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Posts Tagged ‘emozioni’

Sharp shadow on worker

Sharp shadow on worker – © Copyright 2009 Pega

Spesso si rimane delusi quando un commento ad una nostra foto è semplicemente qualcosa del tipo “bella”, “brutta”, “mi piace”, “non mi piace”….
Non parlo solo di ciò che avviene su social tipo Flickr o Facebook, dove l’agglomerarsi di commenti più o meno sinceri è parte del gioco, parlo soprattutto di quello che ci viene detto “dal vivo”, dalle persone a cui mostriamo una foto.
A volte un commento di questo tipo, anche se apparentemente positivo può proprio deprimere. Come fare per cambiare questa situazione in un’occasione di riscontro costruttivo?
Una possibile strada può essere quella di provare capire meglio ed approfondire le impressioni che la persona che abbiamo davanti ha realmente ricavato dalla foto. Ad esempio potremo chiedergli: “Che cos’è in particolare che ti piace/non ti piace in questa foto?”, “Che sensazioni o emozioni ti trasmette?”, “A cosa ti fa pensare?”.
Sono domande che dovrebbero spingere ad esprimere meglio i motivi del giudizio ed aiutarci a capire se e quanto poter far tesoro di una critica o gioire di un complimento.
Non è comunque un qualcosa di facile, anche perché la verita è che spesso i commenti ci raccontano molto di più su chi sono i nostri commentatori che non sul reale valore della nostra fotografia.

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Nutshell

Su un guscio di noce – © Copyright 2012 Pega

“Ma che bel colore! Ehi, ma che rosso!”
Si ma… hai mai pensato a quanto i colori siano un concetto così incredibilmente e misteriosamente relativo?

Nel tuo cervello vedi un colore, magari il bellissimo blu profondo di una limpida giornata invernale. E’ il tuo blu. Ma chi ti dice che nella mente di un’altra persona quel blu appaia come appare a te? Potrebbe essere che per lui il blu sia ciò che per te è il rosso e che l’unica cosa che avete in comune sia solo il nome di quel colore. C’è modo di saperlo?

Prova per un attimo a descrivere a parole un colore. Ci riesci? O devi per forza ricorrere a dei paragoni?
I colori sono delle percezioni relative, sensazioni soggettive, e la cosa affascinante è che gli stessi colori possono apparire diversi anche a noi stessi, in funzione di tutta una serie di variabili.
Si sa, ad esempio, che i colori vengono percepiti diversamente a seconda della luce e degli altri colori attorno, ma c’è anche una quantità di fattori emotivi che possono influenzare la nostra percezione. Un bel verde può apparire freddo e malinconico la mattina appena ci svegliamo ma ben più incoraggiante e vitale nel pomeriggio o la sera. Hai mai provato qualcosa del genere? Casi in cui la percezione dei colori cambia in funzione dello stato d’animo?

Ti invito a pensare a tutto questo, a come vedi i colori nelle tue fotografie ed in quelle degli altri.
I colori sono connessi con le emozioni e di conseguenza le sensazioni che le immagini ci danno possono essere modificate da tutta una serie di influenze che i colori hanno su di noi.

Trovo che questo dei colori sia un argomento affascinante, a tratti folle e misterioso, ma con il potere di stimolare e spingere qualsiasi fotografo a tentare di esplorarlo. Addirittura anche chi fotografa solo in bianco e nero.

🙂

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Giovanni

Giovanni da Linari - © Copyright 2011 Pega

Pensi che la tua miglior foto sia quella che ancora devi scattare?
Beh, in ogni caso, dai con calma un’occhiata al tuo archivio immagini o al tuo album online con gli scatti di quest’anno e poi scegli quella che considerari come la tua miglior foto del 2011.
È un piccolo esercizio che ti propongo di fare a conclusione di questo anno, alla ricerca di quella  che sceglieresti se ti fosse concesso di salvare una sola tra le tue foto realizzate negli ultimi dodici mesi.

Io ci ho provato ed ho scelto il ritratto di Giovanni.
È un’immagine che risponde a vari criteri che per il mio giudizio ne fanno una buona fotografia: la storia che racconta, il soggetto e la sua espressione insieme ad una decente qualità tecnica…
Ma c’è qualcosa di più.
Sono il significato, le sensazioni ed i ricordi dell’esperienza che accompagnano questa foto gli elementi che la rendono davvero importante per me.

La scelta è ovviamente molto personale e totalmente soggettiva, ma è un qualcosa che ti consiglio di provare a fare con i tuoi scatti a conclusione di questo anno di fotografie.
Se ne hai voglia inserisci pure il link alla tua “preferita 2011” in un commento a questo post.

