sul tuo monitor.
Guardalo negli occhi, mentre si sta facendo fare un ritratto da Bernice Abbott in un bel pomeriggio del 1927.
Un cortocircuito con i fiocchi.

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Forse non ti andrà, non ti metterai comodamente sul divano a vedere questo video. Forse non lo farai perché sembrano tanti i cinquanta minuti che parlano della vita e del lavoro dei fotografi del National Geographic.
E invece vale tutto il tempo che richiede questo documento realizzato diversi anni fa e tutto dedicato ad un gruppo di professionisti appassionati che ha avuto un ruolo così importante nella storia recente della fotografia.
Tu fa come preferisci, io me lo sono gustato con calma e piacere, cogliendo anche l’occasione per fare un piccolo esperimento divertente: annotarmi, via via, alcune parole, quasi delle keyword di sintesi dell’intero filmato.
Se non hai voglia di vedere il video puoi sempre accontentarti di queste.
Eccole qua: 🙂

Fascino romantico, difficoltà, rischi, pericolo, una vita pazzesca, malattie, malaria, burocrazia, rapine, violenza, affascinante, problemi, incidenti, insetti, schifo, jungla, scimmie, vermi che si infilano sotto la pelle, talento, arte, gusto, colore, ritratto, intimità, indiscrezione, ravvicinato, bellezza, orrore, abisso, squali, viaggio, tuffi, mare, savana, tenda, fango, erba, carcassa, ossa, cranio, amicizia, ricerca, natura, foresta pluviale, cultura, umanità, lavoro, vita, tragedia, mondo, facce, persone, mondo, globalizzazione, storia, sporco, civiltà, amore, povertà, tempo, gioia, sguardi… insomma: FOTOGRAFIA

Buona visione
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Mentre sempre più fotografi oggi si affannano a cercare l’effetto ed il fascino del passato, scattando in analogico o addirittura trasformando in bianco e nero le immagini che i sensori digitali catturano a colori, c’è chi fa qualcosa di completamente opposto.
Sanna Dullaway colora vecchie fotografie che di colore non ne hanno. Lo fa con grande maestria, applicando ad immagini famose una tecnica che ci regala un punto di vista nuovo e particolare, quello di un passato molto reale, quasi tangibile.
Già nell’ottocento si era fatto uso di pigmenti e sostanze coloranti per arricchire di cromatismi le fotografie di allora, cercando un realismo che si riteneva insufficiente, ma il risultato era spesso poco interessante, troppo evidentemente artificioso.
La tecnica della Dullaway è invece efficacissima, l’inganno è perfetto e lo sguardo di Churchill sembra catturato con la qualità Kodachrome mentre la “Migrant Mother” di Dorothea Lange appare come immortalata con i megapixel di una moderna digitale.
E’ un percorso inverso rispetto ad alcune tendenze retrò tanto in voga adesso, un processo che ci mostra un “passato aumentato” o forse meglio dire reinterpretato.
Io lo trovo un interessante esempio di come si possa essere creativi rielaborando la realtà per inventarne una parallela.

(Via Mashkulture.net)

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