E… BUON 2012!

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Dissenso generazionale - Copyright 2009 Pega
Dissenso generazionale – Copyright 2009 Pega
Art ain’t easy… but autocritic is way harder…
Come riuscire ad essere costruttivamente autocritici ?

Oggi voglio riproprre un vecchio post che pubblicai tempo fa, nelle prime settimane di vita del blog. 
E’ una riflessione che mi è tornata in mente mentre stavo valutando alcune mie foto, cercando di capire se mi piacessero o meno e se fossero adatte ad essere pubblicate.
Mi perdonerai se sei un vecchio lettore o forse lo rileggerai traendone lo spunto per provare ad aggiungere un tuo contributo.

Ragionando sul valore comunicativo ed emotivo che si può attribuire ad una propria fotografia in modo indipendente dall’opinione degli altri, mi sono trovato a pensare a che processo seguire per dare un giudizio artistico il più possibile “meditato” su alcuni miei scatti.
Il fine di questa sorta di “valutazione” è quello di sviluppare un maggiore senso critico nello scegliere a quali foto dedicare maggiore attenzione in termini di trattamento e successiva eventuale stampa o pubblicazione su web.
Non mi è risultata cosa facile perchè, ovviamente, essendone io il creatore tendo naturalmente a dare alla foto una interpretazione ed un valore che non sono per niente assoluti o forse nemmeno condivisibili con gli altri.
Ho comunque provato a raffinare un semplice criterio che si basa sul fondamento che la foto deve essere interessante e “funzionare”, da tre punti di vista.

Tre pilastri che “sostegono” la foto.

Il primo è il punto di vista del fotografo stesso. Se non sono soddisfatto io della foto è inutile andare avanti. Devo sentire che in qualche modo l’immagine ha per me un significato, mi trasmette qualcosa, insomma “funziona”.
Il mio punto di vista di osservatore del soggetto ripreso deve essere soddisfatto in termini estetici, tecnici ed emotivi.

Il secondo punto di vista è quello del soggetto ritratto. A qualcuno potrà sembrare un’assurdità specie nel caso dei soggetti inanimati, ma la mia tendenza è quella di personificare comunque il soggetto ed immaginarne il punto di vista come elemento fotografato. Spesso si sente dire che in fotografia il fotografo guarda il soggetto attraverso l’obiettivo ma il soggetto guarda il fotografo attraverso la stessa lente. E’ proprio questo che intendo. In qualche modo ci deve essere una reciprocità. Una storia sostenibile e percepibile, che renda il punto di vista del soggetto interessante e caratterizzante questo aspetto della foto.

Terzo ed ultimo punto è quello dell’osservatore, del fruitore della foto… del pubblico insomma.
Dal suo punto di vista l’osservatore finale cosa troverà nella foto ? Se la foto ha un senso solo per i primi due elementi di questa analisi ma non per il terzo, la foto non funziona comunque. E’ il caso di scatti che hanno un grande significato emotivo per chi li ha scattati ma nessun messaggio per un estraneo che vede quella foto.

Tutto questo è una mia visione personale, una sorta di processo di valutazione che prova ad essere, se non oggettivo, almeno bilanciato e rispettoso di quelli, che nella mia idea, sono gli altri soggetti coinvolti.

Non nascondo che esiste in me la curiosità di sapere quali invece sono i processi che altri seguono per fare una simile valutazione. Quindi, rifacendomi ad un precedente post, non escluderei che la mia domanda ad un fotografo che stimo, nell’ipotesi provocatoria di poterne fare una soltanto, potrebbe essere proprio : “come valuti il valore artistico e comunicativo di una tua foto” ?

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Pontiac Cuba

Pontiac para la fiesta © Copyright 2004 Pega

Ti capita mai di andare a rivedere le tue vecchie foto? Quelle del tuo archivio, analogico o digitale?
Che la passione per la fotografia sia recente o no, si tratta di un’esperienza sempre interessante e per molti aspetti istruttiva.
Nel tuo archivio trovi il modo di fotografare che avevi e che magari nel frattempo è cambiato, evoluto. Puoi trovarci  i soggetti che a suo tempo ritenevi importanti, gli errori che commettevi ed hai imparato ad evitare.
Spesso riguardando il proprio archivio capita di trovare scatti che un tempo si consideravano splendidi ma che guardati oggi non ci piacciono più, e magari scovare foto che si erano scartate e messe da parte che invece assumono un valore inaspettato.
Il tempo è un elemento che può aumentare il distacco dalle esperienze e dalle emozioni provate al tempo dello scatto e quindi rendere molto meno significative alcune immagini, ma al tempo stesso può anche fornire nuovi elementi che ci fanno apprezzare oggi una fotografia un tempo ritenuta poco interessante.
Frequentare di tanto in tanto il proprio archivio è anche un modo per mantenere vive quelle foto, evitando che ammuffiscano (cosa vera solo in modo figurato per quelle digitali 🙂 ) e per dar loro la possibilità di una nuova vita, magari valorizzandole con una bella stampa, elaborazione digitale o condivisione on line.
Non trascurare il tuo archivio, non lo dimenticare, abbine cura: racconta la storia della tua passione per la fotografia.

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Parlando con amici fotografi mi sono accorto che solo in pochi hanno sentito parlare del “long portrait. Si tratta di una forma espressiva che porta il concetto di ritratto oltre la fotografia.
Il classico ritratto fotografico congela un solo istante, il long portrait lo dilata in una sequenza video, in cui però il soggetto rimane confinato in una composizione che non varia ed a variare possono essere solo i dettagli dell’espressione del viso o del corpo.

E’ una tecnica non molto diffusa e non facile da far funzionare perchè risente, ancor più del normale ritratto fotografico, del rapporto tra fotografo e soggetto. Qui le emozioni o l’imbarazzo possono anche andare velocemente fuori controllo ed il confine tra capolavoro e banalità è quindi labilissimo, ma forse è proprio questo l’aspetto che ne determina il fascino e le potenzialità.

Il long portrait è apparentemente semplice da realizzare : si creano le stesse condizioni di un ritratto tradizionale ma invece di realizzare delle fotografie si gira uno spezzone video ad inquadratura fissa, senza aggiunte, senza musica o parlato. La durata può essere di alcune decine di secondi o qualche minuto.
I risultati che ne scaturiscono possono avere un’intensità veramente notevole.

Voglio riproporre un esempio che già citai un un vecchio post.
E’ un long portrait realizzato dal fotografo newyorkese Clayton Cubitt, un artista dallo stile crudo e molto diretto, che da tempo sperimenta questa forma di ritratto.
Cubitt ha chiesto alla modella Graciella Longoria di posare in un giorno particolare: il primo anniversario della morte del padre in un incidente stradale.

E’ un’opera forse discutibile e proprio per questo mi piace citarla. Può piacere o meno.

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Qui altri video e long portrait di Clayton Cubitt su Vimeo.

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No War

No War - © Copyright 2009 Pega

Uno degli aspetti più affascinanti della fotografia è che ci permette di vedere le cose da un punto di vista diverso.
Non si tratta di solo farcelo immaginare, la forza di uno scatto è che può davvero farti conoscere ed immedesimare in qualcun’altro o addirittura in qualcos’altro.

E’ forse anche per questo motivo che la fotografia ha avuto un certo peso ed una sicura influenza nel corso della storia che l’ha vista sempre protagonista da pochi anni dopo la sua invenzione fino ad oggi.
Una foto può farti apprezzare la bellezza di un luogo o la perfezione di una forma ma la sua vera potenza sta nel farti provare una sensazione e vivere, anche se solo per un attimo, un’esperienza. E questa esperienza può non essere la tua.

La forza dell’immagine è che può mostrare il punto di vista di chi o cosa non conosci e farti cambiare la tua idea.

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Ancora un altro autunno

Ancora un altro autunno - © Copyright 2010 Andrea Picchi

Una foglia caduta su un vetro appannato.
La pioggia che crea striature e strane forme quasi in rilievo…
Un gioco di chiaroscuri che cattura l’attenzione dell’osservatore.

E’ una foto di Andrea Picchi, amico lettore del blog che mi invita a provare anche con una sua immagine, quello che mi piace definire fotodegustazione : un modo di guardare le fotografie alla ricerca di elementi e sensazioni che emergono osservandole con calma, magari a lungo, proprio come si stesse degustando un vecchio liquore. 
E’ un esercizio che non vuole essere una critica ma solo un modo diverso e creativo, magari divertente, di avvicinarsi al lavoro di un fotografo, cercando nuove proiezioni e significati.
Ognuno può “sentire” sapori ed aromi diversi ed i risultati possono essere imprevedibili 🙂 

Questa immagine mi ha colpito subito per le sensazioni secondarie che sembra trasmettermi.
La foglia, ormai ingiallita e morente è poggiata su una superficie grigia, rigata e irregolare.
E’ la vittima di un crudele delitto, abbandonata su un marciapiede o un selciato.
Una sinistra macchia scura le si estende accanto, come se fosse il sangue che l’ha abbandonata. E’ la linfa, il colore di cui la foglia risplendeva fino a così poco tempo fa, che si è disperso lasciandola ora senza vita.
La pioggia scende decisa e sembra quasi lavare via quella macchia, proprio come nella scena di un film giallo, in cui è fin troppo facile intuire il colpevole citato nel titolo, ma anche il mandante.

Beh, è evidente che si tratta di un’interpretazione del tutto personale e un po’ noir di questa immagine che trovo bellissima e per certi versi struggente, completata da un dettaglio che la rende stupenda anche dal punto di vista compositivo : quel particolare tratto nel quadrante alto destro, che sembra quasi una firma. Il segno distintivo di un artista di talento.

Complimenti Andrea. Gran scatto.

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Ti piacerebbe vedere “fotodegustata” una tua foto ?
Bene, scrivi a pegaphotography@gmail.com allegando una tua fotografia o il link ad una immagine di tua produzione che vorresti essere pubblicata e analizzata qui.
La posterò volentieri con un mio tentativo di degustazione aperto ai contributi di chi vorrà partecipare con commenti ed osservazioni.

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Claudia, una lettrice del blog, mi ha chiesto di parlare di una sua foto.
Lo ha fatto in risposta ad un mio recente post sulla fotodegustazione, una discutibile definizione che ho dato dell’atteggiamento di osservazione ed analisi che si può provare ad assumere per apprezzare in maniera più profonda le fotografie, evitando di guardarle in modo troppo rapido e superficiale.
Non si tratta quindi di critica, ma di un modo per avvicinarsi all’opera che si osserva.

L’idea di farlo con immagini che mi vengono sottoposte dai lettori del blog è una cosa stimolante ma anche impegntiva, specie in questo primo caso. Comunque, visto che le sfide mi affascinano, ecco che ci provo.

La foto in oggetto si intitola Malinconia

Malinconia
Malinconia – © Copyright 2008 Mäuschen

Santa Brigida, la saracinesca chiusa, da più di dieci anni oramai, è quella del ristorante che gestiva la mia famiglia.
Lì ci ho vissuto, sono cresciuta scorrazzando per i campi ed i boschi mentre i miei lavoravano…e quando avevano un po’ di respiro si sedevano fuori.
Su quella pietra si sedeva il babbo.
Quella pietra però è ancora lì…solo quella.

Si intuisce subito che non è facile parlare di questa fotografia, ma quello che mi viene da dire per prima cosa è che si tratta di uno scatto dalla forte carica emotiva. Una carica che però è possibile percepire bene solo aggiungendo all’immagine anche l’intensità del testo che la accompagna, esattamente come per quella delle tre donne del Guatemala di cui parlavo.
Anche questo è un esempio che tende a consolidare la mia convinzione sull’importanza delle parole in fotografia e sul fatto che, dove necessario, queste siano sempre da associare all’immagine perchè possono contribuire molto al significato di un’opera.

La struttura è incentrata sulla pietra, posta centralmente nell’inquadratura ma non proprio perfettamente a mezza altezza, quasi come se la fotografa avesse deciso di lasciare lo spazio per permetterci di immaginare seduta sopra la figura del padre.
E’ una pietra dalla forma e colore strani. Appare come levigata nella sua parte centrale ed ha una struttura che ricorda molto quella delle bitte, gli oggetti un tempo in pietra ed oggi in metallo a cui si fissano le cime che ormeggiano le navi nei porti. 
Probabilmente, come per altre considerazioni che sto facendo, si tratta di una mia postproiezione, ma questa somiglianza con una bitta mi ha fatto immaginare che a questo oggetto la fotografa è invisibilmente legata. La pietra su cui si sedeva il babbo è un vecchio ormeggio sicuro che, nonostante la malinconia e gli anni, rimane nel tempo.

Sulla sinistra c’è la saracinesca chiusa, con i gradini che portano nel locale oggetto di tanti ricordi.
Gli scalini, ma anche il bandone stesso appaiono curati e puliti, come se si trattasse solo di una chiusura domenicale. Sul pavimento accanto sono invece presenti piccoli sassi e detriti, che sembrano rappresentare i segni di un lungo abbandono. Questo contrasto tra gli scalini ed il pavimento è un dettaglio che, se notato, colpisce divenendo un elemento in grado di trasmettere una particolare inquietudine.

Un altro aspetto di cui vorrei parlare è l’angolo di inquadratura.
La foto appare come scattata da una normale posizione in piedi. Non so se Claudia abbia realizzato solo questa foto o anche chissà quali altre da diverse angolazioni, ma questa è quella che abbiamo. La scena è ripresa da un’altezza che non è quella della bambina che era ai tempi del ristorante. Si sarebbe potuta abbassare, inginocchiare, ma ora è cresciuta, le cose vengono viste da un’altra prospettiva.
C’è un’adulta dietro la macchina fotografica, una persona che ricorda con amore e malinconia quegli anni ormai lontani ma lo fa con la consapevolezza di aver saputo andare avanti.

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Vorrei invitare chi legge questo mio tentativo di analisi ad intervenire ed aggiunere il suo pensiero se lo desidera. Provare ad approfondire l’osservazione di questa foto non è stato un compito facile, sia per il tema, sia perchè non mi reputo particolarmente abile nel farlo.
Credo comunque che lo spirito di sfida e condivisione che mi spinge a far vivere questo blog non mi concedesse di sottrarmi alla proposta di Claudia e così è andata, anzi credo che mi presterò volentieri a proseguire in futuro con altre fotografie che i lettori vorranno sottoporre.

Ti piacerebbe vedere “fotodegustata” una tua foto ?
Bene, scrivi a pegaphotography@gmail.com allegando una tua fotografia o il link ad una immagine di tua produzione che vorresti essere pubblicata e analizzata qui.
La posterò volentieri con un mio tentativo di degustazione aperto ai contributi di chi vorrà partecipare con commenti ed osservazioni.

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Three women survivors

Three women survivors – © Copyright 2000 J. Moller


L’idea della fotodegustazione è quella di guardare e studiare lentamente la foto, non tanto con i criteri della lettura classica, ma piuttosto alla ricerca delle sensazioni secondarie che l’immagine può dare, tirandone fuori elementi emotivi.
E’ un esercizio ma anche un modo diverso di gustare l’opera di un artista.
Il paragone che può essere fatto è con la lenta degustazione di un vino o un liquore, ma anche il ripetuto ascolto musicale.
L’immagine sopra è la riproduzione di una foto di J.Moller, scattata durante un momento doloroso: l’esumazione di alcune vittime delle violente repressioni avvenute negli anni ’80 in Guatemala. E’ una foto che “dipende” moltissimo dal testo che la accompagna e spiega la situazione altrimenti difficilmente leggibile dall’osservatore:

Three women, themselves survivors of the violence, watch as the remains of relatives and former neighbors who were killed in the early 1980’s are exhumed.

Si vedono solo tre donne, una scelta compositiva ben definita con cui Moller incanala tutta l’attenzione dell’osservatore sul soggetto, non si vede nessun’altra figura né l’interno della fossa stessa, il fotografo ha resistito alla tentazione di includere nell’immagine l’intera scena che, nel suo complesso, è quindi lasciata alla proiezione nella mente dell’osservatore.

Chi sono queste tre donne? Sono le mogli delle persone nella fossa? In che modo sono coinvolte in questo dramma ed in quale senso sono legate tra loro? Sono sorelle? Non ci sono risposte a queste domande ma ognuno può proiettare una sua storia.

Il linguaggio del corpo e le espressioni sono particolari.
La prima donna a sinistra, insieme alla tristezza ed alla sofferenza che la unisce alle altre, sembra mostrare rabbia, quasi un desiderio di vendetta. Il suo corpo è leggermente inclinato, come se si opponesse attivamente al senso della pendenza.
La donna al centro ha invece un’espressione totalmente rassegnata, quasi si sporge verso l’interno della fossa, come in un gesto di abbandono e compassione, quasi un volersi ricongiungere con chi non c’è più.
La donna sulla destra è invece colta in un’espressione che potrebbe essere di preghiera o raccoglimento, le sue mani sono posate a terra come a cercare anche un sostegno fisico.

Si potrebbe continuare a lungo in questo modo, osservando la foto da ulteriori punti di vista e diversi livelli di interpretazione.
C’è da dire che probabilmente molte di queste osservazioni sono solo postproiezioni, è normale. Non so quanti scatti eseguì Moller in questa occasione e magari gli occhi chiusi della donna che sembra pregare sono un semplice battere di palpebre.
Resta il fatto che l’autore ha scelto questo fotogramma ed anche in questo sta la sua bravura, perché il risultato è una fotografia dalla fortissima carica emotiva, specie se ci si ferma a “degustarla” un po’.

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Altri post sulla foto-degustazione:

Degustazione (phototasting) – part 1
Degustazione (phototasting) – part 2
Degustazione (phototasting) – part 3

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